Nel periodo del lockdown aveva fatto il giro del web la foto di Angela Merkel che acquistava vino italiano, nel carrello della spesa il Barolo e il Barbera d’Asti di Ricossa, azienda piemontese che fa parte del gruppo Mondodelvino Spa.
Di Mondodelvino, holding da 100 milioni di euro di fatturato, con sede a Forlì, fra i principali esportatori di vino italiano, fanno parte, oltre ad alcune controllate estere, cantine italiane in territori strategici: MGM a Priocca (Cuneo); Cuvage, fondata nel 2011 ad Acqui Terme, nell’Alto Monferrato, che punta sui vitigni autoctoni nebbiolo e cortese, uniti ai vitigni internazionali, per la spumantizzazione Metodo Classico (circa 50mila bottiglie, di cui una parte importante è dedicata alla produzione del Nebbiolo d’Alba Rosé); Acquesi, con cui si producono solo vini Doc e Docg piemontesi con metodo Martinotti; Ricossa Antica Casa, azienda piemontese che nasce come distilleria nell’Astigiano alla fine del 1800 e oggi continua la sua produzione con un portfolio di vini molto diversificato, tra cui le Docg Acqui ( https://winestopandgo.com/white-or-pink-week-23/), Nizza, Barolo e Barbaresco; Poderi dal Nespoli, che affonda le sue radici in Romagna, sulle colline forlivesi, in quattro generazioni di vignaioli; Barone Montalto, realtà siciliana che nasce nel 2000 in provincia di Trapani, con 400 ettari di vigneti, parte dei quali in proprietà, tra la Valle del Belice, la Valle dei Templi e Noto, prima del gruppo a ottenere la certificazione etica SA 8000; Codici Masserie in Puglia.
Interessante capire con Mondodelvino, che controlla cantine in vari territori d’Italia e che per mission, dal suo nascere, spinge sull’internazionalizzazione delle aziende, i contraccolpi del Covid-19 per il settore, focalizzandoci sull’export in Cina. Una storia solida, da una intuizione di Alfeo Martini con i due soci Roger Gabb e Christoph Mack, che inizia nel 1991 con la costituzione di MGM (acronimo dei nomi dei tre fondatori) per produrre e commercializzare il vino italiano di qualità e che nel 2013 entra nel gruppo Mondodelvino Spa. La svolta nel 2017 con il cambio generazionale da Alfeo Martini al nuovo team. La governance prevede oggi un sistema duale composto da un consiglio di sorveglianza, in cui ai fondatori si aggiunge Giorgio Rubini, e da un consiglio di gestione con il compito di tracciare le strategie di medio e lungo periodo con un occhio ai mercati emergenti.
Ne parliamo con il direttore marketing ed esperto di mercati internazionali Enrico Gobino, che fa parte del consiglio di amministrazione di Mondodelvino.

Gobino, partiamo dalla Cina. Due dipendenti di Mondodelvino sono cinesi. Questo può essere un valore aggiunto per agevolare la ripartenza sui mercati asiatici?

Abbiamo una dipendente interna, a Priocca, che è in contatto quotidiano con il mercato cinese grazie a un ponte radio che abbiamo creato con un altro dipendente che vive nel Beijing. Il fatto che siano entrambi cinesi è sicuramente una chance in più, soprattutto per la necessità di una interpretazione culturale corretta nelle negoziazioni, che hanno dinamiche complesse. In Cina sono fondamentali le regole di galateo nella conclusione dei contratti. Un formalismo che va molto in profondità perché i cinesi sono estremamente attenti ai rapporti personali, a quello che può essere definito “capitale sociale” degli individui. L’approccio non può essere quello occidentale, spesso confidenziale.

Possiamo parlare di ripartenza?

Sì, c’è una ripresa. È stata una bella sorpresa ritrovare gli ordini dei nostri clienti cinesi, che hanno iniziato a rimettere il prodotto in circolo. La Cina negli anni è sempre stato un mercato altalenante, con annate più buone e altre in cui si faceva più fatica. Nel 2019 il Paese ha pesato per circa il 3% sul nostro fatturato, che comunque è un dato interessante. Abbiamo assistito a una ripresa anche culturale del vino italiano in Cina. Oggi il mercato cinese premia le denominazioni di origine.

