A colpire il visitatore nella barricaia sotterranea è la scultura in legno di castagno (un unico tronco) di papa Montini, opera dell’intagliatore odolese Gianluigi Zambelli. <<Era chiamato il papa triste, ma noi abbiamo obbligato lo scultore a fargli un sorriso vista la sua collocazione in mezzo al vino>>. Daniele Bozza, terza generazione in azienda, è il nostro cicerone della giornata. Montina nasce in Franciacorta negli anni ’80 con la famiglia Bozza, dal recupero della villa padronale appartenuta nel 1600 a una nobile famiglia bresciana facente capo a Benedetto Montini, avo di papa Paolo VI, da cui si origina il toponimo. Passata di mano in mano, nel 1970 la tenuta ospita un convento di suore Dorotee, che successivamente si trasferiscono in Valcamonica. Sono i fratelli Vittorio, Giancarlo – che ci accoglie in cantina – e Alberto Bozza ad acquistare dalle suore la proprietà in contrada Baiana: circa dodici ettari di terreno fra bosco e vigne (che oggi sono ben 72, spalmati in sette comuni, parte in proprietà e parte in affitto), con cascina e convento. Così come sono loro a dare il via alla costruzione della cantina interrata (che si estende per quasi 8mila metri quadrati) dove prendono forma i loro Franciacorta, che dal 2022 portano in retro etichetta la certificazione Sqnpi, sinonimo di vini rispettosi dell’ambiente e della salute. Con la particolarità che l’azienda, che vanta una produzione di circa 450mila bottiglie, per la quasi totalità vendute in Italia, ricorre – ancora oggi – al torchio verticale Marmonier per la pigiatura di un 10% di uva: <<Per il restante 90% usiamo presse a polmone che pigiano i grappoli in orizzontale, con una resa del 65%. Il torchio (sono solo altre due aziende a utilizzarlo in Franciacorta: Bellavista e Ferghettina, ndr) fa una pigiatura completamente diversa dalla pressa, più delicata, in verticale, con una resa del 35% per ottenere il mosto fiore, che finisce solo in alcune bottiglie dei nostri vini. La cantina si estende in verticale, il mosto cade per gravità, altrimenti dovremmo pomparlo nelle vasche, ma questo determinerebbe uno shock termico con conseguente perdita di qualità>>, spiega Daniele Bozza, che si occupa del commerciale Italia.

Nel 2008 l’azienda viene ulteriormente ampliata fino ad arrivare a una capacità di stoccaggio di tre milioni di bottiglie. Oggi Montina è la sesta realtà vitivinicola, quanto a dimensioni, nel panorama franciacortino, e quella più a nord. Siamo a Monticelli Brusati, nell’estremo lembo nord-orientale della denominazione, a ridosso di un anfiteatro morenico naturale fra il lago di Garda e quello d’Iseo. Monticelli è uno dei diciannove comuni nel Bresciano dove si produce il Franciacorta. Fra vigne e ulivi, il clima mediterraneo è una piacevole carezza estiva.

Ma perché si chiama Franciacorta? <<Il nome ha radici nel 1200, quando fu predisposta la bonifica del territorio, allora paludoso. Allo scopo, piccole comunità di monaci benedettini iniziarono a coltivare la vite e l’ulivo, che con le loro radici potevano scavare in profondità per togliere l’umidità. In cambio della messa a dimora, furono esentati dalle tasse imperiali ed ecclesiastiche, una sorta di baratto. Da qui il nome “curtae francae”, “corti franche”, “libere”>>. Scherza: <<Queste tasse, accumulate in otto secoli di storia, le stiamo pagando ora con gli interessi (ride, ndr)>>.

Un territorio, questo, in cui si è sempre coltivata la vite e prodotto il vino. <<Vino che era principalmente rosso fino a una data fondamentale, il 1961, quando venne creata la prima bottiglia di Pinot metodo classico della Franciacorta. Franco Ziliani, enologo di Guido Berlucchi, ebbe l’intuizione di introdurre lo stesso metodo dello Champagne. Nel 1964 i miei zii fondarono l’Antica Fratta, in società al 30% con Franco Ziliani, ma nel 1982 decisero di continuare il percorso da soli e pochi anni dopo sarebbe stato gettato il primo seme di tutto quello che vedete oggi>>.
Metodo classico che oggi stanno facendo un po’ tutti in tutte le regioni, ma <<l’eccellenza non è ovunque. In Franciacorta ci sono due caratteristiche uniche: il clima, che ci permette di avere estati non troppo calde e inverni non troppo freddi, perché ci troviamo tra due laghi, e la conformazione morfologica con sei diversi tipi di sottosuolo, che ci porta ad acidità elevatissime, una delle peculiarità dei nostri Franciacorta. Nel 1990 le aziende consorziate decisero di stilare il disciplinare della Franciacorta, il più restrittivo a livello mondiale per quanto riguarda il metodo classico. Questo per avere una qualità indiscutibile, un marchio di fabbrica>>.
Oggi sono 123 le cantine in Franciacorta, con una produzione annua totale di 21 milioni di bottiglie, dato che ne fa il primo metodo classico in Italia quanto a numeri. Le bottiglie sono vendute per il 70% in quattro regioni italiane, rispettivamente Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, che ne consumano ben 16 milioni. Il restante 30% vola nel Sud Italia e all’estero. <<Dal 2009, quando l’export valeva solo l’1%, siamo cresciuti in maniera costante del 15%. Qualora dovesse esserci una richiesta importante da parte di altri Paesi, non riusciremmo a soddisfarla, perché il territorio è questo dal 1200. Al massimo, sfruttandolo tutto, si potrebbe arrivare a 35 milioni di bottiglie, neanche un 10% di quello che produce la Champagne, area grande come quasi tutta la Lombardia, con i suoi 360 milioni di pezzi e 4mila aziende>>.

