Winestopandgo incontra Luca Giavi, direttore del Consorzio del Prosecco Doc, a Treviso nella splendida sede consortile, in piazza Filodrammatici, per fare il punto della situazione pre vendemmia: dal prezzo delle uve ai temi del valore e della protezione del marchio. Circondati da tanta bellezza non si può non contestualizzare la visita. “Il mio consiglio di amministrazione ha fortemente voluto, nella logica dei più importanti consorzi europei, una sede che in qualche modo fosse lo specchio di una cultura, di una tradizione, di un territorio. Questo è un tipico palazzo veneziano cinquecentesco, in parte distrutto con il bombardamento del venerdì santo del ‘44 durante la seconda guerra mondiale. Nel salone centrale si può vedere che solo una parte degli stucchi è originale. Anche attraverso la nostra sede raccontiamo una storia di questo territorio. Negli stucchi, infatti, compare la frutta, in particolare l’uva, testimonianza di una tradizione enologica che si perde nella notte dei tempi”, racconta Giavi. “Questa piazza è una delle più antiche di Treviso, probabilmente quella del primo insediamento abitativo”.
Di formazione giuridico- economica, con alle spalle 25 anni nell’agroalimentare italiano, già direttore del Consorzio del Radicchio Rosso di Treviso Igp e da 10 anni del Consorzio del Prosecco Doc – presieduto da Stefano Zanette, al quarto mandato -Luca Giavi è molto pratico, in linguaggio giornalistico utilizziamo l’espressione “sul pezzo”. “La mia formazione è legata alle esigenze di tutela del prodotto e gestione di sistemi complessi come i consorzi”. Convinto, in linea con il suo presidente, che per andare avanti occorre darsi obiettivi di miglioramento, margini di crescita in termini di percepito e valore. Detto ciò, il vino deve essere piacevole, perché “farlo per tenerlo nei caveau non è il nostro scopo”.
Prosecco, un successo mondiale senza precedenti nel mondo delle bollicine italiane. Ma il tema del valore come viene trattato visto che si trovano sullo scaffale bottiglie a poco più o poco meno di 2 euro?
Siamo sui 500 milioni di bottiglie certificate e andremo verso i 600 milioni, con il Prosecco Doc Rosé che allunga il passo rispetto all’anno precedente e nei primi sette mesi del 2021 raggiunge 45,1 mln di bottiglie (contro i 16,8 del 2020), circa il 13% del totale. Il tema del valore ci sta a cuore. Sotto i tre euro a bottiglia abbiamo meno del 5% dei volumi trattati, ma è sempre quello che fa notizia. Quando andiamo al supermercato conosciamo il valore di alcuni prodotti che sono dei “benchmark”. Per giudicare l’economicità o la convenienza di un punto vendita guardiamo il prezzo del Grana Padano o del Parmigiano Reggiano. Ci sono prodotti sui quali si focalizza l’attenzione del consumatore, motivo per cui molto spesso i nostri vini vengono utilizzati come prodotti civetta e il loro prezzo di vendita è studiato per attirare tale attenzione. Al netto del fatto, poi, che molti prodotti sono posti in vendita fino ad esaurimento scorte e al netto del fatto ancora che è possibile aggirare la normativa sull’obbligo di indicazione del sottocosto. Evidentemente, invece di far comprare il vino alla società che vende il prodotto, lo si fa comprare ad una società di comodo, magari appartenente allo stesso gruppo, che lo rivende al supermercato a un prezzo più basso: rivendendolo al prezzo di costo o leggermente maggiorato non c’è l’obbligo di dichiarare il sottocosto e in questo modo la norma è stata aggirata. Questa è una pratica abbastanza diffusa in certi tipi di supermercati che non vogliono dichiarare il sottocosto perché è un’azione spot, quando invece il loro tentativo è di far vedere che si è convenienti tutti i giorni. Al di là del sottocosto, le promozioni sul nostro prodotto, come su altri, sono molto frequenti. La tutela la facciamo verificando innanzitutto che il Prosecco sugli scaffali sia effettivamente Prosecco, intervenendo sia nei punti vendita sia nel commercio online. Oggi il successo nostro sconta il fatto che si chiami Prosecco ogni tipo di spumante. Questo è un fenomeno che ha riguardato, seppur in ambiti diversi, rollerblade, scotch, k-way, walkman. Tendenzialmente la gdo italiana è molto attenta, invece all’estero i fenomeni di non correttezza sono molto più diffusi, basta pensare ai tentativi di utilizzo di menzioni similari al Prosecco per identificare prodotti diversi. Comunque sullo scaffale troviamo tanti Prosecco al prezzo di note denominazioni spumantistiche di metodo classico. Che il Prosecco sia sempre la cenerentola non va bene. Producendo milioni di bottiglie è facile sparare contro. Nessuno polemizza sul fatto che ci siano dei Bordeaux venduti a poco più di 3 euro, così come ci sono anche dei Bordeaux che valgono centinaia di euro, motivo per cui occorre portare all’interno del prodotto quegli elementi differenziali che giustifichino il costo. Quando la differenza c’è ed è riconoscibile, il consumatore è disposto anche all’interno della stessa denominazione a pagare prezzi diversi. Il sistema del Prosecco non si lamenti di chi vende il prodotto a 3,50 euro, perché quella bottiglia esprimerà una qualità e un profilo organolettico che vale e giustifica quel prezzo.
