In Oltrepò quale sarà il futuro del Metodo Classico? Da più parti si spinge per l’adozione di un nome fortemente identitario e caratterizzante sui mercati. “Come Distretto abbiamo rilevato il marchio Classese e abbiamo tutti i diritti per poterlo utilizzare. Non sarebbe intelligente, però, da parte nostra tenerlo solo per noi, anzi dovrebbe essere un marchio utilizzabile da tutti i produttori, bisogna solo vedere con quali modalità: se chiamare tutta la Docg Classese o se dare la possibilità a chi vuole di poterlo usare e, prioritariamente, decidere cosa bisogna fare per potersene fregiare. Ci sono stati alcuni incontri con i produttori per capire meglio, ora li abbiamo sospesi perché è ancora in itinere il rinnovo del disciplinare della Docg che si chiamerà Oltrepò e non più Oltrepò Pavese, quindi sarà Oltrepò Pinot Nero Docg, con regole di produzione più stringenti, la raccolta manuale in cassetta obbligatoria e l’introduzione della tipologia Riserva. Torneremo a discuterne, comunque”, dice Fabiano Giorgi, presidente del Distretto del vino di qualità. Lo intervistiamo nella sua sede aziendale, a Canneto Pavese, qualche giorno dopo il premio Vinarius assegnato al territorio.
Fermento anche intorno alla Bonarda, vino storico dell’Oltrepò Pavese, sottovalutato ma che ne rappresenta la territorialità, il cui primo progetto di valorizzazione con l’hashtag #lamossaperfetta non aveva avuto grande fortuna,  oggi al centro di un nuovo rilancio per una remunerazione più congrua del prodotto. “Alla Bonarda va data dignità per riappropriarci, noi produttori di filiera, di un vino che è stato per troppo tempo in mano agli imbottigliatori e che su 13500 ettari vitati ne rappresenta quasi 4mila. La Bonarda per forza di cose è il vino della nostra storia e poi ha i quantitativi, a ruota la Barbera. Abbiamo anche nicchie come il Riesling Renano e il Buttafuoco da tenere in grande considerazione, anche se si punta sul Pinot nero sia per numeri sia per storia nobile del vitigno, Metodo Classico e versione in rosso. Il Pinot nero è l’unico prodotto che può dare un rilancio a livello di immagine e remunerazione alle nostre aziende. Ci sono potenzialità per aumentare la produzione del Metodo Classico, che nel territorio sfiora le 900mila bottiglie”, spiega Giorgi.
Gli chiediamo anche se sia a conoscenza che la Losito e Guarini, riferimento per la grande distribuzione italiana e punto di forza dell’economia territoriale, starebbe per immettere sul mercato, secondo rumors il prossimo mese di settembre, 100mila bottiglie di Metodo Classico da Pinot nero. Del prezzo di mercato non si sa nulla. “Conosco personalmente Davide e Renato Guarini, sono amici e persone affidabili, ma hanno una tipologia di lavoro totalmente differente dalla mia e da quella di noi produttori di filiera. Detto questo, meritano rispetto perché la loro è un’azienda di qualità, sono scrupolosi. Del resto anche nella piccola Franciacorta ci sono gli imbottigliatori, per non parlare del mondo del Prosecco. Importante è che i produttori di filiera con l’alta qualità che certamente un imbottigliatore non può garantire, può semmai garantire la qualità ma non l’eccellenza, continuino a tenere alto il livello”. Affonda: “Se così fosse, confido nell’intelligenza della Losito e Guarini per un posizionamento del prezzo del nuovo Metodo Classico rispettoso del lavoro di tutti. Credo che anche loro vogliano guadagnare e, di conseguenza, adotteranno una politica di gestione dei prezzi adeguata. Il mercato del Metodo Classico non richiede come quello degli Charmat prezzi molto bassi, concorrenziali semmai. La Losito e Guarini è una realtà solida del nostro territorio, assorbe quantitativi di vino importanti. I portatori di interesse del territorio devono essere i produttori di filiera, cui però, ed è questo il nostro grande problema, manca l’imprenditorialità. L’Oltrepò è un territorio molto più agricolo che imprenditoriale. Proprio per questo bisogna essere sempre più bravi a comunicarne l’eccellenza e a identificarla nel nostro nome. Dobbiamo comunicare i produttori di filiera ed è per questo che è nato il Distretto dieci anni fa, per rappresentarli. Oggi c’è un ottimo rapporti con il Consorzio e portiamo avanti interessi comuni. Gli imbottigliatori che sono nel nostro territorio dialogano con noi, sono presenti nelle istituzioni varie, non certo nel Distretto, ma c’è un buon rapporto. È importante, per la valorizzazione dell’insieme, che lavorino bene anche loro”.
