A Venezia si è appena discusso del dossier da presentare in Europa sull’accesa querelle tra Prosecco e Prosek croato. Su quale piano si giocherà la partita? Riuscirà l’Italia a spuntarla, a non far aprire un pericoloso e clamoroso precedente?
Intervistiamo Sandro Bottega, la sua è una azienda leader del Prosecco ed esporta in oltre 150 paesi del mondo: bottiglie artistiche in vetro soffiato oggetto di mostre internazionali – le prime vengono realizzate nel 1987 quando al marchio Bottega si affianca il marchio Alexander -, una distribuzione capillare, una denominazione fortissima che si vende da sola. E un nome nel mondo dei distillati. La distilleria nasce nel 1977. La sede è a Bibano di Godega di Sant’Urbano, a 50 km da Venezia, vicino a Conegliano Veneto.

Sandro Bottega, sapete intercettare i gusti del consumatore a livello planetario con prodotti e formati diversificati, packaging estremamente accattivanti…

Cerchiamo di fare del nostro meglio. Questa è una azienda in cui non si dorme mai come a New York. Interpretare i gusti del consumatore non è semplice e bisogna farlo con tanti prodotti, non con uno. Ho la grande fortuna di poter contare su un team di professionisti con caratteristiche e con skills diverse, e a ognuno ho dato un incarico diverso affinché si esprimesse al meglio. Bisogna fare quel che si vuole fare nella vita per dare il massimo. L’abilità di un imprenditore è trovare persone che si appassionano, oltre che saper intercettare i cambiamenti.

Partiamo dalla cronaca. Siete una azienda leader nella produzione del Prosecco. Quante bottiglie producete?

Sui quattro milioni e mezzo. Siamo l’azienda più conosciuta nel mondo per il Prosecco, con una rete distributiva planetaria. Siamo presenti in tutti i ristoranti etnici del pianeta, siamo il primo Prosecco richiesto nel web. Nel duty free siamo il primo marchio italiano più venduto. Abbiamo creato un riconoscimento tale del Prosecco come prodotto di lusso di cui beneficiano tutti i produttori. L’aumento dei consumi, però, non è dato solo dalla capacità distributiva ma anche dalla forza di penetrazione dei tanti ambassador che educano al consumo di un certo prodotto in un dato modo e momento. Il giorno in cui avremo un esperto di vini in ogni ristorante del mondo, sarà un grande giorno. Ci sono ancora tanti ristoranti italiani in cui la cultura del vino è migliorabile.

A fine agosto abbiamo intervistato il direttore del Consorzio del Prosecco Doc Luca Giavi, secondo il quale la questione del Prosek croato non sarebbe mai stata messa in discussione in Commissione europea, invece siamo arrivati al punto di oggi…

Ci deve essere un’Europa che tuteli maggiormente le appellazioni di origine e che non si presti a situazioni di comodo. Non ho studiato a fondo le motivazioni che hanno portato a questa valutazione, però non credo che siano così forti come lo sono per il Prosecco. Il Prosecco nasce da un’appellazione di origine geografica che è necessaria per ottenere l’appellazione del prodotto. Prosecco è una città e non esistono città che si chiamino Prosek in Croazia. Non credo che ci sia una base solida su cui mantenere la posizione croata.

Quindi si aspettava una presa di posizione più forte subito da parte dell’Unione europea…

Sicuramente. Abbiamo dimostrato la nostra serietà quando abbiamo accettato la decisione dell’autorità superiore in merito al Tocai. La decisione deve però essere super partes e allo stesso modo la Croazia deve accettare che il Prosecco sia solamente italiano. A lungo andare si potrebbero creare problemi di mercato, ma soprattutto si potrebbe creare confusione nel consumatore che si troverebbe in difficoltà a riconoscere il prodotto originale italiano. Con Giavi e Zanette ci confronteremo in merito.

Secondo lei come andrà a finire questa partita?

Spero che alla fine vinceremo, però allo stato attuale è più “spero” che “credo”.

La politica aiuta gli imprenditori?

Innanzitutto dobbiamo ringraziare Mario Draghi per la sua intelligenza e comprensione del mercato, del mondo imprenditoriale. Sicuramente quello che sta facendo è il massimo che riesce a fare in questa fase. Non abbiamo avuto in passato grandi aiuti. Abbiamo deciso già da vent’anni di non ricorrere al prestito bancario e lavoriamo solo con mezzi nostri. Le banche aiutano ma hanno una visione della realtà che non sempre, ma non potrebbe nemmeno esserlo, corrisponde a ciò che conosce l’imprenditore, difettano di visione. Il mio auspicio è che si ritorni al vecchio direttore di banca e non ai supervisori, che le banche siano meno politicizzate e diano più fiducia al piccolo imprenditore che vuole crescere, standogli vicino, accompagnandolo in un percorso di crescita manageriale e gestionale. Se le banche prestano del denaro, come è successo con Banca Popolare di Vicenza, agli amici o agli amici degli amici non fanno sicuramente il bene degli imprenditori, o meglio lo fanno di alcuni che sono cattivi imprenditori, che così creano il danno anche ai buoni. Una concorrenza sleale intacca e porta del marciume dappertutto. Di banche bisogna parlare in maniera positiva sempre e comunque, ma devono tornare a fare il loro mestiere.

