Let’s Marche. Tradotto: “marchigiamo, occupiamoci delle Marche, ma anche muoviamoci verso le Marche”. Il claim, da poco presentato non a caso nella sede dell’Enit, rende bene l’idea della nuova campagna di informazione per la valorizzazione a tutto campo della regione. Parola chiave enoturismo potenziato o se preferiamo “allargato”, sicuramente un enoturismo più professionale e dialogante, pensato per l’enonauta 4.0, che cerca l’experience immersiva in grado di far parlare le Marche senza parlare, attraverso contaminazioni. per una narrazione a 360 gradi di luoghi unici e irriproducibili altrove.
Se ne è parlato in questi giorni al convegno di Recanati organizzato dall’Istituto marchigiano di tutela vini, conclusivo di una tre giorni che attraverso nove itinerari differenti spalmati su sedici denominazioni (quelle tutelate dall’ Imt) ha permesso a oltre settanta giornalisti di vivere e scoprire le Marche nelle sue diverse anime: come una delle regioni con la maggior biodiversità, fra mare e montagna, ma anche le Marche dove è radicata la cultura del piccolo fatto bene, dell’artigianalità diffusa, della qualità sartoriale, fil rouge delle micro imprese, non solo agricole, di cui il territorio pullula. Partendo dal vino, ovviamente.
“Dobbiamo lavorare in un’ottica sinergica dove l’accoglienza non è secondaria perché il turista non si porta a casa il ricordo del posto più bello ma di quello dove si è trovato meglio. Non è più tempo per i particolarismi”, esordisce Michele Bernetti, presidente dell’Istituto marchigiano di tutela vini. “Dobbiamo mettere a sistema nel circuito turistico dei tour operator un’offerta che non può essere solo quella del vino. Noi facciamo la nostra parte, ma occorre legarci al territorio per un racconto corale. Il vino è una leva promozionale molto importante sulle nuove forme di turismo e un modo per destagionalizzarle. Mi auguro che questo sia l’inizio di un percorso di valorizzazione per gli anni a venire” .
Arriva dritto al punto Mirco Carloni, presidente della Commissione Agricoltura alla Camera dei deputati, che affonda: “L’enoturismo non si deve snaturare, deve restare un fatto agricolo. Francamente vedo tanti pericoli intorno a questo tema. Ho capito che ci sono difficoltà applicative della legge regionale, serve un ulteriore sforzo da parte della Regione per rendere effettiva la norma, e questo nasce anche dal confronto. Non possiamo trasformare l’enoturismo in occasione per farlo fare a chi non lo sa fare, ad altri soggetti economici che non ne sono deputati, altrimenti rischiamo di abbassare il tiro. Proprio perché l’enoturismo sta diventando un trend non deve essere utilizzato un po’ dappertutto. Deve diventare un’opportunità per gli imprenditori agricoli che nella diversificazione del reddito e nella ricerca del maggior valore aggiunto anziché vendere le bottiglie ai grossisti le aprono e fanno mescita in cantina. E poi il vino va fatto pagare e il prezzo deve essere alto. Per convincere di questo i consumatori per primi e chi sta nella filiera distributiva, ci viene in soccorso l’enoturismo, che fa percepire un valore alto del prodotto, quanto sacrificio gli sta dietro, quindi non può essere svenduto. Serve la percezione che quello delle Marche è un vino di qualità. Non camminiamo al contrario, non facciamolo percepire un bene di scambio che può essere venduto come un’altra cosa, o peggio come qualsiasi cosa. L’enoturismo parte da un fatto: trasformare i luoghi della produzione agricola in luoghi di attrazione turistica e accoglienza. Questo è un passaggio culturale, ma anche imprenditoriale perché prevede investimenti e una crescita complessiva. La regione deve essere in grado di diventare accogliente, affascinante nella sua diversità. Ma soprattutto non permettiamo all’Europa di considerare il vino un prodotto a base di alcol. Nella fase in cui l’enoturismo sta diventando autorevole e importante è necessario agganciarlo a dei concetti. Oggi i tempi sono maturi, con strumenti legislativi che prima non c’erano. Serve una comunità di imprese che ci creda, invece all’iscrizione al registro degli operatori enoturistici ci sono ancora poche persone”. Continua: “Le Marche sono potenzialmente un motore inespresso di attrazione di turismo rurale. Si possono creare esperienze a livello enoturistico, tartufigeno, del cibo. Avevamo come handicap la logistica, che ora stiamo risolvendo perché dall’ 1 agosto sapremo chi è l’operatore che ha vinto la gara europea e dall’ 1 ottobre inizieranno i voli”. Conclude: “Il futuro delle Marche è portare i turisti nel luogo di produzione agricola e raccontare la straordinarietà del suo sistema agricolo, che ne è il valore aggiunto. Nelle Marche c’è un’attività agricola micro e diffusa. Va costruito un percorso guardando alla qualità, puntando in alto. L’enoturismo non può diventare un movimento di massa. Sarebbe un errore clamoroso, storico. Il consumatore altospendente deve visitare la nostra regione perché trova qualità e deve essere disposto a pagare parecchio perché il vino delle Marche vale. Lo storytelling è culturale. Francesco Scacchi, monaco e medico fabrianese, scrisse nel XVII secolo, per la prima volta nella storia, il metodo di spumantizzazione del vino come rimedio ad alcune patologie, un libro sulla salute. Poi nacque il metodo Scacchi, molto prima di Dom Perignon, di quella fase del monachesimo francese che ha letto il suo libro per realizzare la spumantizzazione di cui la Francia si vanta, ma che in realtà è nata qui”.