IL NOSTRO DOCTOR SOMMELIER AIS VI RACCONTA…

MARCHESI ALFIERI

Marchesi Alfieri, icona dell’Astigiano, con una Barbera da ricordare

Ai piedi dei monti. Può sembrare banale, ma questo è il significato della parola Piemonte e quando dalla pianura padana ci si avvicina all’Astigiano, proseguendo verso ovest, verso Torino, in quelle giornate limpide in cui si vede ovunque, avere all’orizzonte tutto l’arco alpino è uno spettacolo straordinario. Che conferma le origini di questa parola. E si inizia a salire e scendere per queste colline uniche, ove è difficile stabilire quali siano le zone di questo territorio più vocate alla viticoltura. Sembrano nate per fare il vino. Allora uno delle chiavi di lettura può essere la storia. Affidarsi al passato, qui in Piemonte significa davvero andare indietro nel tempo. E a San Martino Alfieri, in provincia di Asti, proprio in cima al colle del paese, si manifesta la storia degli Alfieri, che dal XVII secolo, tappa dopo tappa, arriva a noi.
Dopo la Concessione di Carlo Emanuele I di Savoia a Urbano Alfieri del feudo di San Martino (1616), l’ingegnere Antonio Bertola riceve incarico da Carlo Antonio Massimiliano Alfieri di introdurre i canoni barocchi agli edifici, così nasce anche la prima cantina, il castello e si delinea il territorio pertinente, ma soprattutto nel 1815 Xavier Kurten, architetto e paesaggista prussiano, modifica il giardino in un romantico parco all’inglese. Grazie poi all’imparentarsi fra Camillo Benso di Cavour e gli Alfieri, la cui nipote Giuseppina sposa Carlo Alfieri, si da forte slancio alla produzione vitivinicola, anche con l’introduzione della varietà Pinot nero. Passo dopo passo nelle generazioni di famiglia, arriviamo ai giorni nostri e nel 1988 le figlie Emanuela, Antonella e Giovanna subentrano al padre Casimiro San Martino di San Germano. Così, nel 1990 nascono le prime diecimila bottiglie della Cantina Marchesi Alfieri e gli anni successivi si applica la tecnica del diradamento dei grappoli, elemento questo di forte innovazione non solo per il comprensorio astigiano. Nel 1999, con l’enologo Mario Olivero e la Barbera d’Asti Superiore DOCG Alfiera, si traguarda il Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Ed è proprio Mario Olivero che ci accoglie nel pomeriggio del fine settimana dedicato all’evento Sbarbatelle 2022, il ritrovo delle giovani produttrici di vino italiane under 35, che vede riunite una settantina di realtà vitivinicole italiane nella splendida cornice del parco del castello, il tutto in collaborazione con AIS Asti. 
Invece il presidente Ais Piemonte uscente, Fabio Gallo, ci introduce nel prezioso Salone degli Stucchi, ove si tiene la degustazione di quattro grandi annate dell’Alfiera, che prende il nome dal vigneto storico della cantina, di 4,5 ettari: 2017, 2015, 2011 e 2007. Mentre l’annata più giovane trasmette ancora tanto vigore, con note balsamiche e spiccati sentori di frutta di bosco a bacca nera, elegantemente ingentiliti da un delicato flavour di vaniglia e da un finale speziato, frutto dell’affinamento in barrique di rovere francese da 225 e 500 litri, il 2015 rivela certamente l’annata d’eccellenza. Sappiamo che i millesimi 2015 e 2016 sono entrambi da ricordare, poi la cosa si fa soggettiva e dipende anche da produttore a produttore. Personalmente ritengo la 2015 una vendemmia che si sta concedendo a noi già ora, anche per le varietà di uve per cui siamo abituati ai lunghissimi affinamenti. All’olfatto l’Alfiera 2015 regala infatti grande equilibrio, con velate sensazioni calde. Prevalgono le note di mora e di prugna disidratata, poi la frutta secca, sicché il palato riceve tutta l’elegante larghezza armonica di questo vino che chiude con piacevole sapidità. L’annata 2011 colpisce per un olfatto iniziale decisamente fresco, oltre le aspettative, liberando subito note di ciliegia sotto spirito, poi al palato alcuni piacevoli dettagli che tratteggiano persino echi ferrosi, lasciano il posto a una bocca grassa, voluminosa