Come ci si dovrebbe comportare oggi per sostenere il comparto del vino?

Ho scritto a vari ministri e non ho avuto risposte di nessun genere. Prima di tutto dobbiamo ridimensionare il ruolo delle cooperative perché non sanno quasi sempre valorizzare il prodotto e molto spesso sfruttano soltanto i marchi di appellazione creati dai privati. Il mondo cooperativo detiene nel mondo più del 50% del vino, e questo non è ammissibile. Questo è un tema che riguarda l’antitrust e il mondo economico in generale. Ci troviamo con una differenza di prezzo tra il nostro Prosecco e quello di una cooperativa di una percentuale molto superiore rispetto a quella che c’è tra uno Champagne e una cooperativa di Champagne. Altro aspetto che va rivisto è la tutela delle denominazioni di origine come Prosecco e Prosek, ma non soltanto. Le denominazioni di origine devono essere tutelate in tutto il mondo perché il Prosecco si produce anche in Australia e in Brasile, la grappa anche negli Stati Uniti e in Sudafrica. In Russia non viene riconosciuto lo Champagne. Dobbiamo avere un WTO che agisce nel rispetto degli accordi di Madrid, dove tutti i paesi del mondo rispettano le denominazioni italiane. In Italia abbiamo un numero di denominazioni incredibile. Un altro aspetto per salvaguardare l’agricoltura è effettuare controlli severi per debellare la piaga del lavoro nero. Noi abbiamo 170 dipendenti. Bisogna anche dare più spazio alla ricerca e al tema del biologico. Sono stato vittima di contestazione sulla ricerca da parte della pubblica autorità. Noi facciamo ricerca con i nostri soldi e con l’aiuto dell’università. La parte dell’Unione europea che funziona è quella relativa all’OCM, anche se dovrebbe essere un po’ semplificata. Ci sono tanti paletti che non tengono conto della realtà aziendale, delle necessità dell’imprenditore. Per quanto riguarda Agea e gli organismi di controllo, sono molto attivi sia nel controllo vero sia nelle indicazioni che ci forniscono.

Combattere il capolarato e filiera etica per una vera sostenibilità plurale. Non sono in molti a pensarla così…

Lo so e mi scontro apertamente con chi non agisce allo stesso nostro modo perché mi crea problemi di concorrenza sleale.

L’Ice sta lavorando bene?

L’Ice non ha mai lavorato bene in trentotto anni in cui lavoro. Solo in rari casi ho trovato interlocutori. Sono carrozzoni statali. Bisogna motivare le persone all’interno, dare incentivi sui risultati che portano.

Prosecco Rosè, un successo da 45 milioni di bottiglie…

Era prevedibile. Credo che continueremo a farlo crescere perché gli spumanti rosé sono molto apprezzati dal consumatore, in particolare femminile, inoltre ha il plus dell’appeal legato alla novità. Il Prosecco Rosé ha delle caratteristiche uniche, piace. È un prodotto che può portare a un’elevazione del Prosecco, del percepito.

Covid. Avete perso una parte importante del fatturato.

Abbiamo perso quasi venti milioni di euro, nel duty free l’85% del fatturato, in generale abbiamo chiuso con il 27% in meno, invece a marzo 2020, in pieno lockdown, abbiamo avuto un -88% di ordini ricevuti. Ci siamo trovati con tutti i ristoranti del mondo chiusi, tutti gli aeroporti chiusi. Dove andavamo  a vendere? Oggi la situazione è recuperata totalmente per quanto riguarda il fatturato, parzialmente  dal punto di vista dei duty free. Comunque guardiamo al futuro con un sorriso grazie alla prevenzione. Nell’Asia del Sud-Est c’è grande scompiglio. Ero al telefono col nostro importatore in Mongolia, lì sono ancora in lockdown, chiudono alle ore ventidue. In Mongolia sono solo 3 – 4 milioni di abitanti sparsi ovunque, il 30% della popolazione è nomade, però c’è una parte di persone che apprezza il vino. In Russia abbiamo un buon importatore, specializzato nel food italiano, che ha inserito il nostro prodotto come completamento di gamma. A fine 2021 contiamo di arrivare a oltre 60 milioni, di cui in Veneto realizziamo il 97 per cento. I vini fermi rossi rappresentano il 14% del fatturato, gli spumanti il 65%, il Prosecco la metà del 65% e la restante metà la coprono gli altri spumanti da chardonnay, ma anche da Pinot nero che arriva dall’Oltrepò Pavese.

