Questa settimana il focus del nostro ciclo “Grandi Interviste” è sulla famiglia Miroglio. Su un gruppo tessile di fama mondiale, la E. Miroglio EAD, che nel 2019 ha fatturato 129 milioni di euro, diventando in una manciata di anni il principale investitore italiano in Bulgaria e che con Terre Miroglio, il progetto dedicato al vino, conta su 120 ettari vitati in proprietà grazie a recenti acquisizioni in territori strategici del Piemonte, le Langhe e il Monferrato astigiano. Fanno parte di Terre Miroglio le cantine Tenuta Carretta a Piobesi d’Alba, nel Roero, con già al suo attivo acquisizioni importanti nella zona dei Cannubi, Tenuta Malgrà a Mombaruzzo, nel Monferrato, e la Miroglio Winery, altri 160 ettari vitati a Elenovo, nella Tracia, nel Sud della Bulgaria dove si coltiva la migliore uva di tutto il paese e dove, fra diverse varietà coltivate, ad affascinare è il Pinot nero e a incuriosire per la loro unicità i vitigni autoctoni recuperati come il Mavrud e il Rubin. Vini bulgari che si stanno facendo sempre più spazio sul mercato internazionale. Sogno di un imprenditore visionario che ha creato un impero del tessile e del vino che continua a crescere mietendo successi. Ne parliamo con Ivana Miroglio, nel progetto al fianco del marito Edoardo e dei due figli Franco e Marta.

Ivana Miroglio, avete firmato l’atto di acquisto dei nuovi appezzamenti in piena pandemia…

Sì, abbiamo acquistato 12 ettari nell’area di Nizza Monferrato per il Nizza Docg, che entrano in produzione subito perché erano già vitati. Crediamo molto in questa denominazione e ci siamo concentrati sull’ampliamento di un terreno che già possedevamo. A Tenuta Malgrà, a Mombaruzzo, nostra proprietà dal 2012, prima di questa acquisizione eravamo sui 34 ettari. A Cissone, invece, nell’area dell’Alta Langa, ne abbiamo acquistati 7,5 e siamo saliti così a 15 ettari per l’Alta Langa Metodo classico, consolidando investimenti già fatti sul territorio e aumentando la produzione di Tenuta Carretta. Le bollicine sono un mercato in espansione. L’Italia è uno dei primi importatori mondiali di Champagne, quindi qualcosa dobbiamo fare. Oggi con le recenti acquisizioni per Alta Langa e Nizza Docg siamo sui 120 ettari vitati in proprietà in Piemonte. Vinifichiamo esclusivamente le nostre uve con una viticoltura sostenibile. In Bulgaria abbiamo in produzione 160 ettari, qualcosa in meno dei 200 con cui siamo partiti perché in base al clima, al cambiamento climatico in particolare, alla produttività abbiamo proceduto a degli espianti. Abbiamo fatto investimenti importanti, prove di coltivazione, sperimentazione su vitigni locali come il Mavrud e il Melnik, puntando particolarmente sul Pinot nero e oggi siamo intorno a 1,2 milioni di bottiglie annue, invece in Italia siamo sulle 900mila.

Il mercato domestico è più significativo in Italia o in Bulgaria?

In Bulgaria. Per quanto riguarda l’export, con i vini bulgari vendiamo soprattutto in Canada, Nord Europa e in Cina la nostra presenza è maggiore che con le cantine italiane. Con le due realtà piemontesi siamo presenti per il  45% sul mercato interno italiano, esportiamo in particolare in Nord Europa, Germania, Russia, Giappone, Stati Uniti. In Bulgaria è un altro tipo di prodotto perché lavoriamo principalmente con vitigni internazionali.

C’è più richiesta dei vitigni internazionali all’estero per quanto riguarda le vostre aziende?

