Proprio l’altro giorno stavo leggendo la prefazione di una famosa guida enogastronomica. Sostanzialmente da quelle pagine era lecito immaginarsi che fosse stata scritta da un gruppo di gourmet e sommelier raffinatissimi e discreti, che agivano nell’ombra come guerrieri ninja, nel totale anonimato, incorruttibili e giusti come la Dea giustizia, disinteressati come Wladimir Luxuria a una coniglietta di Playboy, implacabili come un gesuita dell’inquisizione. In pratica si era indotti a credere che questi templari del mangia & bevi giravano l’Italia, a volto coperto come gli agenti dei gruppi speciali, e testavano severi ma giusti ogni locale dove venisse servito un piatto caldo, e ogni cantina ove si nascondesse una bottiglia, senza guardare in faccia a nessuno, pure che fosse uno chef stellato o una leggenda dell’enologia, per poi distillare dalle loro taglienti penne giudizi definitivi.
Ero addirittura esaltato da tanta dirittura morale. Purtroppo la sera ho parlato con un amico che contribuisce a una delle più famose guide italiane e ho scoperto che con le buone intenzioni prima ci hanno lastricato le vie dell’inferno, ma poi ne sono avanzate e così le hanno usate per le guide.
Come al solito, il primo ostacolo che si frappone tra la totale imparzialità dichiarata e la triste realtà sono i soldi, che una volta di più siano maledetti. Gli editori riconoscono a chi prova i ristoranti (quando va bene) tra i trenta e i quaranta euro per scheda, ossia, il più delle volte, meno del conto che poi si dovrà pagare, anche nella più ordinaria delle trattorie. Dunque, andando sul pratico, gli editori chiedono ai collaboratori di agire nell’anonimato e pagare, ma poi non rimborsano nemmeno il conto. Il risultato di questa ipocrisia? Che gli ispettori arrivati nel locale si presentano come esaminatori della tal guida e vengono trattati come un cliente normale mai verrebbe trattato, e il conto di solito lo saldano con una stretta di mano e la promessa di avere un occhio di riguardo. Certo, un tempo la guida Michelin era nota per essere veramente imparziale e i suoi esaminatori per agire nella totale segretezza, come James Bond, terrorizzando i ristoratori, che cercavano ogni sera di scoprire se tra i clienti si celasse un emissario della temutissima guida con la copertina rossa. Di questa cosa, quando ero all’università, se ne approfittava una mia amica bella, elegante e un po’ disonesta, che quando era in vacanza ogni sera si vestiva con grande stile e frequentava i migliori locali delle località dove soggiornava, con un asso nella manica. Prima di partire si comprava un quadernetto rilegato in finta pelle rossa, sulla cui copertina faceva stampare in lettere d’oro, ben visibile, qualcosa tipo “Guide Michelin, cahjer de l’examinateur”. Dopo di che si sedeva al tavolo tenendo il taccuino bene in vista e annotandoci sopra qualcosa furtivamente dopo ogni piatto. Il cameriere lo notava e riferiva al maitre, il maitre allo chef e lo chef correva dal titolare. Ovviamente la mia amica, se glielo domandavano negava di essere lì per fare una recensione, ma alla fine era raro che le facessero pagare il conto, e se un conto c’era equivaleva a poco più di un coperto. 
D’accordo, avete ragione, come al solito ho divagato. A essere sincero menavo il can per l’aia per non affrontare il dossier delle guide ai migliori vini. Che poi, più correttamente a volte dovrebbero essere definite guide ai migliori vini degli amici di chi ha scritto la guida. Certo, come al solito ci sono gli onesti, ma il problema è che ci sono anche tanti disonesti e come al solito a perderci è da una parte l’unico che andrebbe rispettato a ogni costo, ovvero il poveretto che alla fine compre la guida, e dall’altra la credibilità di tutto il mondo del vino.