Come è andata la vendemmia?
Bene, scarsa ma di grande qualità. Abbiamo una ventina di vigneti diversi, per un totale di quasi 50 ettari in proprietà, arriviamo a gestirne 300 con i conferitori, con un team di ventisei enologi e quattro agronomi. In alcune zone come in quella del Prosecco, in Valpolicella e in Toscana è stata straordinaria. Vedremo a quante stelle sarà riconosciuta.   

La sostenibilità ambientale. Siete stati tra i primi a crederci tantissimi anni fa.

Vero. Abbiamo costruito un’azienda che ha emissioni di Co2 a  -88% rispetto alla media delle distillerie e a -99% rispetto alla media delle cantine. Un’azienda che utilizza esclusivamente energia idroelettrica per la propria produzione. Ricicliamo oltre  20 milioni di litri di acqua, utilizziamo la geotermia per la climatizzazione, ricicliamo tonnellate di carta siliconata e di polietilene usato dalle vetrerie per l’imballaggio delle bottiglie vuote, utilizziamo mille tonnellate l’anno di carta proveniente da foreste coltivate in maniera sostenibile, piantiamo un albero per ogni cassa di certi vini che vendiamo, il 70% del nostro vetro è riciclato, le nostre vernici sono ad acqua, non utilizziamo solventi chimici, i nostri vigneti sono biologici, quindi utilizziamo solo fertilizzanti di origine organica, evitando ogni anno la dispersione di 500 kg di sostanze chimiche di sintesi. Con l’adesione al programma RafCycle per il recupero degli scarti delle etichette, la carta siliconata è recuperata, inviata a una cartiera in Germania per essere trasformata in nuova cellulosa per ridiventare carta. Inoltre abbiamo investito in due impianti di depurazione delle acque di scarico e industriali. Sostenibilità significa anche avere la certificazione Equalitas, l’ultima nostra. Sostenibilità è essere etici in tutti i rapporti con gli stakeholder dell’azienda. Equalitas affronta la sostenibilità secondo tre pilastri: sociale, ambientale ed economico. La ricerca continuerà sulla strada della sostenibilità perché c’è ancora tanto da fare. Dobbiamo arrivare a vini sempre più biologici e dal punto di vista del marketing puro dobbiamo costruire momenti di consumo e di educazione per il consumatore sempre più adeguati a culture diverse. Noi italiani consumiamo 40 – 50 litri di vino pro capite, un numero in forte decremento rispetto al passato. Dobbiamo realizzare vini appetibili anche per altre popolazioni. Ci interessano i paesi dove non c’è consumo di vino, un litro pro capite per anno o due o dieci. Dobbiamo fare molto di più, insegnare a queste persone a bere un buon bicchiere di vino invece di bevande gasate e dal gusto dolce.

I vostri mercati target?

I paesi  ricchi. Inghilterra, Canada, Germania, Stati Uniti, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Svizzera, Scandinavia. Per il 60% dell’export siamo presenti in Europa, per il 20% in Nordamerica e per il restante 20% negli altri paesi. Il mercato Italia rappresenta il 15% del totale. Il 25% è duty free. Oltre che nel canale Horeca siamo nella Gdo, ma solo in alcune catene e con determinati prodotti adatti più al consumo a casa che al ristorante. La nostra produzione si aggira sui 15-16 milioni di bottiglie, per 85 liquidi diversi tutti realizzati da noi. Una grande parte sono bottiglie da 20 cl perché abbiamo un mercato nei consumi singoli che si è particolarmente sviluppato negli ultimi tempi. La nostra filosofia è realizzare tanti prodotti in piccola quantità in modo da garantire il massimo livello qualitativo.

Quali fattori determinano il costo di una bottiglia?

Il costo del prodotto, compreso il packaging, della materia prima, della manodopera. Il 15% del nostro costo è relativo proprio alla manodopera perché abbiamo una grande manualità. L’energia ha un costo che negli ultimi tempi è aumentato a dismisura. E poi spese di ricerca e sviluppo, dove abbiamo sette persone che si occupano costantemente di ricerca per cercare nuovi tagli, nuovi prodotti, per garantire il controllo qualità, che è quasi vicino all’1% del costo del prodotto.

Quali sono le doti di un buon imprenditore?

La perseveranza, la capacità gestionale, la creatività. Compreso riconoscere i propri sbagli, sapersi scusare e ricominciare a fare le cose in maniera diversa.