Quali sono i vostri canali distributivi principali in Cina?

Le enoteche. Abbiamo anche contratti importanti legati all’horeca, soprattutto con la ristorazione italiana, e ci sono retailer specializzati che operano esclusivamente online e che ricercano bottiglie specifiche per evitare che ci sia una cannibalizzazione dei prodotti online. Tanti retailer decidono di farsi delle etichette dedicate, delle edizioni speciali per far fronte a una differenziazione necessaria con questa modalità operativa.

Che tipo di consumatore è quello cinese? Attento, curioso, informato?

Ha un grande livello di cultura enologica, e non solo enologica, ma apprezza la nostra arte, il nostro territorio e quando viaggia è disposto a vivere esperienze di alto profilo, a essere suggestionato. Dobbiamo fornirgli messaggi chiari. Il consumatore cinese è estremamente ricettivo, basta pensare al suo tasso di digitalizzazione e all’abitudine e all’attitudine alla ricerca. Forse un cliente cinese si intende di vino più di un cliente italiano, perché è abituato a bere vino dalla Francia, dalla Spagna, dall’Australia, dalla Nuova Zelanda, senza trascurare il fatto che oggi il più grande vigneto al mondo è la Cina. La domanda che si pone questo tipo di consumatore è perché scegliere un vino italiano e non neozelandese per esempio e noi dobbiamo essere in grado di spiegarglielo, questa è la sfida che dobbiamo vincere. Il consumatore deve cercare il vino italiano perché ha un valore aggiunto rispetto agli altri vini e territori. L’Italia è ancora la sesta o la settima scelta per i cinesi, pesa circa il 2% in Cina. Mondodelvino è un filo sopra la media quanto a export e con profili produttivi di tutto rispetto. Nelle nostre aziende in Piemonte e in Sicilia abbiamo sempre avuto visite di clienti e amici cinesi prima del lockdown. Questo ci fa ben sperare per il futuro.

Perché il vino italiano fa ancora così fatica in Cina rispetto alla Francia?

Le faccio un esempio. Ho studiato in Francia nel 2004, quindi quasi vent’anni fa, e nel centro estivo a imparare il francese c’erano 1500 studenti da tutto il mondo, di cui 900 provenivano dall’Asia e circa 750 erano cinesi. La Francia ha messo in piedi già trent’anni fa programmi bilaterali ambiziosi di scambio culturale e di supporto al trade, invece noi lo stiamo forse facendo adesso e con risorse scarse. Abbiamo fatto poco dal punto di vista istituzionale e noi aziende abbiamo fatto fin troppo bene. Per capire l’efficacia della Via della seta bisognerà aspettare ancora un po’, è troppo presto per delle valutazioni.

Quali vini sono più apprezzati sul mercato cinese? C’è stata un’evoluzione del gusto negli ultimi anni?

Per quanto riguarda il Sud Italia il consumatore cinese predilige i vini corposi  e intensi, ricchi, con profili sensoriali rotondi, purché siano a denominazione di origine, come il Nero d’Avola e il Primitivo. Del Piemonte scelgono con preferenza Barolo, Barbaresco e Moscato d’Asti, Docg  che stanno acquisendo sempre maggiore interesse. Questo tipo di cliente è passato da un gusto orientato verso il dolce o l’amabile a uno più secco. Quello che cerca, su cui punta ed è disposto a spendere è il vino a denominazione. Il consumatore cinese ha saputo ricercare, ha fatto un percorso formativo di studio e oggi sa riconoscere e attribuire valore alle denominazioni di origine dal Sud Italia al Piemonte. Non dimentichiamoci che il vino italiano rappresenta sempre uno status symbol. L’Italia ha una forte attrazione turistica ed enogastronimica e chi ha capacità di spesa ama spendere per i prodotti italiani, in particolare per il luxury. Si tratta di un consumatore che mediamente beve e degusta, non è un consumatore opportunista che compra un prodotto di fascia bassa. Il consumatore cinese apprezza e spende volentieri se ciò che gli viene dato corrisponde al valore che lui gli attribuisce.

