Dopo più di cento anni Montelio, storica cantina a Codevilla, in Oltrepò Pavese, torna a produrre spumanti Metodo classico. Questo il nome, Metodo classico Montelio, di un Pinot nero extra brut in sole quattromila bottiglie, dai terreni aziendali più vocati, che sarà presentato a breve e che le sorelle Brazzola ci raccontano direttamente nell’infernot, la cantina di famiglia usata un tempo come ghiacciaia per conservare il cibo, dove sono custodite le annate migliori o particolari, come quelle in cui è nata la nuova generazione: i fratelli Arianna e Roberto e i loro cugini Irene ed Edoardo – che è l’enologo dell’azienda – rispettivamente Mirosa 95, Comprino 90, Mirosa 98 e Solarolo Riserva 94. Le bottiglie più antiche sono quelle del Nebbiolo del ‘49.
“Inizialmente per lo spumante avevamo identificato un nome ad hoc, poi mia figlia Arianna ci ha fatto riflettere sul fatto che più che svilirlo fosse inutile. Quindi abbiamo deciso che, come nel 1886 sull’etichetta compariva la scritta Champagne nazionale Montelio, oggi è Metodo classico Montelio. La produzione spumantistica si è poi interrotta durante la prima guerra mondiale. Successivamente abbiamo realizzato dei metodo Martinotti. La base spumante è sempre stata parte integrante dell’Oltrepò Pavese. Noi siamo sempre stati una zona da grande spumante da uva pinot nero”, spiega Caterina Brazzola, insieme alla sorella Giovanna al timone di questa realtà vitivinicola oltrepadana che inizia la sua storia più di due secoli fa, all’inizio del 1800 e che oggi è una delle più antiche anche dal punto di vista della continuità della proprietà aziendale. “Il 17 fiorile dell’anno undecimo, corrispondente al 7 maggio 1803, per la precisione. Allora il cavalier ingegner Angelo Domenico Mazza, nostro avo, acquistò dalla Francia una proprietà che Napoleone aveva sottratto al clero. I terreni e il granaio dal 1200 appartenevano a un monastero femminile benedettino”.
Oltrepò Pavese terra da Metodo classico e da Pinot nero in rosso. In azienda si produceva Pinot nero rosso (“così era segnato su un antico brogliaccio della cantina”) già alla fine del 1800. “La scommessa del Pinot nero nasce dall’esigenza di identificare il territorio con un prodotto fine, elegante, che rappresentasse l’essenza dell’Oltrepò stesso. Un vitigno capace di regalare grandi soddisfazioni ma di difficile vinificazione, con acino piccolo, problemi di colore che, se vinificato in purezza, ci sono sempre, inoltre bisogna calibrare bene la quantità di gemme lasciate sulla pianta”. A fare la differenza sono i terreni calcarei con argilla e una vena di gesso importante.  “La nostra cava di gesso è piena di ginestre”, spiega Caterina Brazzola. “Costarsa è il nome dell’appezzamento, che in realtà nelle vecchie etichette era diviso in due, ‘costa’ e ‘arsa’. Lo abbiamo acquistato negli anni ’70 e vitato a pinot nero”.  
Legate alla storia del luogo e della famiglia sono le nuove e colorate etichette per i vini della tradizione: Merlot “Comprino”, Barbera “Mane”, Rosso “Meridie”, Cortese “Sero” – questa è una delle ultime zone in Oltrepò Pavese da Cortese -, Muller Thurgau “Nulla Hora”. Etichette che seguono con i loro colori accesi le varie fasi del sole durante la giornata. “Una volta il Merlot non era un vitigno autorizzato in provincia di Pavia e così lo avevamo chiamato Comprino che deriva dal nome dell’appezzamento”, continua Caterina. “Negli atti del 1300 i confini nord, sud, est e ovest venivano chiamati con i nomi mane, meridie, sero e nulla hora, ossia mattina, mezzogiorno, sera e nulla ora perché le ore venivano lette con meridiane: se orientiamo la merdiana a nord, l’ora non la dà, quindi nulla hora. Il Nulla Hora lo abbiamo legato anche a nostro nonno Roberto, che è stato uno dei primi radioamatori italiani. Allora, quando dovevano costruirsi le radio, andavano a Livorno, dove c’era un deposito militare statunitense, toglievano, ovviamente autorizzati, i pezzi delle radio che servivano e se le costruivano da soli. Parlavano con tutto il mondo, fino all’Alaska. Quando facevano le gare, di cui abbiamo le cartoline, nostro nonno si ritirava nel suo antro e in effetti non esisteva più un’ora, ognuno aveva la sua”.
Da ultimo, una parentela da poco scoperta con il fumettista e vignettista satirico Francesco Altan. Ed ecco che il vino non è più un bicchiere di liquido fine a se stesso, ma sa diventare appartenenza, identità, famiglia. Intorno al vino si snocciolano storie che ai giovani forse non appartengono più ma che costituiscono quelle radici invisibili, forti e salde, che sono la base di qualsiasi futuro possibile.