Il rischio di una guerra commerciale è molto alto. Trump minaccia ritorsioni, dazi per difendere le aziende americane. Regno Unito Francia, Italia e Spagna hanno inviato una missiva al dipartimento del tesoro di Washington per venire a un accordo politico sulla digital tax entro fine anno. Intanto le continue minacce all’agroalimentare europeo non fanno dormire sonni tranquilli al settore. “Le minacce sono tante, gli effetti a livello europeo ci sono stati, ne siamo rimasti fuori l’altra volta, ma si avverte una spada di Damocle sulla testa ogni 5-6 mesi con i dati carosello che vengono continuamente rivisti e che quindi non danno né agli importatori né ai produttori la certezza di una programmazione. Anzi, sono doppiamente dannosi: nel momento in cui ti colpiscono e prima perché non danno sicurezza al mercato. Mettiamoci nei panni di un importatore che deve investire per poi magari tra sei mesi vedersi quasi raddoppiato il prezzo del prodotto. Se venissero applicati i dazi al 100% ad valorem una bottiglia di Pinot grigio negli Usa verrebbe a costare il 30% in più e perderebbe di competitività”, spiega a Winestopandgo Albino Armani. ”È iniziata questa raccolta dati, che è fatta sistematicamente per capire chi è dentro e chi fuori dalla black list, ma non c’è nessun motivo per pensare che questa volta siamo dentro, dovremmo starne fuori se i criteri utilizzati sono gli stessi. I distributori sono dalla nostra parte. I gruppi del vino americani l’altra volta non avevano osteggiato la nostra produzione, anche perché sono interconnessi con i grandi gruppi di distribuzione, che non hanno nessun vantaggio a vedersi aumentare i prezzi. La spallata l’altra volta ce l’hanno data gli importatori che hanno supportato le motivazioni del vino italiano. L’Italia da sola non sarebbe stata dirimente nella scelta, non è che le nostre organizzazioni avessero un grande appeal e potere di lobby, molto più forte è il potere di lobby in America. Ma i problemi non finiscono qui. L’Hard Brexit è vicinissima, questo comporterebbe il ripristino delle vecchie dogane, tanto che sulla piazza di Londra c’è un certo nervosismo tra gli investitori. Al di là dell’aspetto dazi c’è anche quello delle barriere non tariffarie, che sono quelle più subdole. Poi c’è il fatto che se la merce dovesse passare dalla Francia, dal porto di Calais, ci sarebbero notevoli complicazioni. Faccio un esempio, se io fossi francese forse farei passare prima i prodotti francesi. Vedremo. Certo è che sarebbe un passo indietro di decenni. Anche la Russia, mercato molto importante per il vino di qualità, inizia a introdurre regole inaccettabili che stiamo vagliando. Si sta creando un braccio di ferro per cui gli Usa devono mettere l’Europa contro sia alla Cina sia alla Russia. Noi ci troviamo in mezzo e dobbiamo decidere con chi stare perché ognuno alza le proprie barriere. Un brutto vivere onestamente”.
Sui mercati finanziari  è ancora  presto per dire se ci sia una relazione fra il rialzo delle quotazioni di borsa e la percezione di una non rielezione di Trump. “L’America, ma un po’ tutte le borse, sono salite grazie agli interventi per sostenere l’economia, banche centrali e politiche fiscali in primis”, ci spiega l’analista finanziario Alessandro Parravicini. “Nell’ultimo mese le borse si sono un po’ fermate per tirare il fiato, mi sembra che ci sia un momento di stasi. Questo discorso potrebbe essere più vero per i mercati internazionali rispetto a quelli americani dove Trump si è sempre dimostrato molto incline a usare la leva della finanza dei dazi o comunque della politica commerciale per agevolare i produttori americani. L’idea che non venga rieletto potrebbe far tirare un sospiro di sollievo a tutte le aziende straniere grandi esportatrici, ma per quello che riguarda le aziende americane di meno. Siamo tutti interconnessi, che l’Europa vada bene e l’America male è difficile che succeda. Trump dice che se non venisse rieletto e vincesse Biden per l’America sarebbe un disastro, ma questo perché Trump è visto come il difensore del made in America, della crescita americana pro business. Al momento non c’è ancora sul mercato americano il timore di una non rielezione perché tutti si ricordano che Trump quattro anni fa era indietro di una decina di punti sulla Clinton e ha recuperato. Mi aspetto che ci possa essere un po’ più di volatilità durante l’estate nel vivo del dibattito della campagna elettorale. Trump è amato senz’altro da Wall Street, perché ha fatto tutta una politica pro businesss, molto di breve periodo, se vogliamo, perché fare tanto debito anche prima della pandemia quando l’America aveva già un record di occupati e cresceva bene non ce n’era bisogno. Il problema degli investitori è guadagnare adesso, non importa quello che succederà tra 5-10 anni quando il debito federale sarà insostenibile, motivo per cui Trump è molto amato dalla parte business, magari non tanto dalla popolazione di San Francisco o New York, ma la pancia dell’America è pro Trump e finanzia la campagna elettorale. Le grandi banche sono state molto più a sostegno di Trump in questo giro che in quello passato. Trump non rieletto potrebbe essere un bene forse per gli esportatori internazionali, ma in questo momento il tema dominante sui mercati è la ripresa dopo la pandemia, la sua entità e l’abbondanza di liquidità fornita dalle autorità”.