No. Il Piemonte lavora molto bene sui vitigni classici  e chi ama i nostri vini continuerà a comprarli. Vero è che oggi la gente sperimenta di più di una volta, c’è curiosità intorno a vini e territori emergenti, ma sull’acquisto continuativo il cliente resta fedele, è anche una questione di gusto. Anzi, il consumo interno nostro aumenterà. Spero in un senso di nazionalismo, che non sempre l’Italia ha, ma che mi auguro che questa volta ci metta. Così come mi auguro che non si abbassino i prezzi di vendita. Sarebbe un errore madornale che svaluterebbe il vino di qualità. Ci possono essere delle agevolazioni, delle  promozioni legate a un progetto o a degli eventi, ma una diminuzione forte sul prezzo sarebbe un danno all’immagine di un territorio, di una denominazione, non solo di una singola azienda. Ci sarebbero ricadute più ampie. Le faccio un esempio legato al tessile. Se fossi un consumatore abituato a comprare un capo a una certa cifra, se improvvisamente lo trovassi con una differenza di prezzo significativa verso il basso penserei di essere stato preso in giro prima, mi chiederei quale sarebbe la differenza di produzione tra ieri e oggi. Il prezzo è un boomerang. Magari vendi 4 bottiglie in più, ma non le vendi mai più.

Qual è l’azienda del gruppo che è cresciuta maggiormente in questi ultimi anni?

Tutte  e tre. Mio marito Edoardo l’azienda in Bulgaria l’ha costruita dal nulla. Un giorno è venuto a casa e mi ha detto che era stato sulla collina a Elenovo, si era guardato intorno e secondo lui lì sarebbe potuta nascere una cantina. E la cantina è nata davvero su una collina nel nulla, in un pianoro dove c’è quell’unica collina. Così è partito un sogno che crea lavoro. Tenuta Carretta la comprò nei primi anni ‘80 per amore del suo territorio e da allora le cose sono sempre andate in crescendo. Edoardo ha sempre cercato di cogliere il meglio dei luoghi. L’anima di tutto questo è lui.

Quali sono i contraccolpi sul vino della crisi in atto?

I primi due mesi del 2020 avevamo ordini e abbiamo spedito. La chiusura successiva di ristoranti ed enoteche ha fatto qualche danno, ma la nostra struttura ha tenuto perché come cliente abbiamo sia il ristoratore sia la Gdo con parte di Tenuta Malgrà e qualche etichetta di Tenuta Carretta. Abbiamo messo in piedi subito la vendita online, che ha funzionato. Certamente a interessarci è il ristoratore perché vogliamo che la nostra qualità sia sempre più riconosciuta. Lavorare con la Gdo non è semplice, la loro politica è quella del prezzo basso. Quindi in Gdo sì, ma sotto un certo limite di prezzo no. Il fatturato di Terre Miroglio nel 2019 è stato di 6,5 milioni di euro.

Siete leader mondiali della produzione e vendita di tessuti e filati. In crescita rispetto all’andamento del tessile in Europa. Qual è stato l’impatto del Covid-19 su questo settore?

La nostra azienda che si occupa del tessile è dislocata in Bulgaria, con una sede produttiva anche in Italia, a Vicenza, per i filati e una piccola sede commerciale ad Alba. Mio marito nel 2006 è uscito dalla storica azienda di famiglia e ha rilevato gli impianti bulgari, che ha ampliato fino a farne un colosso del tessile europeo. Oggi l’azienda è molto verticalizzata: dal filo produciamo il tessuto, le diversificazioni di tessuto maglia e tessuto stampato e da due anni c’è anche una piccola parte di abbigliamento con un brand che non è venduto in Italia per nostra volontà di non avere sovrapposizioni con i cugini, ma è commercializzato soprattutto nel Nord Europa, in Bulgaria e in Francia e conta una trentina di negozi. Lo stato del tessile in tutto il mondo ha avuto una crisi enorme nel 2008 con la chiusura di molti brand. Da allora non ne è ancora uscito del tutto. Ha risentito enormemente della produzione in Cina, Pakistan e India, zone che sono entrate in attività negli ultimi anni, ma che hanno produzioni sempre più abbondanti di tessuti, e un po’ di confezione, con una qualità molto simile alla nostra. Se fino a 10 anni fa potevamo dire che la qualità cinese era di livello inferiore a quella europea, oggi non è più così. Noi in Bulgaria in questi ultimi 5 anni ci siamo salvati rispetto all’esportazione cinese perché la Cina ha avuto una grande richiesta interna ed era molto più lenta sull’estero. Per fare un esempio, ci volevano 40 giorni per avere il prodotto, noi in 15 giorni eravamo pronti per le consegne a parità di prezzo e di qualità. La pandemia è un colpo ulteriore. Sul nostro fatturato in questi 6 mesi si è registrato un calo del 50%. Mio marito che è un imprenditore con la “I” maiuscola e trova sempre un’opportunità, si è mosso subito per reagire alla situazione e siamo entrati in produzione con mascherine e tute e camici per i medici. Con la nostra azienda siamo presenti in 63 paesi e abbiamo un pacchetto con più di 6mila clienti, fra cui Zara, Armani, Versace, Missoni, Max Mara e la Miroglio Fashion. 