È possibile imporsi sulla gdo?
La gdo in questi anni ha fatto notevoli passi avanti comprendendo l’importanza dell’utilizzo delle denominazioni di origine come garanzia offerta ai consumatori e quindi non vedo la necessità di imporsi. Nel mondo della grande distribuzione c’è un proliferare di insegne, alcune molto aggressive che utilizzano tutti gli strumenti a disposizione. Io mi sto battendo perché ci sia una riflessione a livello comunitario e una logica, pur nel rispetto della libertà del mercato, con dei paletti, una regolamentazione di buon senso. Non si possono tenere prodotti a denominazione in promozione per tutte le settimane dell’anno. Il rischio è di incidere negativamente sul percepito del prodotto. Se un vino è sempre in offerta perde credibilità il sistema. Noi mettiamo a disposizione del consumatore tutta una serie di informazioni che altri produttori non rendono disponibili ed è giusto che il nostro prodotto abbia il sistema delle tutele particolari, anche perché questi vini rimangono a salvaguardia del territorio. Se facessimo saltare il sistema delle denominazioni di origine intere zone imploderebbero. Sono patrimoni strettamente legati alla componente agricola e quindi alla preservazione di un determinato contesto ambientale. Oggi guardiamo i boschi che bruciano in giro per l’Italia e rabbrividiamo, ma, al netto dei delinquenti che compiono azioni criminali, c’è un territorio che non è più preservato. Il bosco di oggi non è più quello di 50 anni fa perché non è più manutentato, non ci sono più i pascoli in alta quota. Questo determina una crescita disordinata degli ambienti e fenomeni di questo tipo si verificano più facilmente. L’agricoltura deve ripensare il suo ruolo anche in un’ottica di salvaguardia del territorio, per prevenire smottamenti e dissesto idrogeologico.
È già stato comunicato il prezzo delle uve?
È nettamente in crescita. Si va da un minimo di 1,05 al kilo a un massimo di 1,15 per il convenzionale e da un minimo di 1,25 a un massimo di 1,35 per il biologico.
Ci sono paesi dove il vostro export sta crescendo a dismisura…
Sì, il Belgio, ma è determinato dal fatto che con la Brexit è stata realizzata una piattaforma che importa il vino in questo paese per poi rivenderlo nel Regno Unito, dove infatti il nostro export è in calo del -6,2%, dato che però va aggiustato con il +168,8% del Belgio, che in volume assorbe più della Francia, anche se è prodotto destinato al Regno Unito. Coldiretti non se ne era accorta, glielo abbiamo segnalato appena visto il calo non giustificato nel Regno Unito e la contestuale esplosione rapida del Belgio. Detto questo, i primi mercati sono tutti in crescita, con un export totale tra il 75 e l’80%. Ai primissimi posti, per quanto riguarda il Prosecco Dop totale, troviamo Regno Unito, Stati Uniti (+32,5%) e Germania (+7,2%) che tradizionalmente assorbe ancora il 43% del nostro frizzante. Con la soddisfazione della crescita della Francia, che nei primi mesi del 2021 ha messo già a segno un + 17,6%. Bene anche Svezia (+27,1%), Canada (+10,7%), Polonia (stabile a +0,3%), Russia (+95,7%, con destinazione del mercato 2,3%). La Russia è un mercato dove i dati sono random, non ci sono trend consolidati. Per quanto riguarda invece il mercato domestico performa meglio il Centronord.
Quali mercati state cercando di perforare?
