Vino da ascoltare, musica da bere. Ma è possibile intrecciare le proprie competenze musicali con l’arte della sommellerie? Sì, applicandosi con curiosità, studiando e sperimentando con metodo si può trovare l’abbinamento perfetto, quello che mette tutti d’accordo. Ed ecco che degustare un bicchiere di vino travalica il suo significato originario per coinvolgere in maniera approfondita, affinandoli, tutti i sensi, compreso l’udito. Ma non chiamatelo gioco. Perché la degustazione e il relativo abbinamento musicale viene condotto in maniera scientifica. Avete mai sentito parlare delle ricerche dei neuroscienziati Adrian North e Charles Spence  e dei metodi Piccinardi, Mercadini, Sicheri che abbinano con criteri tecnici i vini ai cibi?
La figura del sound sommelier, e il suo grado di tecnicismo, ce la spiega Paolo Scarpellini, un passato e un presente come critico giornalistico musicale ed enogastronomico, che è riuscito a unire due passioni, in questo caso il vino e la musica, in un mestiere dove nulla è lasciato all’improvvisazione.

Come nasce la figura professionale del sound sommelier?

La conoscenza approfondita del campo musicale ed enogastronomico mi ha portato a ideare una figura che in Italia ancora mancava. Negli Stati Uniti esiste da tempo, ma non a questo livello tecnico, in genere si tratta di degustazioni con abbinamenti musicali molto soggettivi ed emozionali che vengono ‘imposti’ ai presenti. L’ispirazione mi è venuta proprio durante un viaggio giornalistico in California nei primi anni duemila. Visitai delle aziende vinicole prestigiose e, siccome negli Usa il marketing del vino è spettacolarizzazione ai massimi livelli, feci una degustazione in accompagnamento con la musica. Una  gran bella idea, mi dissi, però il brano in sottofondo, lo stesso dall’inizio alla fine del percorso degustativo ed esperienziale, a mio modo di vedere nulla aveva a che fare con i vini che stavamo assaggiando, vini peraltro diversi tra di loro: rossi, bianchi, spumanti, dolci. Così, rientrato in Italia, decisi di fare qualcosa che potesse arricchire la classica esperienza sensoriale. Le sfaccettature sono molteplici, anche lo stesso vino cambia a seconda dell’annata, dell’invecchiamento, di come è conservato. Mille sono le variabili che entrano in gioco, ecco perché è necessario personalizzare e contestualizzare una bottiglia.  

L’approccio del sound sommelier è scientifico?

Assolutamente sì. Non basta trovare l’abbinamento giusto tra canzone e vino ma anche tra percezioni sensoriali derivate dalla musica che si possono applicare al vino. Ho scoperto che nel mondo anglosassone nel campo delle neuroscienze esisteva già da tempo una branca di scienziati che aveva elaborato delle teorie supportate da prove pratiche. Il professore Adrian North ha anche studiato a fondo il legame tra personalità umana e generi musicali, spingendosi a livelli inimmaginabili. Dimostrando quanto la musica in sottofondo possa influire sulla percezione del gusto del vino. Addirittura cercò di capire le differenze di acquisto dei clienti di un supermercato o di una cantina a seconda del tipo di musica e ancora se la nazionalità della musica influenzasse in qualche modo la nazionalità del vino. Charles Spence, invece, è uno dei maggiori esperti al mondo di gastrofisica, la scienza che studia il rapporto tra il cibo e i nostri sensi, ed è riuscito a dimostrare come mangiare sia una esperienza multisensoriale. Per esempio, il caffè diventa più dolce se bevuto da una tazzina rosa o la mousse meno zuccherata se servita su un piatto bianco invece che nero. Questo per dire che nulla è scontato. Otterremo risultati diversi se facciamo degustare a determinati soggetti  determinati campioni cambiando di volta in volta musica o ritmo o genere: pop, reggae, rock, blues e via dicendo. In base ai risultati pubblicati su diverse riviste scientifiche in Inghilterra e negli Stati Uniti si è potuto appurare che esistono forti somiglianze tra le note musicali e quelle del vino. Per esempio, al vino rosso si abbinano meglio degli strumenti con toni bassi, come basso e contrabbasso, ai bianchi strumenti che sono un po’ più allegri come archi, violini e arpe, ai rosati strumenti a corda come la chitarra e anche voci femminili. Partendo da questi presupposti mi sono messo a studiare quali combinazioni di generi, ritmi e quant’altro si possano accompagnare a un certo tipo di vino. Ho preso ispirazione dal sommelier che lavora al ristorante, che insieme allo chef studia per ogni piatto la quantità di ingredienti, il tipo, la provenienza, la cottura, la preparazione, l’accostamento e le caratteristiche del gusto prevalenti, come salato, dolce, amaro, speziato, acido. Imparate queste nozioni sul piatto, il sommelier del ristorante in base alla sua esperienza cerca la bottiglia giusta. Io faccio la stessa cosa abbinando però la musica al vino.

Come nasce in concreto una degustazione vino con musica? Da cosa si parte?

A differenza del sommelier del ristorante che parte dal piatto, io parto dal vino. Studio le caratteristiche principali del vino, quindi il territorio, il vitigno, l’annata, il grado alcolico, la tipologia e tutte le caratteristiche naturali che fanno parte della sua storia insieme alle caratteristiche organolettiche per identificare aromi, gusti e retrogusti come se fosse un vino da studiare a un corso Ais o Fisar. Dopodiché vado a cercare l’abbinamento perfetto nel mio database personale, che comprende ogni tipo di musica al mondo delle varie epoche e dei vari generi. Funzionano anche gli abbinamenti legati al territorio, per esempio un particolare vino toscano con un musicista toscano, oppure l’annata del vino potrebbe corrispondere all’anno in cui una canzone è stata scritta.

Con un grande Riesling della Mosella cosa potremmo abbinare?

Sceglierei abbinamenti territoriali, in base a quale zona della Mosella ci riferiamo, se francese, tedesca o lussemburghese. Per esempio, con un  grande Riesling renano vedrei bene il duetto tra Papageno e Papagena, uno dei momenti più rappresentativi de ‘Il flauto Magico’ di Mozart, di straordinaria intensità dialogica. A un Riesling alsaziano abbinerei il singolo ‘Mon manege a moi’ di Edith Piaf, interprete unica e complessa che sapeva modulare la propria voce passando con naturalezza dai toni graffianti a quelli dolcissimi. Con un Riesling della Mosella lussemburghese è perfetto il brano ‘Petit Bonhomme’ di Camillo Felgen, corposo e raffinato al tempo stesso. Ricordiamoci però che questo non è un gioco, ma un lavoro che richiede conoscenze precise e preparazione.