Non è sempre stato facile negli anni far conoscere e apprezzare in nuovi mercati, a nuove fasce di consumatori e a operatori di settore sempre più qualificati il Custoza, la doc che copre 1400 ettari a vigna e abbraccia nove comuni dell’anfiteatro morenico tra Verona e il Lago di Garda, per un totale di dodici milioni di bottiglie. Elevandone il percepito qualitativo e facendo passare il messaggio “Custoza uguale grande vino”.
La consacrazione dalla critica è arrivata all’ultimo Vinitaly quando Bruce Sanderson e Alison Napjus di Wine Spectator, Bibbia di settore, hanno annunciato il Cà del Magro, annata 2019, il più famoso dei Custoza di Monte del Frà, frai 130 migliori vini italiani di Opera Wine 2023. Una notizia che in un certo qual modo fa scalpore se solo pensiamo al Custoza degli anni addietro, allo stile di pronta beva che veniva proposto, dove la semplicità non c’entra, perché anche un vino semplice può essere un grande vino, c’entra la capacità o meno di visione per riuscire a sfruttarne tutte le potenzialità (che c’erano e ci sono).
L’azienda della famiglia Bonomo fa così il suo ingresso fra le dieci cantine “new entry” per la nota rivista americana, che per la prima volta nella storia ha selezionato un Custoza, un vino di terroir in grado oggi di portare nel mondo un linguaggio specifico. Un riconoscimento che arriva dopo anni di duro lavoro in vigna per costruire una fedeltà (prima annata la 1988), di ricerca dell’esposizione migliore, del vigneto migliore, dei suoli migliori, delle tecniche di vinificazione e affinamento più consone a far sì che ogni vitigno possa esprimersi al meglio secondo il principio “less is more”. Cercando di intuirne la capacità di invecchiamento, quella longevità che crea fascino, complessità e unicità nel bicchiere. Quell’unicità che gli permette di posizionarsi tra i grandi bianchi italiani. Invecchiamento che però non significa in maniera scontata legno. Si può invecchiare bene anche senza sovrastrutture, con lealtà.
Custoza, vino di terroir che dopo la modifica del disciplinare non è più riconosciuto “Bianco di” ma è in più stretto legame con il suo territorio.
Siamo a sud del Lago di Garda, sulle colline tra Custoza e Staffalo, vicino a Sommacampagna (Verona). Luoghi del Risorgimento italiano. Il clima mediterraneo temperato aiuta a valorizzare le caratteristiche aromatiche delle uve bianche. Monte del Frà nasce come convento dei Frati di Santa Maria della Scala. Frati laboriosi: producevano ciò che serviva per la sussistenza. Oggi l’azienda, che fa della sostenibilità un altro elemento chiave della sua identità, ha vigneti in tutte le principali denominazioni veronesi per un totale di circa 140 ettari in proprietà e una settantina in affitto. Ma è nel Custoza che ha vinto la sua scommessa più ardua: creare uno stile che non ha bisogno di urlare per far sentire la propria voce.
“La soddisfazione, l’orgoglio e la felicità per questo riconoscimento sono incontenibili”, racconta Marica Bonomo. “Non parliamo solo di Custoza, di un territorio che è nelle nostre origini, quindi con un imprinting genetico di amore e passione grandissimi, ma anche di un trait d’union tra tre generazioni di casa mia, che lega mio padre, mio zio e la sottoscritta nella volontà di concepire un grande bianco italiano. Cà del Magro è un vigneto di 55 anni di età. Quando iniziai a lavorare in azienda esisteva solo il Custoza fresco, giovane e fruttato, buonissimo sì, ma per mercati target specifici. Viaggiando per il mondo mi innamorai dei bianchi di struttura e quando tornai a casa espressi a mio papà Eligio la volontà di creare un grande Custoza, con una longevità piuttosto importante, che ci potesse non solo rappresentare nel mondo ma che diventasse il nostro racconto. Inizialmente la mia proposta non fu presa in considerazione perché il Custoza si vedeva sempre e solo da un’angolatura. Pian piano l’idea, però, cominciò a stuzzicarlo, al punto che individuò in questo vigneto specifico la possibilità di realizzare il progetto. Zio Claudio, enologo, ha un carattere diametralmente opposto a papà. La sensibilità di uno e la vulcanicità dell’altro hanno fatto del percorso del Custoza Cà del Magro, diventato poi Doc Custoza Superiore, un atto d’amore al dialogo tra più generazioni della nostra famiglia e un atto ancora più d’amore allo stile Custoza”.
Un Custoza blend di uve Garganega, Trebbiano toscano, Cortese e Incrocio Manzoni vinificate separatamente. “Verso fine anno, dopo una sosta sulle bucce, iniziamo a creare lo stile Custoza. Come disse la giornalista Kerin O’ Keefe, il Custoza diventa art of blending. La particolarità del nostro vino è che proviene da vigne vecchie. L’imprinting caratteriale è quindi unico e fondamentale. I suoli sono morene gardesane della fine del Pleistocene. I sassi bianchi, drenanti, regalano grande mineralità. Cerchiamo di togliere, non di aggiungere, quindi non ci sono surmaturazioni, passaggi in legno, ma c’è solo una sosta sulla feccia sottile nelle botti di cemento. Il risultato è la massima essenza dell’arte di far squadra di queste uve. L’altitudine regala acidità non particolarmente elevate e l’armonia è la nota descrittiva. Organizzando verticali anche di 15-20 anni capiamo quanto questo vino sia longevo. Se nel Custoza in modalità d’annata abbiamo tutta la freschezza e il brio della gioventù, nel Superiore scopriamo maturità e complessità conferite dal tempo, che educa il vino a parlare in maniera più affascinante”.
L’azienda è presente oggi in sessantaquattro paesi e il 65% del fatturato è rappresentato dall’export. “Crediamo molto anche nel nostro mercato principale, che è l’Italia, tutto horeca. Abbiamo voglia di abbracciare eno-appasionati e curiosi in grado di percepire non solo qualità ma anche cultura ed emozione nel calice di vino. Da sessantacinque anni ogni giorno il padre al figlio e il figlio al padre di colui che sarà la futura generazione trasmettono i valori solidi di una famiglia che fa del rispetto e della propria passione una vocazione”, continua.
Quanto al bilancio delle fiere di inizio anno: “Siamo stati molto presenti. Vinexpo, a Parigi, a metà febbraio, è una fiera che sta prendendo sempre più piede e sta diventando molto interessante per il mercato italiano. Vinexpo New York è settorizzata sul mercato americano e si è rivelata un’opportunità. Prowein quest’anno era un po’ sottotono. Ho visto la fiera di Dusseldorf adagiata su situazioni di successo ancorate al pre-Covid. La ristorazione e la gastronomia tedesca sono state poco presenti in fiera e sono mancati determinati paesi, per esempio i cinesi erano pochi. Vinitaly invece, cui partecipiamo da più o meno trent’anni, è stato uno tra i più belli mai visti, forse un po’ meno stiloso rispetto al passato ma tanto concreto, con un grande spessore commerciale grazie a un forte investimento nella ricezione dei buyer, che ci contattavano per poter accedere al nostro stand su appuntamento. La fiera è un punto di partenza per generare valore e riesce a far coesistere la comunicazione d’impresa con la comunicazione del prodotto quando investe al fianco delle sue aziende”.