Da Montalcino al mondo. Il Brunello è quel vino che sa raccontare l’Italia e noi italiani con una narrazione che ci identifica come pasta, mozzarella, pomodori di Pachino, mandolino. Più di qualsiasi altro vino, ha un “sound” tutto suo. E gli americani questo lo sanno bene. Come ci sia riuscito, al di là dell’indubbia qualità, potrebbe essere oggetto di una interessante case history da prendere a modello. E ci ritorneremo.


Intanto in questi giorni baciati dal sole è tornato Benvenuto Brunello (17-28 novembre), cui partecipano 118 cantine. In degustazione, il Brunello 2019, la Riserva 2018, il Rosso di Montalcino 2022 oltre alle referenze degli altri due vini della denominazione: Moscadello e Sant’Antimo. Un modo per scoprire la Toscana nelle sue eccellenze.
Dal consorzio di tutela ci comunicano che l’enoturismo a Montalcino accelera: nei primi 8 mesi del 2023 ha registrato oltre 150mila presenze, in crescita del 2% sul pari periodo già da record del 2022, grazie a uno sprint estivo che vale quasi l’80% dei flussi. Con circa 60mila arrivi, il borgo toscano si conferma destinazione enoica sempre più cosmopolita. L’incremento dei turisti stranieri ha toccato la doppia cifra (+10%), mentre hanno ceduto il passo gli italiani, in calo del 13%, riassestandosi sui valori precovid.  Il quadro delle presenze suddivise per macroaree – osserva il Consorzio – vede in testa gli enoappassionati europei che con più di 55mila presenze (anche se a -5% rispetto al pari periodo 2022) rappresentano oltre un terzo delle provenienze totali; seguono gli arrivi dalle Americhe con oltre 42mila presenze e un balzo di quasi il 20% sullo scorso anno mentre, a poca distanza, gli enoturisti del Belpaese. In positivo poi i trend degli arrivi dalle altre macroaree globali con l’exploit in particolare dell’Asia (+45%) e dell’Oceania (+145%). Una fotografia, quella rilevata dall’elaborazione del Consorzio, che riflette l’aumento dei soggiorni in strutture extralberghiere (+7%) a partire da agriturismi, relais in cantina e b&b. in decrescita invece le presenze in hotel (-5,5%), da addurre esclusivamente al calo degli italiani solo in parte compensato dall’incremento straniero (+8%).
Quanto al Brunello, continua a crescere, nonostante le difficoltà del mercato, la sua presenza sulle tavole degli americani: negli ultimi 12 mesi ha visto aumentare i consumi nel suo primo mercato di sbocco del 10%, con impennate nel Midwest (+42%) e performance oltre la media a sud e a ovest del Paese. Lo rileva l’analisi realizzata dall’Osservatorio del vino Uiv su base SipSource, strumento di monitoraggio sugli effettivi acquisti dei dettaglianti on e off-trade che copre il 75% del mercato americano, per un totale di oltre 330.000 esercizi commerciali.


Per il presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino, Fabrizio Bindocci: “I risultati di questi primi 8 mesi da un lato sono migliori dell’anno record 2022 e segnano un tendenziale +17% sul triennio del precovid, dall’altro configurano Montalcino come destinazione sempre più amata dai winelover d’oltreoceano. Un target alto spendente composto principalmente da statunitensi, brasiliani e canadesi il cui vino rappresenta la principale motivazione del viaggio a Montalcino ma dove sanno di trovare anche altre caratteristiche identitarie che le imprese del vino hanno contribuito a preservare: qualità della vita, biodiversità, un borgo medievale e il paesaggio Unesco della Val d’Orcia”.
Secondo l’analisi, gli Usa rappresentano almeno il 30% del totale vendite oltreconfine: a fronte di un calo generalizzato dei consumi totali di vino (-7%) e di quelli italiani (-3%), la Docg di Montalcino è tra le poche in positivo. Tra queste, la Beaune (premier Cru della Borgogna), il Bordeaux Superiore, il Barolo o i rossi della Ava californiana Oakville, a dimostrazione che il segmento luxury riesce spesso a mantenersi anticiclico anche in questa difficile stagione. L’accelerazione nei 12 mesi (da ottobre 2022 a settembre 2023) si riscontra sia nel circuito retail – in particolare nel segmento grossisti e nei liquor store -, sia nel fuori casa (+8%), canale a maggior valore aggiunto dove la quota delle vendite a volume del Brunello arriva al 50%, ben oltre la media dei vini rossi italiani (al 20%). Qui nella ristorazione, che rappresenta larga parte dei consumi horeca statunitensi, il prezzo al dettagliante del Brunello è nel 91% dei casi sopra i 50 dollari a bottiglia, quota che si attesta al 73,5% se si considerano le vendite totali su tutti i canali.
“Al di là dei trend di mercato, che possono subire variazioni congiunturali – continua Bindocci – siamo molto soddisfatti soprattutto del posizionamento negli Stati Uniti del nostro vino di punta. Un mercato che siamo riusciti a coltivare in modo attento e certosino, grazie anche al lavoro di importanti imprese pioniere, che hanno aperto la strada alla new wave produttiva. Un modello, da perseguire nell’approccio a piazze emergenti come quelle orientali, su cui le potenzialità rimangono enormi”.
Ma non solo: Il Brunello di Montalcino è il rosso italiano più presente nelle wine list dei ristoranti Usa. A rilevarlo Top 150 Italian wines in American Restaurants, la speciale classifica realizzata da wine2winedi Vinitaly in collaborazione con Somm.ai, il database americano più grande al mondo di liste di vini e liquori venduti on premise, che ha analizzato il posizionamento dei principali 150 vini tricolori nelle carte dei ristoranti americani. Le 17 aziende nella top 150 sono: Castello Banfi, Tenuta Greppo (Biondi Santi), Il Poggione (proprietà Franceschi), Tenuta Caparzo, Argiano, Altesino, Tenuta Col d’Orcia, Pian Delle Vigne (Antinori), Valdicava, Pieve Santa Restituta (Gaja), Casanova di Neri, Ciacci Piccolomini d’Aragona, Castelgiocondo (Marchesi de’ Frescobaldi), Tenute Silvio Nardi, Castiglion del Bosco, Canalicchio di Sopra, Camigliano.
Da notare: sono quasi 3.200 gli ettari di vigneto iscritti a Doc e Docg e tutelati dal Consorzio; di questi, 2.100 a Brunello, estensione rimasta invariata dal 1997, per una produzione media di 9 milioni di bottiglie l’anno. A crescere è stato il valore delle vendite, i Paesi buyer e l’economia di un intero territorio, a partire dalle imprese del vino, che nell’arco di 13 anni hanno visto incrementare dal 37% al 63% il proprio patrimonio netto.