Intuizione, talento, passione. Sono questi gli ingredienti che fanno vivere il sogno di un imprenditore. Ma per gettare il proprio cuore oltre l’ostacolo serve l’entusiasmo, quello del primo giorno, lo stesso che per Henry Ford era alla base di tutti i progressi. E che unito alla capacità di emozionarsi ancora è il vero motore di qualsiasi impresa. 
Da pochi giorni Chiara Soldati è stata nominata Cavaliere del Lavoro, prestigioso riconoscimento al suo saper coniugare mercato e valori della persona, competenza e virtù, profitto e visione sociale. Si diventa credibili quando ci si riconosce in ciò che si fa. Quando ciò che si fa è l’unica alternativa possibile perché non c’è altra via.
La Scolca, azienda vitivinicola a conduzione familiare leader nella produzione del Gavi, che Chiara Soldati guida da trent’anni, inizialmente affiancandosi al padre Giorgio, è oggi una solida realtà territoriale a vocazione internazionale, in costante crescita.
Cinquanta gli ettari vitati. export per una quota variabile tra il 70 e l’80%, mercati target Europa, Usa, Far East, Caraibi, Sudamerica e new entry l’Africa.
Oggi conosciamo le potenzialità del vitigno cortese, sappiamo che può restituire nel bicchiere grandi vini, ma crederci all’inizio di un percorso, tutto in salita, non fu poca cosa. Ci voleva genio. Diceva Arthur Schopenhauer che “Il talento colpisce un bersaglio che nessun altro può colpire; il genio colpisce un bersaglio che nessun altro può vedere”.
Quando la raggiungiamo telefonicamente, è in partenza per Venezia e poi per la Germania ed è appena rientrata da Londra dove era membro della giuria internazionale per l’elezione del miglior sommelier Uk.

Come ha trovato i giovani sommelier?

Preparati, motivati, entusiasti. Si candidano a diventare ambasciatori del vino non solo nella sua descrizione e nella tecnica del servizio, ma anche nella comunicazione di un territorio, negli abbinamenti gastronomici, dando volto e identità ai diversi luoghi di produzione e diffondendo un bere consapevole. Il nostro mondo porta con sé valori importanti ed è bello che i giovani prendano questa strada. Una strada che li porterà sul tetto del mondo se sapranno coglierne le mille opportunità senza mai tradire se stessi. Oggi serve un networking tra produttori, sommelier, ristoratori, con il mondo horeca nel suo complesso per essere univoci. Perché al di la delle vendite, abbiamo una grande responsabilità educativa.

E ora è anche Cavaliere del Lavoro. Lei è l’artefice dell’internazionalizzazione della sua azienda, una sfida prima di tutto manageriale, che richiede skill più ampie rispetto a quelle necessarie per operare sul mercato domestico…

Il Cavaliere del Lavoro rappresenta l’onestà, la lealtà, il servizio per il prossimo. Un riconoscimento al mio impegno nell’ambito agricolo e imprenditoriale, ma anche nel sociale come consigliere dell’associazione per la ricerca sul cancro e come presidente del Centro Pannunzio di Torino per la divulgazione della cultura. Mi sento investita di una onorificenza che non deve esclusivamente restare racchiusa in un titolo ma deve essere rappresentata dal fare. Dobbiamo essere veramente al servizio dei valori. La Scolca in questi anni è cresciuta, ha saputo guardare lontano, ha conquistato mercati strategici per il Gavi in particolare e per il mondo del vino in generale, aprendo tante strade. È stata sicuramente premiata l’imprenditrice, e mi prendo i meriti che mi spettano per aver saputo scrutare l’orizzonte in cerca di opportunità di crescita, cercando di intuire dove sarebbero andati i mercati, anche quelli che non esistevano ancora, ma al tempo stesso condivido questo traguardo con chi mi è stato vicino e mi ha supportato. Perché le cose più importanti che non compaiono nel bilancio di un’impresa sono la sua reputazione, i suoi uomini e le sue donne. Sono orgogliosa di rappresentare le imprenditrici agricole femminili e le tante donne che ogni giorno lavorano silenziosamente nel mondo rurale, un concetto che già espressi quando Luca Zaia, allora ministro dell’agricoltura, mi consegnò il premio de@terra, destinato alle imprenditrici che si sono distinte nel comparto agricolo. Ero molto giovane ma già molto attiva. Mio padre mi ha dato un’educazione severa e a posteriori, visti i risultati, forse è stato meglio così. Ho ricevuto la notizia a Londra, poco prima di sedermi in giuria. La prima chiamata l’ho fatta a mio figlio, Ferdinando, che a questo punto dovrà fare meglio di me. Ci riuscirà se sarà coraggioso e curioso. Questa nomina mi fa portare avanti il mio lavoro ancora con più orgoglio, ma non la considero un punto di arrivo, semmai di rinnovata partenza oggi che la priorità è saper innovare, reinventandosi di continuo perché i mercati cambiano con una velocità molto superiore al passato.