Crediamo di avere grandi opportunità nei mercati del Far East. La Cina è il primo paese dove abbiamo aperto la nostra Casa Prosecco, che fa attività di monitoraggio, promozione e comunicazione nel territorio cinese. La Cina nei primi cinque mesi del 2021 ha registrato +199,1% (destinazione mercato 0,5%). Siamo partiti puntando sulla versatilità del prodotto, in grado di abbinarsi alle diverse cucine cinesi. In realtà abbiamo capito di aver sbagliato nella misura in cui il cinese andava in cerca del Prosecco come esperienza del mondo occidentale, di un bere internazionale. La Cina è uno di quei mercati dove le vendite hanno risentito di più durante il 2020, perché loro associano il Prosecco a momenti di festa collettiva, sostanzialmente ai party. Il Giappone sta andando discretamente bene (+9%) anche se ha sofferto molto la situazione pandemica. L’anno scorso aveva performato con circa un +20%.
Protezione del marchio: come va con il Carso e la diatriba sul Prosekar?
Non c’è nessuna diatriba. Stiamo lavorando con l’associazione che ha registrato il termine Prosekar per trovare una soluzione che lo inserisca all’interno della nostra denominazione. C’è della gente che non si è mai occupata di “prosekar” che evidentemente avendo paura che questa azione possa favorire alcuni piccoli produttori locali, che finora non avevano grande visibilità, a danno loro, cerca di boicottare l’iniziativa. Alcuni produttori seri stanno dilagando con noi. Abbiamo coinvolto ben quattro enologi che stanno lavorando per arrivare a un prodotto standard nel tempo, che sia fortemente identitario per quella parte del territorio e che consenta a questo prodotto di distinguersi dal Prosecco come lo consociamo oggi. Prima dell’estate abbiamo fatto l’ultima riunione, andiamo avanti anche se qualcuno in Friuli Venezia Giulia, sul Carso, non vede bene questo progetto perché pensa di perdere identità, ma, ripeto, è un problema loro. Diverso è quello che si sta verificando col Prosek, tentativo dei croati di inserire all’interno della denominazione Istria una menzione tradizionale che loro utilizzavano in precedenza ma che noi non vogliamo si autorizzi. Hanno fatto richiesta all’Unione europea, che valuterà. Dalla presentazione della richiesta c’è tempo due mesi per fare opposizione, che noi faremo assieme anche ad altre denominazioni europee importanti perché si rischia di indebolire tutto l’assetto di protezione della denominazione a livello internazionale. Questo fenomeno, che normalmente l’Unione europea non ha mai accettato da parte di altri paesi, pensiamo alla diatriba fra Friuli e Ungheria per il tocai, se iniziasse ad accettarlo ora si indebolirebbe il sistema. I croati si giustificano col fatto che si tratti di un prodotto totalmente diverso, ma anche il nostro tocai era totalmente diverso da quello ungherese però abbiamo perso la battaglia. Mi auguro che non si debba arrivare in corte di giustizia europea. Il Prosecco, come ettari coltivati, copre l’area da Vicenza a Trieste e da Belluno a Venezia, per un totale di 24450 ettari di glera, al netto del fatto che quest’anno, con mercati che stanno crescendo e una riduzione delle rese in campagna, resa media che stimiamo intorno a 165 quintali a fronte del limite massimo di 180, dovremo pensare a una soluzione. Ci sono zone in cui, a causa di gelate tardive e grandinate, abbiamo perso il prodotto. Faremo, quindi, un attingimento straordinario di circa 6000 ettari per cercare di portare in equilibrio la denominazione. È un’opportunità che abbiamo e che vogliamo in qualche modo sfruttare. Avendo introdotto dal 2011 il blocco degli impianti solo una parte dei vigneti ha l’attitudine a produrre Prosecco Doc, negli altri è glera che viene normalmente destinata ad altre produzioni. Utilizzeremo questi vigneti per colmare il deficit produttivo.
Il rosato con Pinot nero nel limite massimo del 15% e nel minimo del 10% è un successo nei numeri. In futuro si penserà a un taglio con autoctoni tipo Raboso e Refosco?
