La produzione italiana di vino è stimata intorno ai 43,9 milioni di ettolitri, in calo del 12% rispetto ai 50 milioni del 2022. Una vendemmia caratterizzata più che mai dagli effetti ormai cronici dei mutamenti climatici che, con i relativi decorsi meteorologici incerti e spesso estremi (+70% le giornate di pioggia sui primi 8 mesi dell’anno scorso), hanno determinato importanti differenze quantitative: se il Nord conferma i livelli dello scorso anno (+0,8%), al Centro, al Sud e nelle Isole si registrano flessioni rispettivamente attorno al 20% e 30%. Colpa soprattutto della Peronospora, malattia fungina determinata dalle frequenti piogge che non ha lasciato scampo a molti vigneti dell’Italia meridionale. Un dato, secondo le previsioni dell’Osservatorio Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini (Uiv), presentate oggi al Masaf, che fa entrare il 2023 fra i peggiori anni della storia del vigneto Italia nell’ultimo secolo insieme al 1948, al 2007 e al 2017.
Ed è testa a testa per la leadership mondiale nella produzione. “Per la prima volta dopo anni l’Italia – precisa la Coldiretti – potrebbe non essere più il maggiore produttore mondiale di vino, superata in quantità dalla Francia che, stando all’ultimo bollettino del Ministero dell’agricoltura francese dell’8 settembre scorso, dovrebbe produrre 45 milioni, con un -2% sul 2022”.
“Molti produttori lungo lo Stivale sono preoccupati per la sopravvivenza stessa delle loro aziende pertanto ritengo che una risposta emergenziale potrebbe essere, se le norme ce lo consentono, quella di portare solo per quest’anno la possibilità del taglio dal 15 al 30% o, in alternativa, quella di lasciare, a livello facoltativo, la dicitura dell’annata di produzione in bottiglia”, commenta Mirco Carloni, presidente della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati.
Ma la partita è ancora aperta dopo l’arrivo del sole nella prima metà del mese, che ha rappresentato una vera manna per la vendemmia che prosegue a settembre ed ottobre con la glera per il Prosecco e con le grandi uve rosse autoctone fra cui sangiovese, montepulciano, nebbiolo, per concludersi addirittura a novembre con le uve di aglianico e nerello, su 658mila ettari coltivati a livello nazionale.
La sfida con i cugini francesi è in realtà soprattutto sulla valorizzazione della produzione, che in Italia si attende comunque di alta qualità e – fa sapere Coldiretti – può contare su 635 varietà iscritte al registro viti, il doppio rispetto ai francesi, con le bottiglie Made in Italy destinate per circa il 70% a Docg, Doc e Igt, con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia. Il restante 30% riguarda i vini da tavola, a dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità. Il processo di qualificazione del vino Made in Italy è confermato dal successo dell’export anche in Francia, dove si bevono sempre più bottiglie italiane: il balzo è del +18,5% in valore delle esportazioni nazionali di vino Oltralpe nei primi cinque mesi del 2023, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Istat.
Il vino è il prodotto agroalimentare italiano più esportato all’estero con un valore che nel 2022 è stato pari a 7,9 miliardi sui mercati mondiali.
Per il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi: “Non ci possiamo più permettere di produrre 50 milioni di ettolitri come nelle ultime vendemmie, e non può essere una malattia fungina a riequilibrare una situazione che ha portato di recente al record di giacenze degli ultimi anni. Sorprende, a questo proposito, come molti si preoccupino ancora di rimanere detentori di uno scettro produttivo che non serve più a nessuno: oggi più che mai si impongono scelte politiche di medio e lungo periodo, a favore della qualità e di una riforma strutturale del settore. Tra le priorità, occorre chiudere finalmente il decreto sulla sostenibilità e ammodernare il vigneto Italia, mediamente vecchio, difficile da meccanizzare e costoso da gestire. Serve anche revisionare i criteri per l’autorizzazione “a pioggia” di nuovi vigneti in base alle performance delle denominazioni, oltre a ridurre le rese dei vini generici e rivedere il sistema delle Dop e Igp, compresa la loro gestione di mercato. Questi sono gli strumenti per consentire al vino italiano di fare il salto di qualità necessario ad affrontare sia la situazione congiunturale dei mercati che i cambiamenti strutturali della domanda e delle abitudini di consumo. Occorrerà cambiare marcia sul piano commerciale, a partire dalla semplificazione dell’Ocm Promozione e da una promozione di bandiera capace di coinvolgere le imprese sin dalla sua pianificazione”.