Il libro “Con il calice in cammino – Destinazione Santiago” (Paolo Emilio Persiani editore) ce lo racconta il suo autore Francesco Antonelli, mio primissimo collaboratore in winestopandgo.com, attraverso questa lettera a me inviata che con piacere pubblico. 

Cara Francesca,

lo scorso settembre in occasione dell’evento Modigliana Stella dell’Appennino, mi chiedesti a che punto era il mio libro di viaggio, che ha avuto una gestazione prima dell’uscita piuttosto lunga.
Ti ringrazio per l’interessamento che dimostra una tua grande cura e attenzione per la narrazione del vino, fatta in tante forme; di seguito ti mando una piccola risposta-presentazione.
Finalmente il libro è in libreria, sugli scaffali, pronto per essere letto (se non c’è si può sempre ordinare). Ricordo che hai apprezzato il progetto fin dall’inizio, anche per un tuo personale interesse sui temi trattati.
“Con il calice in cammino – Destinazione Santiago” è un libro di viaggio che al suo interno contiene tanti mondi, molteplici visioni. È un testo che parla di vino spagnolo, certo, ma declinato solo in quelle specifiche espressioni che si possono trovare lungo il famoso pellegrinaggio per Compostela.
Soprattutto è un libro che riunisce le tante passioni che mi hanno animato in questi ultimi anni.
Si comincia con una considerazione: fino dove può spingerti una passione?
E nel caso di noi wine-lover: fin dove può spingerti la passione per il vino?
Se ci fai caso, delle tante passioni, passatempi e hobby, quella per il vino è la più totalizzante. È raro trovare qualcuno che la coltivi in forma modesta. Non ha compromessi, chi la vive finisce per farsi contaminare, senza mezze misure. Molti di quelli che ho conosciuto e incontrato in questi anni, hanno trovato nel vino una opportunità di scoperta, di rinascita e valorizzazione delle proprie aspirazioni. Alcuni hanno dedicato le proprie energie all’agricoltura e alla vigna, altri lo commercializzano; chi lo colleziona non ne ha mai abbastanza. In altre persone il vino ha stimolato il desiderio di condivisione, di scrittura e narrazione e, come è accaduto a me, un motivo in più per intraprendere un viaggio.
Un giorno insieme a un amico, quasi per caso, davanti a una bottiglia di vino, abbiamo provato a immaginare come sarebbe stato un viaggio a piedi, lungo il cammino di Santiago tra i migliori produttori di vino delle varie zone.
Ci abbiamo creduto a tal punto che quell’idea si è trasformata in viaggio e poi in racconto.
La prima tappa è stata la Navarra. Abbiamo preso come punto di partenza Pamplona, città famosa per la corsa dei tori, resa celebre dal romanzo Fiesta di Hernest Hemingway.
Siamo entrati fin da subito in sintonia con il grande sciame umano di pellegrini e camminatori che in ogni stagione dell’anno affollano il percorso. Ognuno ha una propria motivazione o una storia da raccontare. Interessante anche il vino in Navarra. In questa regione dalle diverse anime, il vino mantiene un profilo neutrale, senza riuscire ad affermarsi come protagonista della tavola ma rimanendo sempre un buon compagno del cibo. Il vino della Navarra è più tinto che bianco, subordinato e quasi adombrato dalla vicina ed esuberante Rioja. La maggior parte della produzione è di Tempranillo, quasi un 40% del totale, e Garnacha per circa un 30%. Il rosso è tipicamente un blend di queste due varietà (la vinificazione di singole uve in purezza è meno frequente) con inserimento di varietà autoctone tipicamente usate per completare struttura e colore di un vino già sostanzioso di corpo e grado.
Un vitigno molto interessante che ho apprezzato in vinificazione pura è il Graciano, Reverte La Ombatillo 2016, da un singolo vigneto situato in località la Corella. È la personale interpretazione di Rafael Reverte vinificato da Bodega Vigna Zorzal di questo tipo di vitigno poco conosciuto e considerato minore. La vinificazione comincia con una fermentazione spontanea e una lunga permanenza in depositi di cemento vetrificato. Segue un affinamento di 12 mesi in barriques di rovere francese usate della capienza di 300 e 500 litri (nelle ultime versioni la permanenza in botte è stata notevolmente ridotta). Di colore intenso, impenetrabile, si preannuncia di gran corpo al naso, confettura di more, piacevole sfumatura catramata stile Carmenère cileno e in bocca gran freschezza, agile, totale assenza di tannino. La freschezza annienta completamente l’alcolicità e così un sorso tira l’altro. L’ho trovato un vino molto delicato, fine sia nel frutto sia nella parte di maturazione nel legno e a tavola riesce ad abbinarsi incredibilmente con prodotti agricoli della tradizione locale, come l’asparago bianco, il pomodoro e il peperone Cristal altresì delicati e dolci.
