Nel giro dei giornalisti enogastronomici li chiamano “decanter”, ma la bottiglia larga di fianchi non c’entra nulla, se non per non fornire spunto al gioco di parole. Il nomignolo se lo guadagnano i colleghi che badano molto a buffet, ospitalità e omaggi e poco a portare a casa la notizia, o magari a scrivere un pezzo equilibrato: la loro priorità è riempire pancia e dispensa di casa, piuttosto che le pagine di un giornale. I decanter, a patto di essere adeguatamente rifocillati, decantano le doti di qualsivoglia vino, o ristorante, o chef, o specialità tipica e persino di un tramezzino. Meglio ancora se poi gli si titilla i superlativi spedendogli a casa da un cadeau: magari una buona bottiglia di vino, anche se potendo scegliere ne preferiscono sei magari di qualità piu andante.
Se un antropologo studiasse la tribù dei decanter avrebbe modo di descrivere molte curiose abitudini di questa comunità. Sono di tutte le età, ma più spesso in pensione, situazione privilegiata che gli dà loro il vantaggio tattico di poter essere sempre presenti, in qualunque orario, a qualsiasi evento, kermesse, degustazione, assaggio: loro considerano banchettare la loro principale attività, e lo scrivere solo un effetto collaterale della prima.
Il decanter è sempre cordialissimo; quando è in azione sorride, stringe mani, chiacchiera con tutti quelli che incontra. Solitamente rappresenta un foglio minore, magari molto di settore, tipo “La Gazzetta della pressa idraulica”, di cui cura una rubrica gastronomica che fornisce gratis al giornale, e che viene pubblicata quando c’è un buco in pagina, quindi ha bisogno di buone relazioni per continuare a raccogliere inviti, o perlomeno per venire a conoscenza degli incontri in calendario e cercare di imbucarsi. Certo, è pieno il mondo di persone cordiali, che amano scrivere, e sono appassionate di enogastronomia: allora come distinguere un autentico decanter senza prendere abbagli? Il nostro ipotetico antropologo non avrebbe dubbi: come nella savana, quando si vuole fotografare animali li si aspetta all’alba al fiume, così chi va a caccia di decanter deve appostarsi con grande anticipo in prossimità del buffet: è li che ogni decanter arriverà prima di tutti, a volte prima ancora del catering che sta allestendo il rinfresco, attirato come una falena da una lampadina da 200 watt. La nostra preda in questi casi trova un posto strategico, dal quale può tenere sotto controllo la situazione, fingendo lunghe telefonate o magari di scrivere sull’iPad. Ma non fatevi ingannare, l’occhio è vigile e i riflessi felini. Anche quando sembra distratto è sempre pronto a scendere in picchiata come un falco pellegrino per ghermire la prima pizzetta messa a disposizione.
Siete arrivati tardi, il buffet è già iniziato e non sapete come distinguere i membri di questo gruppo di scrocconi professionisti? Niente paura, con un po’ di colpo d’occhio si possono individuare ugualmente: in questo caso la parola d’ordine è “occhio al piatto”: nei loro non c’è coerenza e nemmeno misura. Una persona normale riempie il proprio iniziando dall’antipasto, a settori, chessò: qui due polpettine, li una carotina e di fianco una fettina di prosciutto, in attesa di svuotarlo per rimettersi in fila e passare al primo. Un buon decanter invece lo riempie a strati: sotto gli antipasti, sopra i primi, al terzo piano tre fette di roast-beef e un trancio di salmone e in cima alla montagnola una candida mozzarella. Se è in trance agonistica, o da un suo calcolo ritiene che le vettovaglie non siano sufficienti per tutti i presenti, allora oltre alla mozzarella cercherà di far stare sul suo piattino, in scomoda convivenza col salmone e tutto il resto, pure una cucchiaiata di tiramisù. E se avete ancora un dubbio non scordatevi che un vero decanter, mentre demolisce a cucchiaiate la montagna variopinta che ha nel piatto, vi racconterà invariabilmente della dieta durissima che sta seguendo, e che ormai è sua abitudine becchettare come un passero anemico.