Per Natale incontriamo il manager della finanza Massimo Gianolli, Ceo di Generalfinance, che in Valpantena ha realizzato il suo sogno: produrre Amarone, che vende in gran parte en primeur a collezionisti e appassionati di tutto il mondo, rivalutando, grazie anche al meticoloso lavoro in vigna dei coniugi Claude e Lydia Bourguignon, l’immagine di un territorio che prima della Collina dei ciliegi, la sua spettacolare tenuta a Erbin, che comprende anche Ca’ del Moro wine retreat, non aveva l’ambizione di produrre grandi vini.
Ennio Doris, scomparso di recente, operava nel settore bancario. Lei lo conosceva?
Lo stimavo molto, era un uomo di grandissimo spessore e ha lasciato un segno importante in Banca Mediolanum. Con la Collina dei Ciliegi abbiamo realizzato serate di degustazione in collegamento dalla cantina col gruppo Mediolanum, un modo per trascorrere il periodo pandemico degustando i nostri vini, anche in abbinamento con il risotto, uno dei piatti forti a Ca’ del Moro, il nostro ristorante interno gourmet. Un percorso a distanza che continua tuttora. Ennio Doris rappresenta chi si è fatto da solo, con una lunga gavetta, chi conosce il valore del denaro, ma soprattutto chi nei momenti di crisi ha saputo tenere la barra dritta. Ottimismo, amore per la propria famiglia e la propria azienda sono elementi cardine di ogni successo. Non bisogna pensare all’impresa come a un semplice strumento per far soldi, ma dobbiamo creare un’impresa pensata per il futuro, per i clienti, per i collaboratori. Così anche nel mondo del vino. La qualità che ha espresso Ennio Doris in Banca Mediolanum va oltre la vita terrena della persona. Sarà felice lassù perché ha lasciato una magnifica azienda, un team forte, del tempo dedicato alla propria moglie. Questi sono valori importanti per governare le nostre vite e la nostre imprese. Se ci pensiamo bene, alla fine sono poche le cose che contano davvero.
Come si colloca l’innovazione, di cui tanto si parla oggi e che porterà a una necessaria transizione ecologica nel mondo del vino, nella finanza?
Nel settore finanziario l’innovazione è importante, ma credo che oggi più che mai la vera innovazione sia la capacità di dare fiducia ai clienti e alle imprese, rispolverando qualcosa che abbiamo perso. Fiducia significa innovare. Seconda cosa, ascoltare le esigenze delle imprese e delle famiglie e non massificare i prodotti. Questo è il solco della tradizione di Generalfinance, che è una azienda familiare. Possono sembrare elementi old style invece non è affatto così. Come Generalfinance abbiamo un tessuto di imprese che vanno dalle medio-piccole a quelle di grandi dimensioni. Ci rivolgiamo alle imprese in bonis e a tutte quelle realtà che hanno bisogno di cure. Siam una sorta di pronto soccorso, quel luogo a cui un’azienda che ha delle tensioni di liquidità o ha necessità di ristrutturare il debito si rivolge anche perché sa di essere custodita e indirizzata in un percorso più virtuoso che possa servire a salvaguardarla. Questa forma di aiuto non deve essere visto come un fallimento dell’imprenditore, ma come una necessità di cura: chi è malato e sta male va in pronto soccorso, poi in corsia, poi fa le cure ed esce. Dietro il piano di rilancio di molte imprese ci siamo noi. Ricordo la recente operazione Paluani di Verona, azienda a rischio chiusura, dove Generalfinance ha deliberato un plafond da 19 mln di euro per supportare la continuità aziendale. Ma anche il gruppo Boost di Bergamo, in grave crisi per la pandemia, dove il piano concordatario prevede un finanziamento di 4 milioni da Generalfinance. Cerchiamo di salvaguardare il valore dell’impresa, della famiglia, dando finanza e supportando le imprese nel processo di ristrutturazione. Al giorno d’oggi, tutto questo non le sembra innovativo?
E con le cantine come sono i vostri rapporti?