In Rioja, capitale del vino, e più precisamente a Haro, Rioja Alta, abbiamo assistito a una meravigliosa visita guidata e degustazione di una Bodega storica Spagnola, Lopez de Heredia. Si può tranquillamente dire, la Storia con la “S” maiuscola visto che è stata fondata nel 1877. Dal lavoro dei mastri bottai passando attraversando le cave letteralmente scavate nella roccia della montagna, questa articolata Bodega è una delle più grandi realtà vitivinicole del paese, che ha saputo conservare lo spirito artigianale del secolo scorso e trasmetterlo, integrale nel tempo, dentro ad un calice di Viña Tondonia. Questo è il loro vino iconico fatto di Tempranillo, Garnacha e due vitigni minori, Graciano e Mazuelo. Uno dei tratti distintivi di questa cantina è il lungo invecchiamento: dopo aver praticato un’ attenta selezione della materia prima, i vini subiscono una chiarifica artigianale con albume e una maturazione in botti di rovere americano che precede un lunghissimo affinamento in bottiglia. Al tempo della visita il vino più giovane era un 2010 che loro chiamavano Crianza, ma se avessero seguito le  regole del Consejo Regulador si sarebbe potuto già imbottigliare con la menzione Gran Reserva!
Il terzo incontro col vino è stato nel Bierzo, una regione considerata l’astro nascente della vitivinicoltura spagnola, tra la provincia di Leon e la Galizia.
Peculiari di questa zona sono, tra i rossi, la Mencia, che è sicuramente la varietà più diffusa, e la Garnacha Tintorera, una delle poche ad avere la polpa dell’acino colorata; tra le bianche, Godello, Palomino e Doña Blanca. Sia i bianchi sia i rossi sono di forte personalità, come ho potuto apprezzare assaggiando i vini di Cantina Mengoba, di Gregory Perez, giovane enologo francese innamorato di quella parte di Spagna. 
I vigneti di Bodegas Mengoba si estendono attraverso Espanillo, Valtuille, Villafranca del Bierzo e Carracedo, su terreni misti che includono ardesia, calcare e sasso. In essi si coltivano vecchie viti ad alberello anche di 80 anni d’età. Un cru veramente interessante è l’area di Espanillo a 700 metri di altezza, in mezzo a boschi incontaminati dove la Mencia dà vini meno fruttati in favore di un prodotto più  austero e minerale. Il terreno delle varie parcelle pur essendo vicine le une alle altre è costituito di varietà minerali differenti, con concentrazioni di pietre sfaldate, argille compattate e aree sabbiose, quarzi e lavagne.
Ricordo, in particolare, il Mencìa in uvaggio con un 10%  di Alicante Bousquet (nome nobile della Garnacha Tintorera), anno 2018. Le uve provengono proprio da uno dei terreni di Espanillo. Dopo una raccolta manuale in cassette, le uve vengono selezionate, parzialmente diraspate e pigiate. Fermenta spontaneamente in grosse botti di legno per circa un anno fino all’imbottigliamento senza filtrazione. Si ottiene così un rosso che è di un bel colore viola con naso di ciliegie, prugne essiccate, liquirizia e un tocco di cacao. Al palato unisce il corpo della Garnacha Tintorera con la freschezza del Mencía, dando vita a un vino succoso. Spezie, sentori di bosco e alloro nascondono tannini leggermente astringenti in ingresso che svaniscono in un piacevole finale fresco.
Arrivati a Compostela, dopo oltre 200 km di cammino sui tratti selezionati abbiamo cercato la nostra personale “Finisterrae” nella Rìas Baixas galiziana, tra indimenticabili sorsi di Albariño e pranzi di ottimo polpo locale.
In tutto questo itinerario, la Spagna è la vera protagonista, con la sua natura selvaggia e indomabile che alterna scenari brulli, secchi e inospitali, a vallate lussureggianti, umide e piene di vita. Vino e cammino si intersecano in un contesto antico e spirituale allo stesso tempo e anche il nostro percorso di avvicinamento alle varie bodegas ha avuto qualcosa di intimo e magico. Siamo riusciti a fare esperienza di ogni territorio prima attraversandolo, calpestandolo, conquistandolo passo dopo passo e poi, col naso e il gusto, degustandolo.
Insieme a me nel viaggio e protagonista quasi involontario del libro c’è Simone Rosetti, amico sommelier romagnolo che ha firmato anche la prefazione. Simone è da tempo un professionista della ristorazione, di recente anche al di fuori del territorio regionale (ha appena aperto un’osteria a Venezia) e da grande appassionato di vini, ha tracciato quella linea ideale che ci ha permesso di collegare tutti i vignaioli raccontati, distanti centinaia di chilometri ma uniti da un comune amore per il vino e una filosofia di produzione artigianale.

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