Oltrepò Pavese, le origini con Conte Vistarino
Eccoci nuovamente in Oltrepò Pavese. Questa tappa la dedicheremo a un nome storico del territorio e della vinificazione italiana, la Tenuta di Rocca de’ Giorgi – Conte Vistarino. E non ci può essere esempio più significativo, se alludiamo proprio alla storia che queste colline vocate al Pinot nero vantano oggi di diritto nel mondo vitivinicolo italiano. In quel triangolo di terre lombarde incuneato fra Piemonte ed Emilia, in un passato nemmeno tanto remoto, il conte Augusto Giorgi di Vistarino decise di piantare sulle sue proprietà le prime barbatelle del nobile vitigno francese, importandole direttamente dai cugini d’Oltralpe. Era il 1850, dunque ci riferiamo a un’Italia del vino in verità molto diversa da quell’attuale. Ma il conte aveva saputo vedere lontano, compiendo una scelta resa possibile dalla vastità della sua tenuta. Parliamo ancora oggi, pensate, di oltre 820 ettari, una cifra assai significativa già di suo, ma l’aspetto più importante è che si tratta di un territorio unitario e attualmente ancora indiviso. Una valle intera, con colline che si affacciano su due fronti contrapposti, variando di altitudine fra i 200 e i 400 metri slm, da nord a sud, consentendo di fatto a Giorgi di Vistarino di poter scegliere, per le viti, le terre migliori e gli orientamenti ottimali. Verso nord, la vicina cittadina di Broni ci riconduce al mondo di oggi, all’autostrada e alle pianure. Mentre su queste colline ancora ricche di boschi, in uno dei punti strategicamente più alti, si ritorna al Medioevo con la Rocca de’ Giorgi che si staglia a dominio del territorio; era l’antica dimora della dinastia, di cui già dal ‘700 ha preso il posto l’attuale Villa Fornace, valido esempio architettonico alla francese costituito da un edifico su tre ali, oltre a un maestoso parco che fu disegnato dall’architetto Achille Majnoni, già al servizio del r e d’Italia Umberto I. Di fronte, le moderne cantine di recente ristrutturazione ci riportano nuovamente ai giorni nostri, fra tecnologia attualissima e qualità degli ambienti arricchiti da dettagli come la grande scala elicoidale in acciaio realizzata in opera, oppure la sala delle degustazioni, fra botti e barrique, il tutto ottimamente curato e tenuto alla perfezione.
Conte Vistarino oggi significa 200 ettari di viti, di cui 100 a Pinot nero, oltre 200.000 bottiglie all’anno e la forza di una tradizione che oggi li vede presenti sul mercato con 20 etichette, fra spumanti metodo Classico, rosé, rossi e bianchi fermi. Un tempo, vista la vastità del territorio, la tenuta era necessariamente legata alla mezzadria, che qua è stata prorogata fino a tempi recentissimi, seppure non più praticata, ed era fornitrice principale dei pochi grandi nomi italiani che spumantizzavano e che prediligevano le uve dell’Oltrepò; oggi questo nome è divenuto esemplare, fra i tanti leader italiani delle bollicine nobili. Di generazione in generazione, l’azienda è condotta da Ottavia Giorgi di Vistarino, coadiuvata dall’enologo Vittorio Merlo, oltre che da Giuseppe Caviola. Adiacente alla cantina, si trova la zona di vendita, ove è possibile anche degustare, accolti dal team di collaboratori che curano la parte commerciale.
In degustazione fra gli spumanti – lasciando che il 1865 Oltrepò Pavese Metodo Classico Pinot Nero DOCG Dosaggio Zero Millesimato venga rimesso in commercio con l’annata 2016, sboccata a luglio – il Saignée della Rocca, ora in versione Extra-Brut Rosé con una sosta sui lieviti di oltre 24 mesi, è un sans année con uve in prevalenza del millesimo 2017: 4 gr/l, sboccatura febbraio ’22, questo spumante concede largamente spazio al vitigno, pinot nero in purezza come da aspettative dell’Oltrepò, dunque si presenta colore rosa tenue, buccia di cipolla, con un olfatto subito fruttato, non solo di piccoli frutti a bacca nera, ma anche con una nota di marasca matura e finale profumato di prugna disidratata, in contrasto con un flavour floreale e dettagli croccanti dei lieviti. Al palato, le fini bollicine prendono il campo, dettando una linearità sapido-acidula potente e al contempo elegante, persistente fino alla fine, con il sostegno di note più gentili, fruttate.
