Da Sartarelli si beve solo Verdicchio (dei Castelli di Jesi). Una scelta precisa, di forte attaccamento al vitigno, al vino e al territorio, senza compromessi.
In uno dei nostri primi stop & go autunnali, incontriamo Patrizio, alla guida della cantina con la moglie Donatella e i figli Caterina, responsabile export, e Tommaso, enologo, direttamente in vigna, in un vigneto di circa sei ettari appena vendemmiato (“c’è più uva dell’anno scorso, il clima caldo e ventilato ci ha aiutati a mantenere il grappolo asciutto, sano”). Caterina, che si divide fra clienti olandesi, tedeschi e inglesi in visita, ci introduce al Verdicchio su una terrazza panoramica a uso didattico, il cui orizzonte sono il mar Adriatico e il Monte Conero, anche qui senza mai perdere il contatto visivo con la materia prima: l’uva. Un modo, senza tanti giri di parole, per farti capire che c’è vino e vino, Verdicchio e Verdicchio, così come ci sono tanti modi di concepire il proprio lavoro.
Le loro sono selezioni particolari di uno stesso vigneto o di vigneti diversi. C’è una grande cura alla base. “Dove ci troviamo ora abbiamo messo a dimora trentadue cloni differenti di Verdicchio per dare più complessità al vino. Nel vigneto in cui produciamo la nostra Riserva ci eravamo accorti che usciva sempre una botte particolare di Verdicchio, così abbiamo salvato quei cloni e li abbiamo utilizzati per l’aggiunta che il disciplinare ammette fino al 15% con uve o vino di altre tipologie, come Trebbiano e Malvasia. Da noi è Verdicchio al 100% nel bicchiere. Mio suocero Ferruccio ha sempre creduto in questo vitigno. Acquistò il casolare con i terreni intorno nel 1972, allora circa tredici ettari, di cui fa parte un vigneto storico di 52 anni che abbiamo conservato”.
Sartarelli, che su 2200 circa ettari vitati dell’intera denominazione ne coltiva 36 in proprietà, il Verdicchio lo produce solo in purezza e senza le “sofisticazioni” del legno (“usiamo acciaio e cemento perché la barrique dà sempre quel sentore di vaniglia, invece noi vogliamo che esca il territorio”).
Diverse le tipologie, che accompagnano tutto il pasto, dall’aperitivo al dolce. Si parte con lo spumante brut – uno Charmat lungo di ottima bevibilità, per un aperitivo non omologante – e si finisce con il Passito (da uve messe sui graticci ad appassire per circa un mese). Nel mezzo il Classico, il Tralivio Classico Superiore (da una selezione da vigneti più vecchi, dove si esegue il diradamento per ridurre la produzione a 80 quintali per ettaro), la Riserva Milletta (da unico vigneto, con criomacerazione per almeno 24 ore e quasi due anni almeno di affinamento fra acciaio e bottiglia), il pluripremiato Balciana (da uve a maturazione tardiva selezionate solo nelle migliori annate, di un unico vigneto in contrada Balciana). Il Balciana – intenso, complesso, caleidoscopio di profumi e sapori mai aggressivi – è una selezione al contrario perché le uve migliori sono lasciate in vigna e raccolte a novembre inoltrato. E non manca la grappa, ovviamente da Verdicchio. Vini longevi grazie ad alcolicità, corpo e perché non svolgono la malolattica (“due o tre grammi di acido malico ci supportano nella longevità e nella freschezza”).
In vigna l’impegno ormai da più di dieci anni a coltivare disinquinando si traduce in prodotti certificati senza residui chimici, grazie a una strategia di lotta integrata basata su tecnologie e prodotti naturali utilizzati per tutti i vigneti. “Nella prima fase vegetativa, prima della fioritura ricorriamo a fitofarmaci. Con la formazione degli acini usiamo solo induttori di resistenza, ossia prodotti tecnologici ed estratti naturali derivati da erbe, alghe e lieviti che spruzzati sulla pianta simulano l’attacco della malattia stimolando la capacità di reazione”, continua Patrizio. L’impianto solare installato permette di coprire il fabbisogno energetico “tranne che nel periodo della vendemmia”, specifica.
Siamo nelle Marche, nell’Anconetano, nel territorio dei castelli di Jesi, culla del Verdicchio, sulla riva sinistra del fiume Esino. Per la precisione a Poggio San Marcello (poco più di trecento metri di altitudine), uno dei diciotto comuni nel cuore storico della denominazione, la zona classica, nobile. Dolci colline degradanti verso il mare, sulla cui sommità fanno capolino borghi medievali cinti da mura, ricchi di cultura e musei, arroccati intorno alla città di Jesi, che ha dato i natali all’imperatore Federico II di Svevia e al musicista Giambattista Pergolesi e che conserva i più bei dipinti di Lorenzo Lotto, prima sparsi nelle chiese. Un territorio accarezzato da una leggera e costante brezza, fra vigne e ulivi (circa 2300 piante quelle della famiglia, soprattutto varietà frantoio e leccino) tutto da scoprire, fotografare e “instagrammare” nei suoi luoghi più iconici. La cantina sorge a una manciata di chilometri dal Parco Naturale regionale Gola della Rossa e di Frasassi (con le celebri grotte carsiche sotterranee), area naturale protetta estesa sul versante appenninico della provincia.
Il museo del Verdicchio interno alla tenuta nasce sette anni fa e ci “racconta” che l’etil- caffeato, uno dei principali antiossidanti fenolici naturali, è presente in grande concentrazione in questa uva.
Ad accogliere il visitatore i dipinti di Louis Jaquet, pittore contemporaneo franco-americano, che diversi anni fa si è “innamorato” del Verdicchio. “Vive a San Casciano Val di Pesa, in località Bargino, a fianco di Antinori. Arrivato qui da noi per caso una trentina di anni fa, entrò con una piccola damigiana e mi chiese di riempirla in cambio di un acquerello. Allora viveva nelle Marche. Quando abbiamo realizzato la nuova struttura, gli ho chiesto una pittura su olio di come si ricordava l’azienda”.
Interessante anche la rappresentazione del cosiddetto Torchio Mistico, dove il Cristo è raffigurato con viti e uve che, da lui stesso pigiate, diventano sangue raccolto in calici, simbolo della vita donata.
Quante esperienze davanti a un calice di vino!