Innovazione, competenza, sostenibilità. Come dovrà essere l’azienda del futuro e quindi il futuro di un paese civile? Questo il focus del convegno organizzato al polo produttivo di Bologna da Philip Morris per riflettere sul concetto di filiera etica, lavoro e sostenibilità. “Non tutto il lavoro è buono, dobbiamo impegnarci per creare il lavoro buono”, esordisce il cardinale Matteo Zuppi. Philip Morris – 1,3 miliardi nel 2020, 0,54% del Pil nazionale, che ha annunciato di generare entro il 2025 oltre il 50% dei ricavi netti totali da prodotti innovativi senza combustione per un futuro senza fumo e che oggi ha lanciato in Italia IQOS, sistema che scalda il tabacco senza bruciarlo, e la sigaretta elettronica VEEV –  non è un’azienda vinicola ma i principi futuristici a cui si ispira sono al contempo best practise esemplari e trasversali, fra cui il raggiungimento entro il 2030 della carbon neutrality, estendendo l’impegno all’intera filiera produttiva entro il 2050, valori che focalizzano sulla cultura industriale come ricucitura sociale, mettendo al centro il concetto di spreco, anche dell’acqua, e di dignità del lavoro. Un contributo importante alla creazione di valore e allo sviluppo sostenibile in Italia. 
“Quando si pensa all’agricoltura, settore di eccellenza del made in Italy, si pensa a un mondo legato al passato”, commenta Myrta Merlino, moderatrice del convegno e conduttrice del programma televisivo L’aria che tira. “Ma non è così. L’agricoltura è il mondo più futuribile possibile e proprio per questo va difeso”. Il sottosegretario alle politiche agricole, alimentari e forestali Gian Marco Centinaio: “L’agricoltura sta ridisegnando il nostro paese. Mi piace l’abbinamento fabbrica e futuro e le parole chiave innovazione, competenza e sostenibilità messe proprio in questo ordine, con al centro la competenza, vera innovazione oggi. Spesso si ha una visione distorta dell’agricoltura, si pensa alla persona anziana, con cappello di paglia, un trattore del 1950, tanta fatica. Nell’immaginario collettivo l’agricoltura è qualcosa di fuori moda. Invece non è così. L’agricoltura è sempre più fatta da giovani laureati, non necessariamente in discipline agronomiche, ma spesso in economia e commercio o ingegneria. L’agricoltura è innovazione, nuove tecnologie, ricerca scientifica, perché dobbiamo pensare al prodotto agricolo come al miglior prodotto agricolo possibile, che si adegua per esempio al cambiamento climatico. La parola OGM, che in passato ci faceva paura, è antiquata. La visione nuova non è quella del raccoglitore ma del giovane imprenditore che molto spesso attraverso nuove tecnologie non sta quasi più nel campo ma a casa con lo smartphone e i droni a monitorare i processi. Noi abbiamo anticipato i tempi anche rispetto all’Europa. L’Europa in questo momento sta chiedendo al mondo agricolo cose che in Italia già si facevano.  Ecco perché è importante la tutela e la difesa del made in Italy. Più che made in Italy però, vorrei parlare di ‘made in’, perché voglio fare squadra con  i made in Francia, in Spagna, in Germania… Il lavoro per tutelare e promuovere il nostro prodotto è una missione. Sulla questione del prosecco ho voluto creare una squadra, una task force di persone competenti, che ho chiesto al ministro di istituzionalizzare, per andare in Europa a dire che il prosecco non si tocca perché diventa una questione di Stato. Occorre prevenire i problemi, non rincorrerli. Se perdiamo la partita prosecco, si apre una voragine e quella voragine va a toccare tutte le nostre eccellenze”. 
Per Ettore Prandini, presidente di Coldiretti: “Noi abbiamo preceduto qualsiasi discorso legato alla filiera agroalimentare. Siamo partiti nel 2005 a gettare le basi per costruire un futuro tra l’industria di trasformazione e la parte agricola. Abbiamo creato sostenibilità e la nostra è la filiera del tabacco con più innovazione, ma ci siamo aperti a un rapporto che ha aggregato anche tanti altri soggetti per discutere su come sostituire i prodotti chimici con quelli sostenibili. E abbiamo sviluppato il tema della digitalizzazione, non con le risorse del Recovery. Grazie alla digitalizzazione interveniamo solo dove c’è bisogno, abbiamo una riduzione drastica di qualsiasi prodotto fitosanitario e un risparmio sulla filiera produttiva che supera il 50% del consumo d’acqua rispetto a quello che avveniva in passato. Con Philip Morris siamo partiti da un concetto, che era quello di non delocalizzare ma investire in Italia in tutta la filiera produttiva. Tutto questo porta efficienza. Inoltre in Italia tracciamo qualsiasi  tipo di lavoro che viene eseguito all’interno dell’impresa agricola e assicuriamo all’azienda che ritira il prodotto, in questo caso Philip Morris, che non c’è nessuna forma di sfruttamento del lavoro. Il capolarato è una piaga che vogliamo combattere. Siamo l’unica organizzazione a livello nazionale ed europeo che ha sottoscritto tutti i protocolli  d’intesa con i ministeri competenti perché questa è una sfida doverosa che anche il settore agricolo deve saper cogliere per dare una prospettiva dignitosa alla nuove generazioni”.