I coniugi Obama in visita in Italia avevano apprezzato il suo Diciottto Fanali (annata 2014), un rosato salentino 100% negroamaro che matura per un anno in barrique di acacia. Il Salento ispira vacanze da sogno  e i vip di tutto il mondo – Madonna aveva scelto per ben tre anni consecutivi la Valle d’Itria e, secondo rumors, ci sarebbe tornata anche quest’anno -, ma non solo, il Salento si traduce nei suoi prodotti tipici di eccellenza, nell’autenticità, dei luoghi e delle persone, nelle tradizioni secolari, nel concetto di “bontà”. L’idea è che tutto quello che qui si pianti cresca bene. Un pezzo di Italia che stimola la creatività di scrittori e artisti e che da sempre fa leva sul turismo proiettando all’estero l’immagine di un’Italia che sa raccontare la bellezza a partire dalle cose più semplici e genuine.
Raccontiamo la Puglia del post Covid-19 con Massimiliano Apollonio, uno di quei nomi storici che ha contribuito alla rinascita e allo sviluppo qualitativo del vino salentino nel mondo, il vino degli autoctoni (un centinaio in Puglia). Basta pensare alla denominazione Copertino Doc, che ha puntato sul negroamaro della provincia di Lecce e ha saputo crescere mantenendo un rapporto qualità-prezzo equo nei confronti dei consumatori. Apollonio racconta il “suo” Salento, quella stretta lingua di terra tra due mari, l’Adriatico e lo Ionio, credendo da sempre nella sinergia fra vino, arte e cultura. Perché la Puglia non ha una sola anima, ma è un racconto a più voci.

Partiamo dal Premio Apollonio, che premia ogni anno i pugliesi che a vario titolo hanno reso grande la Puglia nel mondo. Un evento che crea sinergie tra il vino, l’università e il mondo dello spettacolo e che generalmente si tiene in questo periodo. E quest’anno?

Abbiamo deciso proprio nei giorni passati di rimandarlo all’anno prossimo. Le restrizioni imposte dal Covid-19 ci rendono impossibile il suo regolare svolgimento perché i posti sono già molto limitati, circa mille persone ultra selezionate, e ogni anno c’è la guerra per accaparrarsi i biglietti. Il premio, in collaborazione con l’Università del Salento, si svolge all’interno del chiostro del rettorato. Ormai alla 15esima edizione, premia la cultura, in particolare chi è nato in Puglia o ha la cittadinanza onoraria pugliese e si è distinto in Italia e nel mondo. Avevamo pensato di fare una versione online, ma il direttore artistico Neri Marcorè non era molto d’accordo. Però usciremo con un libro in cui dieci premiati, fra cui Ferzan Ozpetek, John Turturro, Helen Mirren, premiano virtualmente dieci pugliesi che non ci sono più, ma che avrebbero avuto pieno diritto di ricevere il premio, come Domenico Modugno, Carmelo Bene, don Tonino Bello. Giuliano Sangiorgi dei Negramaro ha premiato Domenico Modugno e nel libro spiega il perché. Pasquale Petrolo di Lillo e Greg, appassionato di fumetti, ha creato il disegno di questi dieci personaggi. Il Premio Apollonio nasce, però, come premio teatrale, perché mio padre Salvatore e mia madre Liliana amavano il teatro. All’inizio era Serena Dandini la direttrice artistica. L’assurdo è che sono proprio i grandi nomi, i grandi registi come il turco Ozpetek o il romano Genovese che sono venuti nel Salento e hanno fatto conoscere a noi salentini la bellezza dei nostri luoghi, che forse noi davamo per scontata. I salentini oggi sono più consapevoli, sono orgogliosi del Salento, dei loro cibi, del loro vino, del loro olio. È fondamentale creare sinergie, perché arricchiscono l’esperienza, sono un valore aggiunto. Calamitare l’attenzione con eventi di alta qualità su un territorio a vocazione turistica come è il nostro ne accresce il prestigio e giova anche all’enogastronomia.

Fondata nel 1870 Apollonio è impresa storica d’Italia. Nei ricordi di suo nonno non ci sono mai stati racconti di situazioni difficili come questa che stiamo attraversando?