C’è poca Docg in Oltrepò? “Certo, nonostante le potenzialità del territorio. Tanti spumanti sono realizzati come V.S. (vino spumante generico) o V.S.Q. (vino spumante di qualità) e quindi non riportano il marchio Oltrepò, ma solo il nome dell’azienda che li produce. Dovremmo riuscire ad avere una percentuale maggiore di Oltrepò Docg. Al di là del marchio aziendale, la valorizzazione del territorio passa attraverso la scritta Oltrepò. Lasciare in mano la Bonarda e il suo business non ai produttori di filiera ma agli imbottigliatori ci ha portati a una crisi enorme. Vedremo col Metodo Classico come andrà. Si parla da una ventina d’anni di Metodo Classico, ma nessuno ha fatto grandi sforzi per rilanciarlo. Se vogliamo dare una colpa, dobbiamo darla agli imprenditori del territorio, manca quell’imprenditorialità di cui parlavo”.
A proposito della sua azienda, la Giorgi wines, con sede a Canneto Pavese, dice: “Noi siamo passati da trentamila bottiglie annue di Metodo Classico a centosessantamila, non senza sacrifici. Fare spumante da lungo affinamento costa, alcune nostre bottiglie, come il Top Zero, che tra l’altro diventerà Docg insieme al 1870 e al Gerry Scotti, riposano 9 anni sui lieviti. L’obiettivo è arrivare a 46-48 mesi, come minimo, per il nostro prodotto d’entrata, invece per il più longevo puntiamo a dieci anni e oltre. Riusciamo a fare questi ragionamenti perché produciamo più di quanto immettiamo sul mercato, anche se l’aumento delle vendite è stato esponenziale. Attualmente abbiamo un magazzino di quasi 500mila bottiglie di Metodo Classico, quindi possiamo attenderlo. Solo così si garantisce la qualità”.
Oltrepò Pavese, proiettato verso l’eccellenza e riconoscimenti prestigiosi. Con la sua Denominazione (6 Doc e una Docg relativa al Metodo Classico), il territorio ha vinto nei giorni scorsi il nono premio Vinarius, assegnato dall’Associazione Enoteche Italiane. Motivazione: qualità e sostenibilità driver della crescita e dello sviluppo territoriale per quanto riguarda il comparto vitivinicolo. Il premio è assegnato ogni due anni a un territorio a spiccata vocazione vitivinicola, con un paniere agroalimentare rilevante e una valorizzazione delle tradizioni e dell’accoglienza enoturistica, oltre a una certa attenzione per le politiche ambientali. “Sicuramente è un motivo di orgoglio e ancora di più lo è stato ricevere questo premio nel palazzo del Senato, a Roma, sintomatico di come il vino sia sempre più al centro del dialogo con le istituzioni. Si premia il territorio e indirettamente tutte le nostre imprese nel loro ruolo di ambasciatrici del made in Italy d’eccellenza. Vinarius rappresenta circa 110 enoteche in tutta Italia e ha affiliati all’estero che trattano prodotti italiani di assoluto pregio. È una delle associazioni più storiche e importanti e si è spostata anche su un discorso di valutazione della produzione agroalimentare. Essendo la Camera di Commercio di Pavia capofila del progetto, hanno deciso di premiare il territorio pavese nella sua interezza”. Conclude: “Il vino è attrattivo e come tale deve essere sostenuto da una politica intelligente che premia il lavoro in vigna di tanti viticoltori che fanno della loro professione quasi una missione. L’Oltrepò deve diventare un brand sinonimo di assoluta e comprovata qualità. Dovremo lavorare in questa direzione nei prossimi anni”.