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 Moscato d’Asti, la DOCG CANELLI

 

Mentre si tirano le somme sull’ultima edizione del Vinitaly, ci dilettiamo ancora con una delle interessanti degustazioni che si sono svolte all’interno della fiera veronese.

Siamo virtualmente a Canelli, da sottozona d’eccellenza del Moscato d’Asti a denominazione autonoma: dal 2023 si può scrivere Canelli Docg per i vini da uve moscato bianco provenienti dai 17 comuni attorno a Canelli, nel territorio fra Langhe e Monferrato, nelle province di Asti e Cuneo. Area dal potenziale che potrebbe superare ampiamente il milione di bottiglie attualmente in produzione. E che vanta la storia del Metodo Classico a metà dell’800 con Carlo Gancia, bollicine antesignane dell’Asti spumante da uve 100% Moscato, varietà classificata fra le quattro aromatiche italiane, assieme a Brachetto, unica a bacca rossa, Malvasia e Gewürztraminer. A Canelli si coltiva la vite e il Moscato dal XIV secolo. Siamo nel primo paesaggio vitivinicolo in Italia riconosciuto dall’Unesco (2014).

In passato questo spumante iconograficamente riconosciuto in tutto il mondo, ha sempre avuto la caratteristica connotazione amabile, persino dolce e ha rappresentato lo stereotipo italiano dell’abbinamento con il panettone natalizio, in fondo adatto a tutta la famiglia con la sua bassa gradazione, per un brindisi che guarda al passato, ma che ora si affaccia al presente con rinnovato interesse grazie anche alla versione Riserva, immessa sul mercato non prima dei 30 mesi di affinamento, poi altri 20 in bottiglia.

Qui si è sempre parlato di metodo Martinotti, che nasce proprio da queste parti e Canelli ne rappresenta il cuore, al punto che si usa ancora dire Moscato alla moda di Canelli. In origine c’era il vino ancestrale, la cui seconda fermentazione avveniva in bottiglia, poi buona parte del mondo della spumantizzazione è andato verso il Metodo Classico, ma qui si è lavorato sviluppando la rifermentazione in autoclave Charmat. Oggi del resto il prolungamento di questo processo talvolta anche fino a sei mesi (Charmat lungo), consente alle bollicine di rimpicciolirsi molto, tendendo in apparenza a quelle di un giovanissimo Champenois. Tecnologia applicata massivamente in aree ove la quantità (oltre che la qualità) è un obiettivo primario, come nell’Emilia del Lambrusco, oppure nel Veneto del Prosecco.

Con la Riserva si va oltre la freschezza esuberante di uno spumante giovanissimo e abboccato, come ci si aspetterebbe dal Moscato d’Asti. In degustazione iniziamo con L’Armangia Spaccavento 2023 (5,5% Vol.), un vino dal colore giallo verdolino proprio come ci suggerisce la tradizione. Aromatico, con una lieve acidità di fondo che fa da contraltare alla morbidezza persistente. Le note di frutti bianchi e di foglia di salvia sono predominanti.

Il secondo vino è il Bocchino Sorì dei Fiori 2022, con la stessa gradazione ma caratterizzato da aromi più distesi, oltre il colore che esprime sempre tanta gioventù nel calice. Note elegantemente ferrose e  agrumate, di frutta a pasta bianca dettagliano un olfatto che regala anche un sentore di alloro, il tutto per rendere il palato più corposo, arrotondato dalle piacevoli bollicine, con un finale più sapido.

Terza bottiglia, Giacomo Scagliola SiFaSol 2019. Iniziamo ad essere coinvolti in nuove sensazioni. La freschezza esuberante lascia spazio ad un’analisi del bouquet più ricercata e profonda. Colore in equilibrio fra gioventù e maturazione, questo vino, sempre con gradazione leggera, viene presentato con una etichetta estremamente variopinta, quasi ad anticiparci il suo sapore di frutta dalla scorza di limone al bergamotto, non senza compenetrare quelle note di frutta candita che già all’olfatto ingentilivano un preludio ossidativo mai invadente. Una buona dose di acidità finale restituisce il dovuto interesse in un vino dalle ampie possibilità di abbinamento.

Il Cascina Cerutti Surì Sandrinet 2018 è il quarto vino. L’età in bottiglia ci porta altrove. Il colore rivela la maturazione abbandonando le nuance verdognole. Palato complesso, con note di frutta in sovramaturazione, spezie pungenti come la noce moscata, complementari ai fiori d’agrume; una latenza di smalto intriga e invoglia al palato che nel retrolfattivo rintraccia foglie di menta ed erbe officinali. Equilibrato il finale, fra morbidezza, persistenza ed acidità ancor vivace.

Con le Riserva nasce una nuova collocazione del Moscato d’Asti. Dobbiamo abbandonare gli stereotipi e lasciarci guidare dall’istinto. Del resto il mondo del vino è tutt’altro che fermo, ma in continua evoluzione gustativa, cercando vini meno concentrati e che sposano una cucina sempre più espressiva, complessa nei colori e nei profumi. Il vino segue giustamente la contemporaneità della tavola italiana nella ristorazione del terzo millennio, sicché dobbiamo abituarci a bianchi nuovi e a spumanti schietti, ma intriganti.