e speziata, con sentori di tabacco ed erbe aromatiche. Quindi il 2007, con il suo lungo affinamento in bottiglia, presenta un vino che estremizza i dettagli delle annate precedenti, arrivando a esplicitare lievissime note animali e un corpo decisamente strutturato, oltre a continuare a emanare profumi che definirei “siderurgici”, passatemi il termine, quasi da “binario del treno”, con questa illuminante quanto originale descrizione del Sommelier Ais Fabio Gallo. Il palato si porta appresso tutta questa complessità, liberando note finali di tabacco nero e cioccolato amaro, per un finale sempre bilanciatamente sapido.
La degustazione si chiude a sorpresa con il San Germano 2005, da uve 100% Pinot nero, anche questo vino viene affinato in barrique da 500 litri. Fa pensare davvero ai suoi fratelli francesi, con una curiosa espressione olfattiva iniziale di erbe officinali, poi si percepisce tutta la sua complessità e una lineare acidità che lascia intendere longevità ed eleganza.
La linea dei vini dei Marchesi Alfieri è completata da La Tota, Barbera d’Asti DOCG, Costa Quaglia Terre Alfieri DOC Nebbiolo (in purezza), Sostegno Monferrato DOC, assemblaggio di uve Barbera e Pinot nero, infine dal Sansoero Piemonte DOC Grignolino. La produzione totale oggi si aggira sulle 130-150.000 bottiglie annue, con 20 ettari vitati all’interno di una tenuta di 140 ettari, con una parte boschiva importante.
Però c’è anche un Metodo classico, Blanc de Noir, da uve 100% Pinot nero, primo abbinamento della cena, deliziosa conclusione di una giornata davvero speciale. In cucina Marco Forneris e la moglie Elena, del ristorante Repubblica di Perno, ci presentano sei portate, con alcuni altri vini della cantina, all’interno delle stanze recentissimamente ristrutturate; siamo al livello sottostante del castello, all’altezza dell’accesso al parco, alla stessa quota di parte delle cantine, adiacenti ai labirintici sotterranei ove il vino aspetta di maturare.
Il Blanc de Noir 2014, da sboccatura tardiva, 60 mesi sui lieviti, è semplicemente un eccellente Metodo classico. Difficilmente a tavola te ne separi, sapendo che arriveranno altri abbinamenti. Ma la sua versatilità, merito del Pinot nero, ci potrebbe accompagnare per tutto il pasto, grazie anche a un dosaggio basso, 4 gr/l, ma non tale da renderlo troppo sapido e pungente. Uno spumante elegante, dalle bollicine decisamente vellutate e persistenti, che mi lascia pensare non solo al baccalà mantecato che ci è stato servito con zuppetta di zucchine, ma anche al vitello tonnato, oppure per cambiare territorio, a un primo di mare.
Infine, in abbinamento con la costina di maiale Frabosa allevato a castagne, con ratatouille, arriva la grande riserva della cantina, il nuovo nato, il Carlo Alfieri Barbera d’Asti Superiore 2015. La bottiglia è la classica bordolese, l’etichetta è quadrata, essenziale. Nessun fronzolo, e questo mi fa tornare con la mente a quel Piemonte che si diceva all’inizio e al tipico rigore che ti aspetti dai suoi abitanti. Solo tanta sostanza, per un vino di cui Marchesi Alfieri realizza meno di 2.000 bottiglie e solo nelle annate migliori. Dietro, un lavoro di grandissima selezione già in vigna, raccogliendo le uve solo dalla parcella che più di tutte potrà essere perfetta per questo vino.
E si torna a quel concetto di grande annata per cui ora questa Barbera 2015 è davvero rivelatoria. Cos’altro si può aggiungere, a parole, per provare a descrivere un vino che vi fa innamorare. Qualcuno, all’inglese, ci metterebbe sopra il simbolo “Must have”. Ma non sono le mode, le etichette appariscenti o il consumo sfrenato ad interessarci. Qui c’è solo tanta passione, tanto rigore, come mi lascia intuire l’enologo Mario Olivero. Infine solo la necessità di saper aspettare. Questa Barbera Superiore 2015 è davvero già pronta, ma gli anni a venire la renderanno ancora più matura. Unica. Raramente la Barbera mi ha dato tanto. Un vino da bere ora e negli anni, quindi da conservare nella memoria.