Il Premio Agrestino della Cia a Paolo Monticone, comunicatore (attento) di riferimento per il mondo astigiano, fa riflettere. Monticone dice una grande verità mentre ritira il suo premio: “Oltre alla transizione ecologica andrebbe fatta la transizione della comunicazione. L’agricoltura da raccontare non è quella dell’hobby, dell’ingegnere in pensione che si diverte a realizzare forme di formaggio, ma quella di chi la fa per lavoro, di chi deve mantenere una famiglia. Bisogna essere molto attenti quando si comunica”.
Inizia così, da questo input, il nostro viaggio alla scoperta di piccole e nuove realtà. Siamo in Val d’Illasi, “l’altra Valpolicella” o “Valpolicella allargata” come viene maldestramente definita, quella a est di Verona, territorio in crescita, terra di grandi Amarone e di cantine veramente interessanti, basti pensare a Romano dal Forno, Trabucchi, Garbole, Ferragù per citarne alcune. Qui è la cantina e la conduzione enologica a fare la differenza.
La storia di Luigi Tommasi è intrisa di passione e lavoro, di forte attaccamento territoriale. “So quando inizio al mattino ma non so mai quando finisco”, ci racconta. È in cantina, sta lavorando, ma nonostante tutto ci apre le porte non dell’azienda, Terre di Marcemigo, ma della sua casa dove vive con la moglie Francesca, per degustare insieme qualche buona bottiglia. Interessante e dall’ottimo rapporto qualità-prezzo il Rosso Veronese 2016 dalle stesse uve dell’Amarone (corvinone e corvina alla pari e rondinella), che viene ripassato sulle bucce di varietà precoci come teroldego e merlot che rinforzano il colore. Il suo primo vino, di grande freschezza. “All’inizio della mia avventura conferivo le uve. Nel 2014 ho smesso con la cantina sociale e l’anno successivo ho cominciato a fare il mio vino. Una parte la vendo ancora in cisterna ma contestualmente ho deciso di puntare sulla qualità e sul brand aziendale e mettere da parte qualche bottiglia”.

                                                                       

Quindici ettari tutti in proprietà nel giro di un paio di chilometri, solo uve proprie. L’intenzione era di partire con due vini barricati. “Quando lo abbiamo tolto dall’acciaio e ci siamo accorti che aveva delle potenzialità abbiamo deciso di proseguire su questa strada, non considerata inizialmente. In un vigneto di mia suocera che ho preso in gestione ho piantato garganega e croatina che entrerà nel prossimo rosso veronese”.
Con l’inizio dell’anno nuovo, invece, si imbottiglierà il Valpolicella 2015. “Abbiamo saltato l’Amarone, che però sarà sul mercato con la vendemmia 2016, perché siamo partiti in una maniera che non ci convinceva. Usciremo anche con un bianco, una garganega in purezza che fa solo acciaio”. Per un totale di 4mila bottiglie di Amarone, 7-8mila di Valpolicella e 5mila di Garganega. Ma con un potenziale di 200mila. Siamo all’interno della Valpolicella con la voglia di raccontare un’altra storia.