“Questo settore appartiene sempre di più a persone capaci di fare il vino e curare la vigna. Quelli che non lo erano pian piano sono stati cacciati via, una sorta di selezione naturale. Oggi i figli della vecchia guardia studiano tutti, si specializzano, sono curiosi, si mettono in discussione, viaggiano per imparare o affinare una tecnica. La tecnologia, che prima non c’era, aiuta. Il nostro enologo ha lavorato per dieci anni in Trentino Alto Adige. Se la qualità la diamo per assodata, a fare la differenza in futuro sarà il primo sistema che riuscirà ottimizzare i costi di una agricoltura sostenibile, più rispettosa dell’ambiente e delle persone, e della materia prima, la vigna, perché adesso sono ancora alti, soprattutto non ci si può permettere il lusso di buttare via ogni anno tonnellate di uva perché non risponde a determinati standard qualitativi”. E affonda: “Ciascuno di noi sia in grado nei prossimi anni di tenere e valorizzare i difetti del suo vino e della sua zona per differenziarsi in un mondo omologato dove tutto è interscambiabile. Difendiamo la nostra unicità, un vino che magari sa un po’ di stallatico o un altro di ruggine. Cerchiamo vini riconoscibili all’assaggio. Dobbiamo essere bravi come i francesi, che hanno saputo trasformare i piccoli difetti o le piccole peculiarità di zona in pregi. Così faremo tutti il vino buono, ma al contempo uno diverso dall’altro”.
Incontriamo Gerry Scotti in occasione del Merano Wine Festival, alla premiazione della guida Vinibuoni d’Italia. Il suo Oltrepò Pavese Metodo Classico Docg Extra Brut 2018, un blanc de noir da pinot nero, si aggiudica la Corona, massimo riconoscimento della guida. Uno dei vini realizzati in collaborazione con le cantine Giorgi, in Oltrepò Pavese, terra natale del conduttore televisivo, che per la precisione è originario di Camporinaldo, una frazione del comune di Miradolo Terme.
Zio Gerry, come è affettuosamente chiamato, è premiato anche come Ambasciatore del vino italiano e del territorio oltrepadano, un riconoscimento meritato perché parla, molto spesso, più del territorio che delle sue bottiglie. “I vini dell’Oltrepò sono vicini a una massa di utenza clamorosa come Milano, grande metropoli italiana e l’unica in ambito mitteleuropeo a distinguersi sia per la moda, l’arredamento e il design sia per il numero di visitatori. E sono vicini alle possibilità della gente comune, non sono impossibili. Sono vini con un ottimo, se non il migliore rapporto qualità prezzo in Italia. E poi sono vini schietti. Io sono un pavese ruspante, anomalo. Mi avete conosciuto in tv, alla radio, ma i miei compaesani sono un po’orsi, parlano poco, preferiscono stare zitti. Però sono schietti, come il vino, se c’è una cosa che mi devono dire me la dicono. E questo è un grande pregio”.
Genuinità e semplicità sono protagonisti del suo storytelling, parole chiave che in fondo rappresentano al meglio il nostro essere italiani. Un’identità molto chiara la sua. “Io produco vino grazie a un imprenditore, Fabiano Giorgi, che ha trasformato un mio sogno, da appassionato di vino quale sono, in realtà”, racconta il noto conduttore.
Una collaborazione nata sei anni fa e che un anno dopo li ha portati al primo Vinitaly insieme. “Fu Rudy Zerbi che mi presentò Fabiano. A qualcosa  – scherza – serve Zerbi. Il lavoro si è  poi trasformato, e non era scontato, in una bella amicizia”.
“Ricordo svariate polemiche all’inizio da parte di molti colleghi di Fabiano, puristi del vino, puristi da tastiera che dicevano che era arrivato l’ennesimo personaggio famoso che col vino non c’entra nulla. A me è piaciuto molto Gerry perché alla conferenza stampa del Vinitaly, in cui è stato presentato il progetto la prima volta, ha stroncato le polemiche sul nascere dicendo in maniera chiara che lui non andava in vigna e che non si sarebbe messo a lavorare, ma che per motivi di passione aveva piacere ad avere prima o poi dei vini fatti da lui o comunque a lui dedicati”, commenta il giornalista e critico Mauro Bertolli. “Il suo contributo è dire a Fabiano come vorrebbe che fossero i suoi vini, assaggiare le basi per capire come gli piacerebbero. Il Buttafuoco Storico ‘56 è eccellente, ricalca come deve essere fatto un Buttafuoco rispetto alla tradizione, ma ha anche uno slancio di modernità. Cinque anni fa le cantine che raggiungevano i punti  per poter essere ammesse al Merano erano quattro, l’anno scorso dieci, quest’anno ben diciotto avevano il punteggio minimo per puntare ad entrare”.
Scotti è sempre stato un passo indietro: “Non volevo e non voglio essere percepito come uno che nel mondo del vino vuole aggiungere, perché devo solo imparare. Non basta dire che sono nato lì, che a mia mamma si sono veramente rotte le acque in vigna, lì al pumgranin, e che sono attaccato alle mie origini. Oggi facciamo sei vini, circa trentaseimila bottiglie. Significa che qualcosa ha funzionato”.
Il prossimo obiettivo? “Continuare così, divertendoci e facendo cose belle e stimolanti insieme. Gerry è una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto”, conclude Fabiano Giorgi.