Filiera corta. E dare valore al paesaggio. Che a Tenuta Saiano, progetto agricolo virtuoso della famiglia Maggioli in Valmarecchia, si traduce in animali allo stato semibrado – le cui carni riescono a soddisfare, anche se non completamente, il fabbisogno della Sangiovesa, l’osteria di livello, cara a Tonino Guerra, a Santarcangelo di Romagna, da 80mila coperti all’anno, stessa proprietà – ma anche vino, olio da cultivar Correggiolo e Leccino, miele, orti stagionali, campi per seminativi, pascoli, aree boschive, un b&b con quattro camere per un’ospitalità rustica e sincera, in sintonia con lo spirito del luogo e, come dicono loro, “di un certo modo di stare al mondo”, un olfattorio, in collaborazione con l’amico appassionato di arte Baldo Baldinini, che da anni cataloga botaniche, olii essenziali, idrolati e spezie di lusso il cui vertice è il pregiatissimo zafferano iraniano – strepitosi i suoi gin aromatici e i vermut – e per ultima ma non ultima l’esperienza – che intercetta tanti giovani – Bucolica Wine Garden, con cui vivere una cena immersi in un giardino bucolico, come ben dice il nome, fra cespugli, arbusti di ginestra e rosa canina e dove tutto quello che finisce sulla tavola è prodotto dalla tenuta. In cantiere anche un aceto importante in collaborazione con un’acetaia di Reggio Emilia. “Questo luogo incredibile nasce vent’anni fa da una intuizione dell’editore Manlio Maggioli, oggi ultranovantenne ma con la mente veloce di un ragazzo, che voleva dare una filiera di qualità alla Sangiovesa, punto di riferimento non solo della gastronomia ma di tutta la cultura romagnola”, spiega il giornalista Giorgio Melandri, autore del libro La Sangiovesa. L’osteria di Santarcangelo, trent’anni di ricette e di Romagna. “Pian piano hanno iniziato a coltivare la vite, ma la produzione principale resta quella degli animali: polli, ovini e suini. Ci sono anche piccioni, conigli, anatre. Non si usano antibiotici e si limita il mangime alla sola integrazione proteica in caso di necessità. Ci sono due macellini interni dove tutto viene lavorato ed è tracciato. Un esperto norcino si occupa del processo di produzione dei salumi senza ricorrere ad additivi o coloranti”.
Il tavolo sull’albero, dalla lista di attesa di mesi e raggiungibile attraverso una scala a chiocciola, è – per chi riesce a farla – l’esperienza nell’esperienza. Ovviamente sempre piccola cucina con piatti ispirati alle produzioni dell’azienda agricola e vini naturali, dove per “naturale” si intende non sofisticato: fermentazioni spontanee, lieviti indigeni, nessuna filtrazione, in poche parole il minimo dell’intervento dell’uomo. Vinificazioni in vasca d’acciaio, affinamento in cemento, in barrique di rovere esausta o tonneau quando servono. Al massimo duemila bottiglie prodotte per tipologia.
Ci troviamo fra straordinarie alture, speroni di arenaria con pareti a strapiombo che non ti aspetteresti di vedere a una manciata di chilometri dalla costa cementificata: Verrucchio, Saiano, Torriana, Montebello, Pietracuta, San Leo raccontano un’altra Romagna, di valenza militare e religiosa, artistica e di pregio architettonico, selvaggia. Siamo nel territorio dei massi erratici, blocchi di roccia emersi dal mare che geologicamente non c’entrano nulla con la conformazione del luogo, ma che qui approdarono milioni di anni fa a causa dei movimenti tellurici; il più grande è San Marino, che sorge su un enorme masso arrivato probabilmente dal Tirreno. Pietre gigantesche sulle quali sono stati edificati castelli, pievi, conventi, rocche. Qui si incontrano due aree biogeografiche: mediterranea ed eurosiberiana. Il giornalista del Resto del Carlino Amedeo Montemaggi – non a torto – aveva definito questa valle, “Pianeta Valmarecchia”, che negli anni ’70-80 divenne un libro. Il fascino singolare della “valle errante” ispirò anche il poeta Tonino Guerra.
Tenuta Saiano per i Maggioli è il modo per valorizzare la Romagna dell’entroterra, meno conosciuta, fiera e genuina, così ricca di storia e borghi sorprendenti, molti dalla struttura di epoca medievale, su tutti Verrucchio (uno dei Borghi più belli d’Italia), il cui museo civico archeologico, all’interno di un antico monastero agostiniano, vale il viaggio. Nei pressi della tenuta, il cammino di San Francesco da Rimini a La Verna ripercorre alcuni luoghi visitati dal Santo nel suo viaggio in Valmarecchia del 1213. Il castello medievale di Montebello, che dà il nome anche a una camera del b&b e domina la vallata, racconta la leggenda di Azzurrina. Questo è il territorio dell’antica signoria malatestiana di Rimini, meta vacanziera in rapporto dialettico in linea d’aria, ma con la fondamentale differenza che qui la vita è lenta, “slow”. Tenuta Saiano si trova a 400 metri di altitudine, su un complesso di argille, rupi arenitiche e affioramenti di gesso selenitico. Spiega Melandri: “Tutto il Riminese è abbastanza uniforme con le sue argille chiare. Qui, invece, c’è presenza abbondante di gesso e calcare, che conferisce eleganza e sapidità ai vini”.