Il suo nome si va ad aggiungere ad altri grandi imprenditori del mondo del vino. Era nell’aria questa nomina?

Non è stata un’autocandidatura, mi ha voluta il mondo imprenditoriale ed agricolo. Il percorso non è stato facile, perché in genere questa onorificenza viene riconosciuta più avanti negli anni, chiude una carriera, proprio per questo gli attribuisco un valore maggiore e ringrazio chi ha creduto in me. Il presidente Mattarella mi ha scelta in una rosa di nomi da cui sono scaturiti i venticinque insigniti del cavalierato. Per il mio essere piemontese, quindi con i piedi ben piantati per terra, non mi aspettavo che uscisse il mio nominativo. È un riconoscimento a me e al lavoro fatto dalle generazioni che mi hanno preceduta. Mio padre è stato il primo presidente del Consorzio del Gavi ed è stato colui che ha ottenuto la Doc e la Docg.  Ciò che ho in mano è il frutto di tre generazioni che prima di me ci hanno creduto, hanno investito, con un grande bagaglio valoriale. Mia mamma Luisa un po’ per scherzo dice che in famiglia non ci limitiamo a fare grandi annate, ma ci impegniamo anche a creare grandi generazioni.

La governance dell’azienda è saldamente nelle mani di una famiglia, non poca cosa se pensiamo ai tanti fondi di private equity entrati nel mondo del vino negli ultimi anni. Credete da sempre nel territorio, nel vitigno cortese, non avete acquisito cantine in altre zone vitate, ma vi siete sempre identificati con il Gavi…

Assolutamente sì. La famiglia aveva diversificato gli investimenti nel 1919 acquisendo l’azienda agricola. Poi questo è diventato l’investimento principale, con la volontà di restare orgogliosamente impresa familiare e poter crescere in quest’ottica. Siamo piemontesi ed è giusto dare voce all’espressione vitivinicola del Piemonte e dell’Alessandrino. Crediamo nell’autoctono, nel lungo invecchiamento. La nostra volontà è continuare a investire nel territorio, che, se volete, è nato e si è sviluppato con noi dando benessere al tessuto rurale. Tra un mese e mezzo otterremo la certificazione ISO 22000, in autunno quella per la sostenibilità. Abbiamo sempre creduto nello sviluppo, nel rispetto della nostra terra, in tutti quei valori che sto trasmettendo a mio figlio. I sacrifici, che spesso non si vedono, sono direttamente proporzionali ai successi. Mi sento responsabile del futuro perché il futuro lo creiamo oggi, domani è troppo tardi. Così come abbiamo una grande responsabilità verso il mercato e il consumatore finale, verso i nostri ambassador internazionali e il nostro team aziendale. La nostra zona, non sempre così conosciuta, ha bisogno di essere comunicata per il suo patrimonio vitivinicolo ma anche turistico e culturale. Penso ai castelli, ai golf, alla gastronomia. Il nostro focus è sul vino e sul turismo, perché una delle recenti vocazioni è aprire le cantine alle visite, anche a livello didattico. Sono orgogliosa di produrre in una zona altamente vocata ma che ha ancora tanto da esprimere. 

