L’evento culturale “Vini d’abbazia”, che si è tenuto nel complesso abbaziale di Fossanova (Latina), ha avuto il (grande) merito di far riflettere sul lavoro certosino dei monaci nei secoli per salvare la vite dall’estinzione, bonificare intere aree vocandole all’agricoltura, ma soprattutto ha portato all’attenzione della stampa e degli operatori di settore la qualità raggiunta dal vino monastico, non più semplice vino da messa ma vino in grado di dire la sua nel bicchiere senza temere paragoni.
Su Credere (San Paolo) approfondiremo la realtà di Novacella. Grazie, invece, al reportage su Famiglia Cristiana abbiamo avuto modo di conoscere meglio la realtà di Muri Gries, in Alto Adige, che vi abbiamo raccontato attraverso i vini realizzati dall’enologo Christian Werth. Ora la parola al priore, padre Peter Stuefer, che si è cimentato con l’italiano dedicandoci il tempo di questa intervista.
Padre, la storia dell’abbazia è molto particolare…
L’attuale abbazia di Muri-Gries è il risultato di un processo storico insolito. Il monastero di Muri fu creato dai conti di Asburgo nei primi anni della loro ascesa al potere, precisamente nel 1027. Per secoli la comunità del monastero è rimasta piccola, ma successivamente si sviluppò fino a diventare – tra il Seicento e il Settecento – una delle abbazie più grandi e ricche della Svizzera. Nel 1841 il monastero fu soppresso da parte del governo del cantone di Argovia, il che, ai tempi, significava di solito la fine di un monastero. Per ovviare a tale decisione, il convento di Muri decise di cercare un nuovo luogo per poter continuare la sua vita religiosa: con l’aiuto dell’imperatore Ferdinando I d’Austria, l’abbazia fu trasferita nell’ex monastero agostiniano di Gries. La comunità benedettina prese possesso del patrimonio e degli impegni svolti dai monaci agostiniani: terreno agricolo e cura delle anime. Una parte del convento rimase però in Svizzera, dove sviluppò una scuola media nel cuore del paese; per questo una parte del convento è tutt’ora là.
Papa Francesco in una enciclica (Laudato sì) affronta il tema della cura dell’ambiente, dell’ecologia integrale, del rispetto della casa comune. Qual è la vostra attenzione per il territorio, per la sostenibilità?
L’impegno per l’ambiente, la sostenibilità e il rispetto per la nostra terra sono dei temi molto attuali oltre che di grande importanza per la nostra società, così come lo sono per il nostro monastero.Lavorando nel settore agricolo, riconosciamo l’importanza della terra che ci fornisce le nostre materie prime: per questo motivo, lavorare in armonia con la natura e utilizzare in maniera responsabile le risorse – sia locali che non – è un prerequisito fondamentale per noi. Al contempo, cerchiamo di promuovere e rafforzare l’economia locale. Per quanto possibile, infine, utilizziamo energia da fonti rinnovabili. Ad esempio per il monastero autoproduciamo energia grazie all’ausilio di una piccola centrale idroelettrica.
Come è composta la proprietà, quali servizi ne fanno parte e come si svolge la vostra giornata?
La proprietà del nostro monastero si compone di differenti elementi, spesso tra loro contrastanti. Abbiamo in primis la chiesa parrocchiale di Sant’Agostino,utilizzata come luogo di culto e di preghiera della comunità monastica. È presente poi un antico castello, adibito principalmente a residenza e luogo di lavoro della maggior parte dei nostri monaci. Una parte residuale dell’edificio è, invece, dedicata all’accoglienza di ospiti esterni al convento. Infine, al pian terreno, c’è la cantina, che rappresenta l’attività più visibile del monastero. L’elemento centrale della vita monastica è la preghiera comune. Ogni monaco ha i propri compiti individuali che è chiamato ad adempire. La giornata inizia alle 6:00 con l’ufficio delle letture e lodi, segue alle 8:15 la celebrazione della messa conventuale, alle 12:00 viene poi celebrata la sesta, alle 18:00 sono programmati i vespri serali e alle 20:00 la giornata si conclude con la compieta. Pranzo e cena vengono celebrati in religioso silenzio, ascoltando le letture.
Ci racconta il vostro impegno nella salvaguardia dei vitigni antichi?
I vigneti del nostro convento ci sono stati tramandati direttamente dai nostri predecessori, i canonici agostiniani. Oggi, tuttavia, i monaci non lavorano direttamente i vigneti, ma ci affidiamo a collaboratori esterni che ci supportano dalla produzione alla vendita. Il Lagrein, come varietà autoctona, è stato molto valorizzato negli ultimi decenni, grazie anche al lavoro del nostro enologo, Christian Werth, e del responsabile della viticoltura, Walter Bernard, che si sono impegnati per migliorare ed ottimizzare le nostre uve.
Siete un’abbazia benedettina. Ci spiega il pensiero di San Benedetto in tema di lavoro, cura del vigneto e ruolo del vino nella vita dei monaci?
San Benedetto chiede ai suoi monaci di vivere del lavoro delle loro mani. Parla del lavoro agricolo e del fatto che i monaci non debbano rimpiangere se devono lavorare loro stessi nei campi. Inoltre, dice che è importante che gli strumenti forniti per il lavoro manuale siano trattati con rispetto. San Benedetto, infine,nella sua regola, dedica un capitolo ad hoc alla “giusta misura delle bevande e dei cibi”, ivi incluso il vino. In particolare, ritiene che un’emina al giorno (antica unità di misura pari a circa 0,27l) dovrebbe essere sufficiente per ogni monaco; tuttavia, l’abate può concedere un’eccezione se il lavoro nei campi è particolarmente duro.