In totale sono 100 ettari di terreno, di cui sette vitati e in produzione, circa ventun parcelle molto diverse fra loro, condotte in regime biologico (certificazione in etichetta dal 2016) e vinificate separatamente. La presenza del bosco è importante. Il rispetto della biodiversità e dell’equilibrio rigenerativo dei suoli si percepisce nell’aria, nel piatto e nel bicchiere. “Da sette sono diventati otto, perché l’anno scorso abbiamo impiantato l’ultimo ettaro di varietali bianchi e quest’anno abbiamo finito un lavoro di sovrainnesto sulle varietà internazionali. Il Sangiovese, tutto a cordone speronato, dal tono più scarico, meno concentrato, la fa da padrone per il 70 per cento”, racconta Alex Fulvi, che insieme a Olivia Maggioli, nipote di Manlio, conduce la tenuta. Qui non si beve vino dal gusto omologato. L’approccio è quello della curiosità. È una Romagna sincera che non vuole scimmiottare nessuno, nemmeno se stessa. Il progetto sui vini, ancora in divenire, è seguito dall’agronomo ed enologo Francesco Bordini.
Il cliente è trasversale, il vino versatile, il team giovane. “Chi lavora qui deve essere devoto al lavoro perché è sfaccettato, bisogna sapersi adattare a fare più cose, a gestire l’imprevisto”, spiega Alex Fulvi. “Ci si confronta molto su quello che bisogna fare, su quello che è più urgente fare, su quello che sarebbe bello fare”. Continua: “Oggi di vini buoni è pieno il mondo. Ciò che diversifica è farli tuoi, identitari non solo stilisticamente, ma anche per quanto riguarda il lavoro che si sta facendo in azienda. I nostri sono vini puliti, verticali, con note salate inequivocabili, più giocati sulle durezze che sul frutto o sulla tracotanza”.
Cinque le etichette che accompagnano il pranzo, da bis, curato dallo chef Massimiliano Mussoni della Sangiovesa, attento a spiegare la preparazione di ogni portata a partire dalle materie prime.
Si incomincia con Rude, l’espressione rosata frizzante del sangiovese da cloni romagnoli e da vendemmia anticipata: brevissima macerazione sulle bucce, rifermentato in bottiglia con aggiunta dello stesso mosto congelato, non sboccato. Strambo o sgraziato? Un Pet-nat – abbreviazione di petillant naturel – originale, sottile, super divertente e iper dinamico nelle sue sfaccettature golose: di ottima acidità, vena di sale, estremamente scheletrico.
Si continua con il Grechetto L’Animo 2023, un vino di materia da uve grechetto gentile di un’annata particolarmente scarsa, vinificato in rosso a contatto con le bucce per tre giorni in vasca d’acciaio, poi per sei mesi in cemento. Dodici gradi è la temperatura di servizio ideale per far uscire una parte aromatica, floreale e leggermente fruttata. Un vino che più che di naso è di bocca: ci sono sale, mineralità e un tannino che lo rende particolarmente gastronomico.
Il Sangiovese 2022, dalla maturità fenolica perfetta, rappresenta la cartina di tornasole del territorio: è franco, schietto, immediato, con nervo, insomma si fa bere. Non il “vinone”, ma un Sangiovese più di scheletro, più di fiore che di frutto, con molto “sale”, da due vigneti diversi.
Il secondo Sangiovese degustato è, invece, un vino parcellare, intenso: più strato, più densità del precedente, da metodo di allevamento ad alberello (piante di inizio Duemila), zona più calda, più bassa. Un Sangiovese che fa 24 mesi di botte grande e 30 giorni di macerazione. È il Sangiovese che più ci si aspetta.
L’ultimo vino in batteria è il Grenache, un altro progetto sperimentale all’interno della tenuta. Nel bicchiere si fa sentire l’imprinting mediterraneo da zona calda, ma al tempo stesso vicina all’Appenino, che regala accezioni fredde, escursioni termiche e suoli gessosi.
Ad accompagnare i piatti si va dall’immancabile piadina alle tigelle. “Strano vedere una tigella nella bassa Romagna, ma abbiamo voluto diversificarci dalla Sangiovesa, dove il companatico si fa con la piadina”, racconta Musoni. “La piadina perfetta è quella sui 3 millimetri di spessore di Santarcangelo, né troppo sottile né troppo alta, da grani antichi ma teneri, fatta con acqua, strutto, o olio per i vegani, e al posto degli agenti lievitanti chimici dei sali naturali che assolvono la stessa funzione: questa è l’unica piccola lievitazione che fa. L’impasto viene poi tirato con il mattarello e cotto sul testo o su una piastra. Su a Saiano l’impasto delle tigelle, da farine locali, comincia a essere già un piccolo lievitato”.
Fra le eccellenze, la cipolla dell’acqua di Santarcangelo, da seme autoctono, Presidio Slow Food, chiamata così perché è sempre cresciuta in maniera importante vicino ai mulini. “È più dolce e leggera delle altre. A Striscia la notizia avevo presentato la zuppa di cipolla con i manfrigoli, una ricetta deliziosa. Ma questa cipolla è da provare, da metà agosto, anche in accompagnamento con la salsiccia, oppure caramellata, in giardiniera o in marmellata. È molto versatile”.
Lo chef parte da materie prime di eccellenza e ha il tocco dell’artista, che, come diceva Gualtiero Marchesi, consiste nel non rovinarle in cucina.
Memorabile la coppa di testa fritta con pomodoro cuore di bue e maionese all’aglio, ma anche i ravioli di asino con ragù di cortile, il pollo succulento alla griglia con marinatura notturna e cottura lentissima sulla griglia, la coppa di maiale impanata con le erbe aromatiche e grigliata, le patate al lardo, la trippa dei maiali della tenuta unita a quella di vitello (“perché non buttiamo via niente”, precisa).
Una Romagna del buonsenso, della praticità, delle cose genuine e semplici. Il vero lusso della vita.