IL NOSTRO SOMMELIER AIS VI RACCONTA…
TENUTA LA RIVA, COME RITROVARE L’ISPIRAZIONE
Proseguiamo con i nostri Stop&GO fra le nobili bollicine emiliane, alla ricerca delle cantine virtuose che perseguono il Metodo classico e la rifermentazione in bottiglia. A proposito di quest’ultima lavorazione, ora molto in voga, in fondo è quella che in Emilia i nostri nonni hanno sempre conosciuto. Il vino qui da noi si faceva così. Ed è quello che in Francia si chiama Pét-nat, che sta per pétillant naturel, ovvero all’incirca un vino naturalmente frizzante.
Se vogliamo, il PétNat – lo trovate anche scritto così – è in poche parole la strada più breve per arrivare allo champenoise, senza sboccatura. I fermenti sono tutti dentro, così da rendere ancora più significativo lavorare con lieviti autoctoni. Una volta era così, con vinificazioni che avvenivano a tino aperto, respirando tutti gli aromi e dunque catturando i lieviti presenti nell’aria in modo spontaneo. Ma senza le temperature controllate e i lavaggi delle uve di oggi. Il ciclo del freddo, le misurazioni più attente e quasi sempre la gestione della fase di passaggio in bottiglia in assenza di ossigeno possono garantire una stabilità del prodotto e dunque una garanzia di successo percentuale della tenuta delle bottiglie, molto più certa e remunerativa che in passato. Non ci sono più “puzze”, non ci sono residui incontrollati della fermentazione e il vino che ci ritroviamo in bottiglia sarà dunque torbido, con i lieviti in sospensione. Li troverete spesso anche con il nome di ancestrali: sono vini a bassa gradazione alcolica, giovani, freschi e profumati, spesso associabili al concetto di biologico con vinificazioni completamente naturali. Certamente sono vini da bersi freddi, talvolta molto freddi, se volete goderveli in piena estate, magari abbinati ai tipici succulenti salumi emiliani, sopra a una lunga tavolata di amici, nel cuore di una campagna rovente, sotto un sole che brucia. In fondo è il ruolo che in queste terre il Lambrusco ha sempre avuto, quello di essere un vino rosso da bersi freddo. Trovatemene altri così… poi però non dimenticate che l’Emilia delle bollicine oggi significa anche spergola, l’uva bianca autoctona che incontriamo spesso vinificata in purezza, poi pignoletto e così via, nessuno escluso.
L’idea generalizzata è quella di godersi i PétNat nel pieno della loro gioventù. Non sono considerati vini da invecchiamento, però vi assicuro che oggi si possono fare delle interessantissime verticali di rifermentati in bottiglia, scoprendo che la lunga, talvolta lunghissima sosta su i lieviti ci racconterà le annate all’indietro, sempre con interessanti sorprese. Qualcuno li chiama anche, banalmente, vini col fondo e diffusamente adottano il tappo a corona, che è poi quello delle bottiglie in fase di sosta sui lieviti, comunemente adottato nel metodo classico, in cui alla fine ci sarà ovviamente la sboccatura, con il rabbocco creato ad arte con il liqueur d’expédition, secondo ricette super segrete delle grandi maison, oppure più semplicemente sarà riportato a livello con lo stesso millesimo della vendemmia, senza trucchi e poi definitivamente tappato. E quando si stappa il vino rifermentato in bottiglia, le politiche sono due: o si serve impedendo che i lieviti rimangano in sospensione, cioè lasciando appunto il fondo e dunque muovendosi delicatamente nel mescere, oppure, all’opposto, si interviene al rallentatore ribaltando la bottiglia sotto sopra, prima di aprirla, avendo magari cura di farlo davvero con molta molta lentezza, quindi si stappa godendo appieno dei lieviti completamente in sospensione. Suggerirei sul lavandino, se vi è possibile, non si sa mai che qualche esuberante bottiglia, ogni tanto, abbia voglia di far scappare fuori tutta la pressione delle vostre amate bollicine, con troppo vigore.