Il Pinot nero era già ammesso nel disciplinare del Prosecco Doc ancorché vinificato in bianco, adesso è ammesso vinificato in rosso per la produzione del vino rosato. È stata una scelta per certi versi coraggiosa che ha fatto chiarezza. Prima dell’introduzione nel disciplinare della tipologia rosato oltre il 50% degli americani diceva di essere a conoscenza che il prodotto esisteva già e di averlo bevuto. Chiaro che se un produttore di Prosecco, anche molto noto, si mette a produrre dei vini rosati nell’immaginario del consumatore diventa un Prosecco rosé. L’opportunità della nostra scelta è stata quella di fare chiarezza. Oggi si sa da dove provengono le uve, ossia dallo stesso territorio del Prosecco, quindi Veneto e Friuli, mentre prima nel rosé generico non era così. Inoltre si è resa obbligatoria la spumantizzazione con oltre due mesi di permanenza sui lieviti, cioè il doppio del tempo minimo consentito per il Prosecco che conosciamo. Abbiamo abbassato le rese del Pinot nero per caratterizzarlo e il colore mantiene una certa costanza nel tempo. Stiamo facendo prove con gli autoctoni. Alcune varietà non sono però omogeneamente distribuite in tutto il territorio. Bisogna trovare varietà presenti nell’area della denominazione, come il Refosco in Friuli e il Raboso in Veneto. Sarebbero vini con una buona acidità e nell’ottica del cambiamento climatico sarebbe auspicabile questa scelta.
La tipologia colfondo pare vivere una buona stagione. Quali strategie adotterete per coinvolgere questi produttori?
Il Prosecco rifermentato in bottiglia è un prodotto destinato a una fetta limitata del mercato, ma molto interessante. Si tratta di un consumatore molto profilato, che viene guidato nella scelta. Da anni stiamo portando avanti una campagna di abbinamento della pizza col Prosecco e nelle pizzerie gourmet in giro per l’Italia richiedono solo il Prosecco rifermentato in bottiglia perché lo trovano ideale in alternativa all’abbinamento pizza e birra.
Sostenibilità: quali vie propone il consorzio per coinvolgere la filiera?
Ci siamo dati l’obiettivo di raggiungere la certificazione di denominazione sostenibile, questo per arrivare almeno al 60% della produzione certificata all’interno della denominazione. Obiettivo a tre anni, ma speriamo di arrivarci prima mettendo in atto tutte le misure possibili per rendere la sostenibilità un pre requisito. Oggi non può esistere una produzione di qualità e una denominazione di origine che non abbia come obiettivo la sostenibilità. Ci piace utilizzare la traduzione letterale del termine francese che è “durabilità”. Dobbiamo fare in modo che il Prosecco non sia un fuoco fatuo, ma qualcosa che rimanga nelle generazioni future. Non siamo una produzione industriale che domani può scegliere di attingere le uve in un’altra parte d’Italia, d’Europa, del mondo. No, la nostra produzione è legata al territorio, la cui preservazione è condicio sine qua non che il Prosecco continui. Il nostro presidente è fortemente coinvolto ed ha la credibilità da viticoltore per andare a perorare la causa presso il sistema produttivo. Avevamo provato ad anticipare i tempi con l’introduzione di provvedimenti di sostenibilità ambientale già tre anni fa, ma questo ci è stato in qualche modo impedito da una visione miope di alcuni dirigenti e funzionari del ministero che hanno sempre ritenuto che la sostenibilità non avesse una relazione con la qualità. Fortunatamente a livello comunitario, nella nuova Pac, si è esplicitato che le misure ambientali trovano dignità all’interno dei disciplinari di produzione. Chi non sarà allineato non otterrà la certificazione. Questo il punto dirimente.
Come sono i rapporti con Asolo e Conegliano Valdobbiadene?
Con gli altri due consorzi della Docg c’è un rapporto di collaborazione molto stretto. Abbiamo costituito una società che si chiama Sistema Prosecco per la tutela a livello internazionale del prodotto, una realtà che speriamo possa essere implementata nei prossimi anni per coordinare attività che vanno oltre la tutela, per esempio la promozione. Nel caso del Conegliano Valdobbiadene, oltre il 90% delle aziende producono anche il Prosecco Doc, quindi la collaborazione non può che essere proficua. Con Asolo, un po’ più piccola quanto a numeri, c’è osmosi di idee e spunti, fiducia. D fronte a una realtà come il Prosecco Doc, che realizza risultati come quelli che abbiamo visto in questi ultimi 10 anni, ci può essere qualche atteggiamento di sana invidia, ma al netto di questo da parte nostra confermo la piena disponibilità a collaborare. Essere leader è un grande privilegio e una grande responsabilità al tempo stesso.