Il nostro Stop & Go in  Calabria prosegue a Terre di Balbia, nel Cosentino, nella valle dell’Esaro. Alle spalle il monte Pollino. Siamo in una zona ancestrale ad alta vocazione agricola. La cantina si trova in località San Marco, l’azienda agricola ad Altomonte, il cui toponimo più antico è Balbia, come citato da Plinio il Vecchio nell’Historia Naturalis, per un vino speciale, il Balbino. 
Tutt’intorno boschi di querce, uliveti, prati seminativi. L’azienda nasce nel 2001 da una scommessa tra due imprenditori, il friulano Gianni Venica e il calabrese Silvio Caputo (importatore di vino in California), che avevano acquistato i terreni senza costruire la cantina. Producevano il Serramonte, blend di Gaglioppo, Magliocco e Sangiovese. Ma il destino ha voluto che le cose andassero diversamente. Nel 2014 è l’ingegner cosentino Giuseppe Chiappetta, insieme al fratello e ai figli, desideroso di produrre un proprio vino, a rilevare la proprietà, inaugurando un nuovo corso e guidandone lo sviluppo, entusiasta, determinato, testardo nella sua visione di impresa fortemente improntata alla territorialità, all’identità, al rispetto della tradizione. Nei vini mette l’anima. Focus: puntare sui vitigni calabresi a bacca nera come il magliocco, punta di diamante della produzione, e il gaglioppo, due autoctoni che sul piano nazionale non hanno ancora ricevuto la considerazione che meriterebbero. Considerazione che arriva se ci sono delle aziende serie che ci credono, che investono tempo e risorse.
L’ingegnere non è da solo in questa avventura. Fondamentale l’incontro con un vignaiolo salentino di razza, tal Gianfranco Fino, “artigiano delle vigne” come ama definirsi e qual è, che si occupa della parte agronomica e segue i processi di vinificazione.
Ci troviamo in un luogo dalla bellezza struggente, di contrasti, particolarmente favorevole alla viticoltura, dove le brezze marine della piana di Sibari si incontrano con i venti di montagna che soffiano dal Pollino, le cui cime sono innevate fino a primavera inoltrata. Qui il metodo biologico si impone senza troppa fatica.
I vini sposano la filosofia FIVI, quindi sono prodotti esclusivamente con uve coltivate in azienda. Si vinifica solo in purezza. Per un totale di 25mila bottiglie, di cui la parte del leone la fa il Magliocco. Otto gli ettari di vigna. 
Proprio perché Terre di Sibari vuole essere un progetto di valore a 360 gradi, si parte dalla cura della vite, dal sistema di potatura. Il metodo Simonit & Sirch, utilizzato, preserva lo stato di salute della pianta, ne raddoppia l’età, riducendo i costi in vigna. “Il loro sistema garantisce la longevità dei vigneti”, spiega l’ingegnere. “È una tecnica di potatura congeniale alla mia filosofia di produrre grandi vini di nicchia. La pianta va ascoltata e l’uomo quando vi si avvicina deve farlo con rispetto della sua fisiologia. Un’altra collaborazione importante che abbiamo avviato è con una scuola francese, la Worldwide Vineyards, con cui abbiamo realizzato dei sovrainnesti della vite. I Venica avevano impiantato sangiovese e montepulciano. Noi siamo intervenuti su questi vitigni e li abbiamo sovrainnestati a magliocco. La scuola ci assicurava l’attecchimento se il vigneto esistente non superava i dodici anni. Il sangiovese, che era il più vecchio, lo abbiamo dovuto estirpare e al suo posto abbiamo messo nuovi impianti ad alberello con densità di 10mila piante ad ettaro. Attualmente il nostro Magiocco è un blend di vigneti diversi che vendemmiamo e vinifichiamo in maniera separata. L’obiettivo, però, è realizzare tre cru di Magliocco: uno da vigne vecchie di più di 40 anni, con sistema di potatura che da cordone speronato abbiamo trasformato in guyot grazie a Simonit & Sirch; un secondo cru da impianti nuovi ad alberello realizzati nel 2017, quando abbiamo consegnato le marze del magliocco esistente a Vivai Rauscedo per produrre delle barbatelle innestate a spacco, che abbiamo poi piantato con una densità di 10mila piante ad ettaro; un altro cru, l’ultimo, da sovrainnesto”.
Si punta sugli autoctoni ma il Merlot resiste. Da un ettaro di vigna, conservata con il passaggio della proprietà, sono state concretizzate solo 3000 bottiglie. “Merlot, Sangiovese, Montepulciano e Magliocco: i Venica, volendo produrre dei vini rossi, ricorrevano ai blend”, continua. “Il Gaglioppo, invece, non lo usavano perché per il loro progetto era scarso di antociani. Ovviamente il Merlot non c’entra con il territorio, ma ci siamo trovati delle vigne con più di trentacinque anni di età, complesse, e le abbiamo tenute. Gianfranco Fino non era d’accordo perché il nostro obiettivo è valorizzare i vitigni autoctoni locali, però, sarebbe stato un peccato estirpare quel vigneto. Oggi produciamo due rossi in purezza: il Magliocco e il Merlot. Con il Gaglioppo facciamo un rosato a nostro avviso molto interessante. Avevo e ho l’ambizione di produrre vino di qualità in Calabria, regione ancora inespressa. Oggi siamo all’ottava vendemmia conclusa. Abbiamo sposato l’intero progetto insieme a Gianfranco Fino, ci crediamo”.
L’azienda fa parte della Dop Terre di Cosenza. “Non mettiamo la ‘Dop’ sulla bottiglia. Mi voglio identificare con il territorio, valorizzarne i vitigni. La scelta, quindi, è stata quella dell’ Igp in modo da aggiungere la dicitura “di sole uve magliocco”, cosa che non potrei fare con la Dop perché il nostro disciplinare permette di scrivere Magliocco sulla bottiglia con l’85% di tale uva, anche se il restante 15% non lo è. Quindi alla fine è un blend. Per distinguermi metto Igp e specifico di sole uve magliocco”, conclude.
Una Calabria che fa ricerca, che punta fieramente  sulla propria identità, che cerca vini autentici e sempre più territoriali, che vuole migliorarsi. Una regione che può essere incisiva anche sui rosati. Sicuramente da approfondire.