Cosa guarda come prima cosa il consumatore cinese durante l’acquisto?

Il brand collettivo della denominazione o della varietà fa la differenza rispetto a quello aziendale. Secondariamente il prezzo e poi il brand aziendale. C’è molta attenzione anche per il packaging, per bottiglie di forme particolari che diano importanza al prodotto.

Il vostro portfolio vini è ampio e copre diversi territori italiani. Questo è stato una sorta di scudo che ha mitigato i contraccolpi della crisi?

Sicuramente ci ha aiutato a contenere le perdite, che si aggirano sul 10%, un dato tutto sommato buono nonostante il mondo delle enoteche e dei ristoranti si sia inchiodato durante il lockdown. Il nostro fatturato nel 2019 è stato di 111 milioni di euro, con l’export che riveste l’85%. L’azienda più grande è MGM. Certo, la perdita di vendita dovuta alla chiusura di operatori piccoli o medio piccoli, dal ristorante al distributore, non è stata compensata dal fatto che la grande distribuzione inglese o tedesca abbia comunque tenuto. Il gruppo Mondodelvino ha una duplice natura: MGM a connotazione più commerciale, che serve in modo rilevante anche la grande distribuzione, così come i grandi monopoli del Nord Europa, i mercati americani, russi  e via dicendo e una connotazione più viticola con quattro tenute, Ricossa, Cuvage bollicine, Poderi  dal Nespoli e Barone Montalto, con vini di fascia alta che servono maggiormente l’horeca. Inoltre, durante il Covid-19 siamo state tra le aziende più sicure, basta pensare che già lo scorso novembre avevamo vinto un premio legato alla sicurezza consegnatoci al Quirinale.

Stati Uniti e Canada stanno ripartendo?

Il Canada essendo un mercato di monopolio, con la rivendita che è soggetta a un controllo centralizzato organizzato, non ha avuto particolari perdite legate alla vendita. Seppure non ci sia stato un aumento dei consumi, la gente apriva una bottiglia a casa, magari anche il bag in box, e quindi si riusciva a vendere. Gli Usa sono in una grave crisi ora. Si arrivava già da una situazione tesa dovuta al rischio dei dazi. Gli operatori Usa sono un po’ demoralizzati, non sanno cosa attendersi.

Quali sono gli obiettivi sui quali vi focalizzerete?

Far partire con il dovuto slancio Poderi dal Nespoli in Romagna e Cuvage in Piemonte. Abbiamo vinto il premio come miglior bollicina aromatica nel mondo al concorso internazionale Champagne & Sparkling Wine World Championships, di Stevenson, lo scorso novembre, e siamo i campioni in carica. L’obiettivo è far sì che due distretti vinicoli, quello piemontese da una parte e quello del sangiovese di Romagna dall’altra, riescano a conquistare una posizione più rimarchevole sui mercati strategici mondiali. La nostra realtà oggi ha una forte connotazione isolana perché in Sicilia Barone Montalto rappresenta il marchio in esportazione forse più grande con 6,5 milioni di bottiglie. Segue il Piemonte, trainato dal grande lavoro di rilancio che stiamo facendo sul Barbera da una ventina d’anni a questa parte, con Barolo e Barbaresco sempre in vetta. Un’altra sfida è riuscire a fare del Brachetto un grande prodotto, riconosciuto tale sui mercati internazionali. Brachetto che noi abbiamo reinterpretato e che vogliamo lanciare con un giusto valore nella speranza che questo diventi il nuovo stile del territorio e che quindi altri produttori ci seguano. Ci vuole riverenza per la tradizione, ma al tempo stesso audacia. Per noi è il nostro primo Acqui Docg in commercio, i mercati sono ancora da esplorare, da capire, ma credo che possa avere un buon posizionamento nella ristorazione negli Usa, in Uk e Germania. Collocarlo nel mercato trend dei vini rosa fermi darebbe un’ottima prospettiva di crescita alla denominazione. Le battaglie si vincono da soli, ma le guerre si vincono tutti insieme.