Cantine in ristrutturazione attualmente non ne seguiamo, ma abbiamo rapporti con cantine in bonis che cedono i crediti in Italia e all’estero, perché Generalfinance è specializzata anche nella gestione di crediti di portafoglio all’estero.
La situazione venutasi a creare con il covid accelererà l’interesse del mondo della finanza per il vino?
Sicuramente sì. C’è movimento ma c’è anche la necessità di procedere con aggregazioni e joint-venture, di uscire dal reticolo di micro imprese che caratterizzano il tessuto imprenditoriale vitivinicolo italiano. Sono convinto che nei prossimi anni si assisterà a un cambio di passo, serviranno aziende più grandi e strutturate. Se si guarda all’estero esistono multinazionali del vino, mentre in Italia i soggetti che fatturano più di cento milioni di euro si contano sulle dita della mano. Basti pensare a gruppi internazionali come Gallo, negli Stati Uniti, che ha creato strutture importanti, ma anche Lvmh, Advini. La divisione wine & spirits di Lvmh, per esempio, nei primi sei mesi del 2021 ha messo a segno crescite in doppia cifra anche rispetto al 2019.
Cosa ne pensa delle recenti iniziative di fondi di private equity che stanno suscitando interesse nel mondo del vino, come Clessidra con Mondodelvino e Botter, Platinum con Farnese Fantini, il 7,5% in Masi agricola della Red Circle di Lorenzo Rosso (Diesel)?
Sono segnali che vanno letti e chi non li sa leggere rischia di essere tagliato fuori. Penso che anche con questi soggetti ci si debba alleare. L’apertura di capitale va bene per supportare la crescita e lo sviluppo delle nostre imprese. Che siano capitali esteri o italiani non conta visto che siamo in un mondo globale, importante è che venga conservata l’italianità del lavoro. Il settore vitivinicolo, penso a un vigneto o a una specifica varietà di uva, non si può delocalizzare, come accade invece per l’abbigliamento, quindi siamo certi che chiunque entri con capitali anche dall’estero non possa che contribuire alla crescita dell’azienda. Il fondo internazionale quando è entrato ha portato in molti casi a raddoppiare i volumi, gli utili e ha creato ricchezza. Se sono capitali italiani, a parità di valore li privilegio, ma non mi fossilizzo sulla loro provenienza. Mi interessa preservare la nostra identità, il valore dell’impresa, la nostra localizzazione, il valore delle nostre risorse umane, la capacità e il know how tipici italiani, che nessuno può delocalizzare.
La Cina è interessata ad acquisizioni in Italia?
Sì, però la Cina va ancora capita bene. Nel mio lavoro vedo imprese con investimenti cinesi, ma non siamo ancora maturi, o forse la Cina non è ancora matura per essere considerata un partner stabile. Sono felice di lavorare con i cinesi e contribuire ad alleanze e collaborazioni, però c’è ancora necessità di affinamento culturale e stabilizzazione dei rapporti. Spesso gli investimenti cinesi in Italia sono partiti e poi si sono svaporati, non sono stati di lungo periodo. Occorre valutare e soppesare l’alleato migliore. Noi ci siamo alleati col gruppo francese Advini e le affinità così come gli obiettivi sono molto elevati. Advini si sta occupando del nostro inserimento in diversi mercati internazionali. Nel frattempo siamo ben presenti sul mercato italiano con una distribuzione anche di vini dalla Francia, dal Sudafrica e presto dalla Spagna.
Come legge i rincari nel costo delle materie prime che tutte le cantine stanno avvertendo? Ci siamo consegnati troppo al mondo cinese forse?
C’era da aspettarselo per i mesi di lavoro persi a causa del covid e per il rimbalzo che c’è stato in particolare nel secondo semestre di quest’anno. Non è un problema solo cinese, ma globale. Mancano materie prime che arrivano dall’Africa, carta, gabbiette, alluminio, litio e ci sono problemi con l’acciaio. Consideriamo anche tutta l’attività esplosa nel settore dell’edilizia con il superbonus al 110% previsto dal Decreto Rilancio, con una marea di cantieri aperti. Si è verificata una situazione che sembra post bellica perché c’è tanto da fare ma tante cose sono rallentate da questa situazione. Sono convinto che si assesterà tutto. Comunque il forte rimbalzo del pil è anche molto positivo, manterrà un maggior costo delle materie prime, ma questo non è un elemento negativo, dimostra che l’economia è ripartita, quindi ci si adeguerà con i prezzi.
