Business ed etica sono due concetti opposti o comunque due universi distinti? Oscar di Montigny, in Gratitudine, libro in uscita per Mondadori il 12 maggio – che ho tra l’altro recensito per Famiglia Cristiana – porta a riflettere sul nuovo concetto di brand capace di resistere alle sfide prossime del mercato. Un volume che si inserisce nel dibattito sul futuro del nostro pianeta sia in termini di risorse sia di sostenibilità mettendo al centro il concetto di gratitudine, ossia quel senso di riconoscenza che ogni singolo deve provare per l’altro e che quest’ultimo deve cercare di far nascere attraverso il suo operato volto al bene comune. Lo stesso concetto di marketing si è evoluto nel tempo: da strumento “per far incontrare i prodotti dell’industria a un pubblico piuttosto indistinto di individui con esigenze elementari, fisiche, indifferenziate”, che poneva al centro il prodotto, le virtù che lo rendevano utile e lo distinguevano dalla concorrenza, a strumento più attento ai clienti e ai loro bisogni. Il marchio crea e distribuisce valore. E da qui il passaggio a brand, con un cliente che non vuole solo comprare i prodotti di una marca ma vivere con essa un’esperienza in cui identificarsi, ritrovando valori condivisi con la propria esperienza personale. Dallo story selling, in cui il brand decantava le mere qualità del prodotto in vendita, si è passati allo story telling, l’arte di raccontare storie sempre più affascinanti e coinvolgenti. Unico obiettivo vendere. Come sottolinea Montigny, Chief Innovation, Sustainability & Value Strategy Officer di Banca Mediolanum, con  lo story telling “un brand è solo ciò che racconta”. Ma lo story telling basta oggi? Secondo l’autore no, “lo story telling è già morto”, ma potrà ritrovare una sua funzione se le storie e il raccontarle saranno restituiti a chi le storie le fa e non a chi le racconta e basta. E qui si inserisce il concetto di story making. “Solo chi è e fa ciò che racconta è credibile nella narrazione”. Ma a questo punto si impone un passaggio ulteriore, consapevoli come siamo che una recensione negativa può incidere pesantemente sulla credibilità di un’azienda: lo story being, ossia il concetto fondamentale che un brand è solo ciò che veramente è, la storia che vende, e quindi deve incarnare nel profondo dei valori. Perché oggi i consumatori hanno capito che i vecchi modelli minacciano il loro futuro. “Bene e profitto non sono più due concetti separati, le aziende devono saper fare business condividendo valori universali più che vendendo prodotti”, continua Montigny. Perché non basta che un prodotto sia concepito, creato, ben distribuito e promosso e con un ottimo rapporto qualità-prezzo, ma occorre che incarni un valore. Ed ora il fulcro del discorso: creare intorno al cliente un eco-sistema di valori per raggiungere tre vantaggi in uno: il profitto aziendale, la soddisfazione materiale del cliente collegata al prodotto in senso stretto e nel senso più ampio di felicità, il vantaggio che la società ottiene da questa transazione. “Story being non significa raccontarsi come un’azienda responsabile o green, ma esserlo”. Se Kevin Roberts, storico CEO della Saatchi & Saatchi, ha canonizzato il concetto di Lovemark quale apice del successo di un brand, individuando nell’amore e nel rispetto le due percezioni-chiave che il consumatore può provare nei suoi confronti – e secondo cui basso rispetto e basso amore portano a essere una commodity (bene indifferenziato), alto rispetto e basso amore un brand, alto amore e basso rispetto un capriccio (o fad), alto amore e alto rispetto un lovemark -, Montigny va oltre e parla di gratitudine. Oggi non basta più che il pubblico “ti ami e ti rispetti” perché “domani la condizione necessaria per restare sul mercato sarà generare gratitudine verso di te”. E qui si innesta la sostenibilità ambientale. Per Montigny “le persone ora si aspettano che i brand agiscano in modo responsabile e coerente, dando il loro contributo per un futuro più equo dal punto di vista ambientale e sociale, e che competano pure tra loro sul mercato, ma in una  dinamica operativa, per rendere più sostenibile e giusto il modello di sviluppo economico e sociale”. Una sfida valoriale, quindi. Capacità di suscitare gratitudine nel pubblico e di mettere la gratitudine al centro delle proprie strategie deve diventare un valore-guida, una sorta di automatismo nei processi aziendali capace di far guadagnare alle aziende un vantaggio incredibile sulla concorrenza. Queste aziende saranno i primi Grateful Brand per una Grateful Economy, la cosiddetta Economia Sferica che ha nella gratitudine la sua massima espressione. Partendo da noi stessi e prendendo consapevolezza dell’insieme. Si impone il superamento dell’economia circolare e il passaggio a quella sferica, con il singolo che deve farsi carico degli interessi collettivi. “L’economia circolare è necessaria e urgente, ma è circolare appunto, stantia, non crea movimento. Manca qualcosa. Serve l’umanità, non nel senso di produttori o consumatori ma vissuta nella sua dimensione umanitaria. L’uomo è fatto di una parte bassa, le sue radici, i suoi bisogni istintivi, le sue necessità, ma anche di una parte alta che sono i suoi sogni, le sue aspirazioni più intime. Se ci immaginiamo il cerchio con l’uomo al centro viene fuori una figura tridimensionale, che poi è la figura dell’uomo vitruviano di Leonardo, dove le dimensioni sono tre. Se nel mio fare quotidiano cerco di generare nell’altro un senso di gratitudine, ci scopriremo tutti a fare diversamente e meglio quello che già facciamo quotidianamente bene. Nel mondo del business cosa posso fare se non offrire il miglior prodotto al miglior prezzo con il miglior servizio? Ma se in tutto questo dovessi generare in te un senso di gratitudine si aprirebbero dei mondi. Nella vita sono molte di più le persone che amo e che rispetto di quelle cui sono grato. Queste ultime sono le persone indimenticabili. La gratitudine non è una cosa in più da fare che deve creare ansia, ma una cosa in più di cui animare ciò che già facciamo”.