Due sono poi le versioni del Cépage, caratterizzato da uve pinot nero all’80% e chardonnay, che viene lasciato in barrique per quattro mesi: il Brut con dosaggio intorno ai 7 gr/l e il Pas Dosé millesimato 2013 (sboccatura maggio 2021), con oltre 7 anni di sosta sui lieviti, che si presenta di colore giallo paglierino brillante e intenso, con riflessi dorati; all’olfatto è più complesso nelle derive dello Chardonnay che apporta sentori di frutta gialla, oltre a delineare importanti sentori di lieviti, fino a note di burro e crosta di pane. Seguono le impronte olfattive del Pinot nero, qui declinate in ombreggiature di violetta e piccole bacche selvatiche. Palato avvolgente, dominato dall’uva a bacca nera, con persistenza e rigore, poi un finale fruttato e tendente al sapido, non scontato.
Fra i bianchi fermi, da segnalare il Ries, frutto della selezione di sole uve Riesling renano provenienti dalla parte più settentrionale della tenuta, con parcelle che arrivano oltre i 500 metri slm e un orientamento a sud/sud-ovest.
Veniamo ai rossi. Oltre l’immancabile Buttafuoco, tipico di queste zone, da uve croatina, barbera e uva rara, la scelta di Conte Vistarino è quella di promuovere le sottozone, mantenendo cru distinti, che in etichetta portano, dunque, il nome dei luoghi: Pernice, Bertone (premiato 4 Viti AIS 2022 con l’annata 2018) e Tavernetto. In degustazione sono tutti con le annate 2019, così da poter avere un confronto diretto. Al momento, il più equilibrato e pronto dei tre sembra essere Tavernetto, le cui uve crescono a 350 metri slm, lato ovest della tenuta, con orientamento a sud/sud-est. I tre Pinot nero si presentano di colore rosso rubino intenso, con ombre color granata e seguono lo stesso criterio di vinificazione: le uve sono raccolte manualmente e dopo una prima notte in refrigerazione passano una selezione manuale, diraspatura e pigiatura, quindi macerazione a freddo, fermentazione alcolica, poi affinamento in barrique di rovere francese per dodici mesi, in cui si svolge la fermentazione malolattica, infine il vino sosta un anno ancora in bottiglia prima della messa in vendita. All’olfatto, si presentano tutti con bouquet importanti, carichi di note di confettura di ciliegie, fiori passiti come la viola, poi ancora frutti a bacca rossa, con dettagli tipicamente aciduli che riconducono al ribes, sovrastando piacevolmente note speziate e balsamiche, come eucalipto, pepe nero e tabacco. Il palato, con talune differenze fra i tre, stando a questa annata 2019, è ricco, diciamo succoso, grazie ai tannini levigati, non invadenti, lasciando spazio anche a una certa invogliante sapidità, che nelle grandi annate si porta appresso tanto equilibrio, con una preziosa scia speziata.
Un territorio, questo del Pinot nero, che certamente meriterebbe di essere ancora più in evidenza nel contesto della spumantizzazione italiana di qualità. Le terre sono dense di vigneti, i produttori sono davvero tanti, però non sempre si è arrivati a comprendere pienamente il potenziale qualitativo, ma anche quantitativo di queste colline. Quest’angolo di Lombardia, fra Piemonte ed Emilia, ha una storia del vino davvero importante, che troppo spesso è sovrastata dai vicini piemontesi o da territori che più recentemente, nei decenni, hanno acquisito una nomea significativa in fatto di bollicine metodo Classico. Ma se volete grandi spumanti e siete amanti dei calici che reggono abbinamenti di carne succulenta e ben condita, allora cercate in Oltrepò Pavese. Ci troverete il vostro vino.