Come affrontare l’obbligata segmentazione dei mercati e dei consumi? Bisogna puntare  di più sul binomio valore – identità rispetto a quello prezzo – qualità?

Sicuramente sì. Il prezzo deve essere sempre congruo, deve dare valore e redditività alla produzione e non far scadere le tecniche e i protocolli di produzione. Oggi lo scenario post pandemico è complesso. C’è anche un conflitto militare in atto che ha messo gli imprenditori di fronte a prove importanti come il caro carburante, la carenza dei materiali per il confezionamento, tutto il problema della supply chain. Il nostro futuro è legato all’educazione e alla formazione del consumatore e dell’operatore. L’Italia ha un mercato del vino molto frammentato, con imprese piccole e medie e una quota importante di industria, dove ognuno svolge un ruolo fondamentale nella filiera del consumo. Dobbiamo sostenere le Docg importanti, gli autoctoni e creare il sistema paese, di cui si discute da tanti anni, includendovi il lifestyle e quello che nella manifattura abbiamo di eccezionale. Credo molto negli aiuti dell’Europa con il PNRR, che questo possa ridare uno slancio. L’Italia l’anno scorso aveva chiuso con sei punti e mezzo di Pil, un dato molto incoraggiante, ma quest’anno la crescita si è rallentata.

Negli Usa, dove l’inflazione è altissima, la domanda di prodotto italiano è forte?

Da inizio anno sono già stata due volte negli Usa e due nel Regno Unito. C’è preoccupazione per l’inflazione, ma c’è altrettanto entusiasmo dovuto alle riaperture, alla voglia di convivialità. La domanda, fortunatamente, è forte e lo vedo anche in Europa. Siamo in una fase di  stand-by con il mercato russo e ucraino. L’importatore ucraino ha ricominciato le forniture, ma attendiamo una risoluzione a livello commerciale e soprattutto umano del conflitto perché è una ferita profonda.

I costi delle bottiglie sono aumentati del 30% in sei mesi…

E questo dato non è destinato a fermarsi, purtroppo. È difficile anche il reperimento del vetro e c’è un problema enorme con il grano, un’amara considerazione che avevo già espresso mesi fa. La carestia alimentare è una grandissima preoccupazione, come lo è la carenza di fertilizzanti. Rischiamo di andare incontro a carestie, disordini sociali, soprattutto nei paesi più poveri. Saranno mesi di grande attenzione e dovremo essere forti e coraggiosi.

Suo padre Giorgio ha sempre creduto nel Metodo classico. E lei oggi cosa ne pensa?

I dati del Metodo classico sono molto positivi. Ha cominciato mio papà negli anni ‘70 a produrre un Metodo classico in purezza 100% cortese, che oggi sta diventando per noi sempre più strategico. I giovani si avvicinano al vino grazie allo spumante. C’è la voglia di bere italiano e di andare a cercare prodotti monovitigno. L’espressione della longevità sia nella versione spumante sia in quella ferma è una bandiera che sto portando avanti perché dà nobiltà a questo vitigno.

Che dall’uva cortese si riescano a produrre spumanti eccellenti non può essere messo in dubbio se qualche tempo fa Moët & Chandon aveva puntato gli occhi sulla vostra azienda…

Assolutamente sì, ma il valore della famiglia, quello che mio cugino Mario Soldati chiamava il cuore artigianale, resta, pur incontrando il successo industriale. Ci vuole intelligenza, e rispetto. Oggi possiamo dire che abbiamo mantenuto la promessa.

Cosa augura a Lamberto Frescobaldi, neo presidente di Unione italiana vini?

Di essere un capitano coraggioso in questo mare in tempesta. Ha le carte in  regola per superare un momento così difficile e forse per creare quel sistema Italia che tanto, e da tempo, auspichiamo.