Non è facile descrivere Montina: cantina, location per eventi privati e business supportati dal ristorante della settecentesca Villa Baiana, centro congressi, perfino galleria d’arte contemporanea (la prima in Franciacorta) per mostre ed esposizioni temporanee. A essere ospitata all’interno della tenuta è una permanente del pittore e scultore milanese Remo Bianco, fra i precursori del Noveau Realisme, con centoventi opere, tra cui i Tableaux Dorès (<<mio zio Giancarlo è un grande appassionato d’arte>>). In bella mostra, fra i cimeli, l’autovettura con cui l’artista “girava” Milano.
Ad arricchire la nostra visita in cantina, con buffet finale, la presentazione – con tanto di dimostrazione – della city car Microlino e la sfilata della designer torinese Marzia Boaglio. <<I nostri pilastri sono il vino con la cantina, l’arte con Remo Bianco e le varie mostre, il cibo con Villa Baiana, dove si bevono solo i Franciacorta dell’azienda. A un certo punto ci siamo resi conto che serviva un vino da abbinare con i dessert e così abbiamo creato un rosé nella versione demi sec. Il bello è che da una produzione iniziale di circa tremila bottiglie, che serviva solo per la villa, oggi ne produciamo 90mila (su 120mila dell’intero territorio, ndr) e siamo leader di questa tipologia in Franciacorta>>.
I consumi di vino sono cambiati: se negli anni ’60 si consumavano 119 litri pro capite, oggi sono 23-24. Come mai questo appeal per un vino più morbido? <<Perché è cambiato il modo di bere Franciacorta. Vent’anni fa era un vino consumato solo a pranzo e a cena, quindi era più strutturato, impegnativo. Con l’avvento dell’aperitivo e con i giovani, che si sono avvicinati molto al Franciacorta, c’è forte richiesta di vini più immediati, come il nostro demi sec>>.
Il brut resta il loro prodotto di riferimento. L’azienda lo produce da trentasette anni con l’85% di Chardonnay e il 15% di Pinot nero. I tempi, da disciplinare, sono minimo 18 mesi per le basi spumante, 24 per satèn e rosé, 30 per i millesimati e 60 per la riserva: per bere un Franciacorta come minimo bisogna aspettare due anni dalla vendemmia (<<esclusivamente a mano>>), che normalmente avviene verso la seconda o terza decade di agosto (<<per l’acidità>>). E se inizialmente il Franciacorta era un Vsq, dal 1995 è Docg (<<Siamo stati il primo metodo classico in Italia a diventare Docg>>).
Altra particolarità, in barricaia per riportare in superficie i lieviti, le cosiddette fecce nobili, non si fa il classico batonnage: <<Per evitare luce, calore e ossigeno le nostre barrique sono dotate di ruote con cui le facciamo girare sotto sopra per riportare in alto le fecce>>, spiega.
Nel 2009 viene creata la loro prima bottiglia personalizzata: marchio con tiara papale e due leonesse <<che rappresentano Brescia leonessa d’Italia>>. Nel 2015 arriva il colore su capsule ed etichette (<<E anche la partnership con il Milan calcio>>). Nell’aprile di quest’anno l’inserimento dell’oro e di toni meno accesi rende le bottiglie più eleganti.

Cosa è rimasto di questa giornata? Una considerazione: non si può lavorare senza serietà, senza duro impegno, senza una visione e un progetto, magari demandando a qualcun altro la realizzazione delle proprie bottiglie. A chiudere il cerchio, l’amore smisurato per il territorio unito alla consapevolezza di una storia personale, familiare, aziendale e di un saper fare bene, curando il dettaglio, sono gli alfieri che rendono persone e luoghi indimenticabili. Autentici. Termine spesso e volentieri abusato.