Più di un anno fa, nel pieno delle chiusure causa Covid, giravo per le pochissime cantine fiduciose nell’accogliere le scarse visite, praticamente erano solo alcuni giornalisti di settore, nonostante tutto. Ed ero andato proprio alla scoperta di quelle della Valsamoggia. Siamo in provincia di Bologna e così ripartiamo proprio da questi colli che salgono rapidi a sud della pianura padana, ove inizia l’Appennino. Vi avevo descritto queste terre come luoghi di grande fermento, anche fuor di metafora, perché sono la culla di tanti piccoli produttori vitivinicoli immersi in un paesaggio verde, fra torrenti e boschi, costituito da terreni in prevalenza calcarei e argillosi, talvolta gessosi. Colline che godono mediamente di una buona escursione termica, seppure gli ultimi anni stiano restituendo primavere ed estati decisamente troppo siccitose. Ed è un campanello d’allarme.
Fra tutti, mettiamo la freccia dentro la Tenuta La Riva, incontrando subito il suo proprietario e factotum Alberto Zini. Al centro dei terreni, praticamente un su e giù di vigne in tutte le direzioni, si trova l’edificio con accoglienza, cantina e magazzino. Una realtà giovane, nata nel 2013, i cui 12 ettari di vigna sono prevalentemente grechetto gentile, barbera, merlot e cabernet sauvignon per un totale di 50.000 bottiglie all’anno. La conduzione enologica è di Attilio Pagli, con la collaborazione agronomica di Fausto Smaia.
Lo schieramento di etichette, nonostante la dimensione a portata d’uomo di questa cantina, è persino sorprendente: troviamo ben 6 tipologie di Metodo classico e 5 rifermentati in bottiglia, più 3 bianchi e 5 rossi fermi. È lo spirito con cui lavora Alberto Zini: tanta ricerca e dedizione, visto che è entrato nel mondo del vino per passione. Questa cantina, con viticoltura in lotta integrata, non vanta storia ed eredità dal passato, ma concretizza tanta qualità e i risultati si vedono, in particolare con Farnè VIII, Metodo classico da uve trebbiano modenese in purezza, il cui 2014 è stato recentemente premiato dalla guida Emilia Romagna da Bere e da Mangiare dell’AIS. Mi soffermo proprio su questo spumante che prende il nome dalla via in cui si trova la Tenuta La Riva, mentre VIII sta per l’ottava annata in cui questo vino esce in commercio. È un dosaggio zero dalla lunga sosta sui lieviti, oltre i 70 mesi, e si sentono. Dal colore giallo dorato intenso, con raffinate finissime bollicine, questo Metodo classico ha un bouquet di profumi intensi e ad ampio spettro, dettato dai sentori dei lieviti con note di pane tostato, flavour di frutta a polpa bianca e latenze di erbe aromatiche. Al palato rispecchia il vigore tipico di un brut nature, riempie la bocca e concede sentori di frutta tropicale matura, chiudendo con acidità e note di lime. Uno spumante che possiamo abbinare a preparazioni come l’anguilla in umido, piatti che abbisognano di sgrassare la bocca con tante bollicine fresche.
La rosa dei Metodo classico della Tenuta La Riva è costituita poi dal Farnè 430, che è la selezione, il prodotto di punta della cantina, anche questo non supera le 5.000 bottiglie annue, ma ha certamente un ottimo rapporto qualità/prezzo. A seguire, Chatrè (50% Chardonnay, 50% Trebbiano Modenese), Pinus Laetus Pignoletto (etichetta bianca, 100% grechetto gentile), Aurora Barbera Rosé (100% barbera), tutti a dosaggio zero e infine Lambrusco Metodo classico IGP (100% lambrusco grasparossa), dichiarato brut ma con un dosaggio di 3 gr/l. I rifermentati in bottiglia sono il Pinus Laetus (etichetta nera) e Pignoletto Frizzante Surlì DOCG (entrambi da uve 100% grechetto gentile), Il Francesco Moscato Spumante IGP (100% moscato giallo), l’Aurora Barbera Frizzante (100% barbera) e il Lambrusco dell’Emilia IGP Metodo ancestrale (100% lambrusco grasparossa). Nei fermi, i tre bianchi sono rispettivamente da uve chardonnay, sauvignon blanc e grechetto gentile in purezza, mentre i rossi propongono combinazioni di 50% cabernet sauvignon e 50% merlot, un Barbera in purezza, il Gherardo, un Merlot in purezza, rarità per questi colli, e infine il Boccadiferro, 100% cabernet sauvignon.
Concludo, con la voglia di ripetermi, che questa cantina in particolare, ma in generale tutti i viticoltori della Valsamoggia, sono davvero una bella sorpresa. Non avrete difficoltà nell’individuarla, infatti ora l’autostrada A1 ha pure l’uscita dedicata, un ottimo motivo per fare un’adeguata deviazione.