Come coordinatrice delle donne del vino, qual è il mood che ha percepito?

Sono stata qualche giorno fa in collegamento con il nostro consiglio nazionale, la settimana prima con la mia delegazione in Piemonte. Qualcuno è stato più bastonato di altri, ma c’è una gran voglia di ripartire, di ricominciare. Bisogna che ce lo lascino fare. Le regole sono cambiate, bisogna reinventarsi. Vogliamo  rivedere la  gente nelle cantine, raccontare il vino, farglielo amare come lo amiamo noi. Si possono fare i convegni virtuali, ma il vino è poesia, si deve vedere, assaggiare, toccare, così i suoi luoghi. Sono sensazioni che non si possono trasmettere virtualmente. Facciamo anche noi degustazioni online, ma è un’altra cosa. Per promuovere il vino bisogna rendere partecipi i clienti della nostra attività, della nostra esperienza.

Da grandi imprenditori, considerate sufficienti le misure messe in campo dal governo?

Quello che è stato messo in campo è la distillazione e la vendemmia verde. La prima credo che non sia interessante per le nostre zone. Là dove cerchiamo una produzione di alta qualità, la distillazione non ha nessun senso, la vendemmia verde nemmeno. Il discorso andrebbe fatto sulle operazioni di pigiatura, sul mosto, con una scrematura, una minor produzione finale e più qualità. La parola ultima sull’agricoltura ce l’ha la Regione, stiamo aspettando il decreto applicativo. Da piemontese dico che non siamo abituati all’assistenzialismo, ma vogliamo un aiuto concreto, magari per l’acquisto di botti per stoccare il prodotto che forse avremo in eccesso, per la ricerca, per le nuove tecnologie.

Arriveranno delle altre novità a breve?

Sì, Villa Garassino, una proprietà che abbiamo a Treiso, nella zona del Barbaresco, sta per diventare un ristorante, nel rispetto di tutte le misure di sicurezza previste oggi. L’anno scorso abbiamo fatto partire nei locali della vecchia cantina un b&b con 5 camere e una piccola vineria. Un mio sogno personale sono due immobili, uno a Tenuta Carretta, che è la vecchia casa padronale che vorrei ristrutturare per farne uno chateaux sul modello francese e per quanto riguarda Tenuta Malgrà, dove nella parte che abbiamo acquistato c’è un casale, proprio in cima alla collina con vista a 360 gradi sui campanili di Nizza, vorrei creare uno spazio di accoglienza per i clienti.

Quali sono i valori alla base del vostro lavoro?

Un grande amore per la nostra terra, al di là di dove uno abita. Il valore del luogo dove sei nato è forte per tutti noi. Abbiamo portato in Bulgaria, pur piantando vitigni internazionali e autoctoni bulgari, la tradizione enologica piemontese, il nostro modo di produrre e coltivare, abbiamo trasportato la nostra provenienza. E l’umanità, un valore fondamentale. Mio marito al mattino, alle otto, entra in azienda, fa il giro degli uffici, va nello stabilimento, conosce i dipendenti per nome. Il nostro Piemonte è un  territorio di grande bellezza paesaggistica e dobbiamo sfruttarlo nel miglior modo possibile, avendo sempre presente che dobbiamo ringraziare. Se pensiamo alla Langa di Fenoglio e di Pavese, oggi vediamo delle colline meravigliose, di cui non sempre siamo coscienti. Dobbiamo rendere agli altri quello che abbiamo avuto.