Oggi è appetibile investire in una cantina? Quanto pesano i problemi endemici del nostro paese?
Sicuramente sì. Sono appetibili cantine con certe dimensioni e presenti in certi mercati, che sanno produrre il vino, che hanno investito in una capacità produttiva e organizzativa della logistica. Non tutte le cantine sono appetibili perché ce ne sono troppe di famigliari, con stratificazioni interne complesse. Bisogna operare nella crescita della struttura manageriale, nella struttura societaria e nell’organizzazione dei passaggi generazionali che spesso e volentieri creano impasse all’interno delle cantine affinché diventino appetibili.
State pensando ad acquisizioni?
Stiamo lavorando a delle joint venture. Vedremo nei prossimi mesi se riusciremo ad acquisire o entrare anche in minoranza in aziende vinicole italiane. Le alleanze le stiamo cercando in Veneto, in Piemonte e in Toscana. Hanno capito in molti che è arrivato il momento di fare delle scelte. Il prossimo potrebbe essere un anno in cui si vedranno operazioni interessanti sul mercato. Oggi c’è molto della finanza e della farmaceutica nel vino.
Parliamo di en primeur. Come stanno andando le vendite del cru Ciliegio in barrique?
Molto bene. Contiamo di superare per Natale i 70 investitori, eravamo a 53 l’ultima volta che ci siamo sentiti. Il club cresce grazie al passaparola, ai premi, alla presenza in luoghi strategici come la Rinascente a Milano, alla qualità dei nostri prodotti, al riconoscimento della Collina dei Ciliegi come impresa innovativa, ecosostenibile, alla nostra capacità di creare relazioni, a un sano modo di vivere l’esperienza del vino anche attraverso Ca’ del Moro wine retreat.
Quanto costa una barrique?
Quindicimila euro più iva. All’interno di una barrique da 225 litri troviamo l’equivalente di 300 bottiglie da 0,75 l. Comprando l’en primeur il costo della bottiglia è di 50 euro più iva, quando la stessa esce sul mercato a partire da 75 euro, con un risparmio, quindi, del 25% circa. Garantiamo una crescita del prezzo dei nostri listini di anno in anno del 25% e le bottiglie sono numerate a mano. En primeur vendiamo il 70% del cru Ciliegio, con l’obiettivo di arrivare al 75%, il restante resta in carico alla Collina. Il 2015 è sold out, la riserva 2011 pure e chi possiede quelle bottiglie nel caveau ha la possibilità di bersele o poterle rivendere. In questo momento si possono comprare le botti delle annate 2018, 2019, 2020. IL 2017, invece, è stato imbottigliato il 3 settembre di quest’anno. Per gli enprimeuristi c’è la possibilità di venire in cantina, fare assaggi di botte, conservare le bottiglie nel nostro caveau e decidere il loro formato. Il cru Ciliegio deve affinare in barrique almeno 3 anni.
Il valore del tempo, che insegna l’agricoltura, stride con la finanza…
La finanza deve essere capace di saper ascoltare, deve capire il ciclo vitale di una impresa, di un progetto. Un investimento in agricoltura è di lungo periodo, quindi la finanza che vuole dedicarsi all’agricoltura deve prima di tutto capirci di agricoltura, deve capire, per esempio, che il progetto di un vigneto è a 20-30 anni, di conseguenza non può avere la velocità di un bene strumentale o di consumo. Per una vigna matura bisogna aspettare 18 anni. Ci sono progetti vitivinicoli che per i primi 6-7-8 anni non generano utili in cassa. Ecco che la finanza avveduta sa applicare il metodo corretto e sa che il preammortamento deve essere basato sul ciclo produttivo della pianta. Deve essere una finanza di lungo periodo correlata ai tempi della campagna e della natura, molto simili a quelli di un uomo.