Festeggiamo quest’anno 150 anni di storia. E non poteva capitare in un anno peggiore. Una tragedia di queste proporzioni, con risvolti così negativi per il mondo del vino, non mi è mai stata raccontata, forse la fillossera, un parassita trasportato tramite barbatelle di vite americana, che nella prima metà dell’800 si diffuse a macchia d’olio e distrusse l’80% delle viti d’Europa. Sulle ceneri della fillossera è nata l’azienda Apollonio. Dopo la fillossera si decise di puntare sui vitigni autoctoni, che alla lunga si sono rivelati una scommessa vincente. Spiace per i vitigni pre fillossera che sono andati persi. Oggi abbiamo 120 ettari in gestione diretta, di cui 20 in proprietà. Il Salento va di moda, ma noi abbiamo sempre creduto nei nostri territori, nei nostri vitigni, non ci siamo mai spostati da qui.

Il Covid-19 è arrivato in un periodo di grande successo per i vini della Puglia, che stavano prendendo il volo sia in termini di vendite che di punteggi della critica internazionale…

Trent’anni fa i nostri vini non avevano questo appeal. Il Covid-19 è arrivato in un periodo in cui la Puglia stava andando davvero forte all’estero e in Italia. Il Primitivo era la prima uva venduta in Cina e in Polonia, eravamo in vetta, la qualità stava continuando a migliorare, i prezzi anche. Ora si sta azzerando tutto e dobbiamo ricominciare. Ma potrebbe essere anche un vantaggio: il consumatore finale dopo la pandemia guarda di più la sostanza rispetto alla forma e ai punteggi. Se la linea resta questa, per la Puglia è un grande vantaggio. La Puglia è una terra straordinariamente ricca di autoctoni e con una grande versatilità: abbiamo i genitori dei più famosi vitigni attuali. La Doc Copertino ha una qualità costante in tutti e cinque i produttori. Il rosato del Salento si vende molto bene: il negroamaro ma anche il susumaniello sono uve che si prestano alla vinificazione in rosa con risultati qualitativi importanti. La Doc Salice Salentino, il cui vitigno principe è il negroamaro, è la più famosa, quella che ha contribuito al salto dei nostri vini, ma tutto il territorio è in crescita, un territorio purtroppo giovane nel mondo del vino imbottigliato, ma ricco di storia e cultura. Un territorio con una grande variabilità di climi e condizioni pedoclimatiche, che ha ridotto notevolmente il gap con le aree vinicole più blasonate. Storicamente dalla nostra regione partivano cisterne per la Francia e il Nord Italia. In Puglia ancora oggi non imbottigliamo neanche il 50% della produzione. Ed è assurdo. Questo vuol dire che non siamo padroni del nostro futuro, o meglio per un po’ meno del 50% lo decidiamo noi e per più del 50% lo decidono gli imbottigliatori di altre regioni.

La Puglia sta ripartendo dal punto di vista turistico?

Il turismo italiano sta ripartendo, anche se lentamente. Le nostre località di mare, la Valle d’Itria, Lecce città stanno andando bene grazie ai turisti italiani. I primi a ripartire sono i luoghi che erano già organizzati per il turismo, quelli più conosciuti. Il Covid-19 ha fatto una selezione ulteriore: gli improvvisatori saranno destinati a scomparire, se già non lo hanno fatto, e solo le strutture storiche o quelle con molta professionalità, che hanno preso in mano la situazione, sopravviveranno. La storicità della struttura è garanzia di sicurezza. Per quanto riguarda le presenze dall’estero, in questo periodo da noi in cantina eravamo pieni di visitatori, molti i tour, i bus. Con i nostri vini facciamo quasi il 95% del fatturato fuori dall’Italia e i clienti che ci conoscono vogliono poi venire a visitare il Salento, le Isole Tremiti, il Gargano, Otranto, Leuca, le spiagge di Gallipoli e Porto Cesareo. Il fatto che la Puglia non sia terra di passaggio fa capire che chi viene qui è perché ci sceglie con convinzione. Abbiamo il sole, il mare e il vento: il sole nel vino aiuta la gradazione alta, il vento di Tramontana la sanità del vigneto perché limita i trattamenti, il mare apporta mineralità, caratteristica dei vini salentini. Tutto questo si ripercuote sull’ortofrutta e su qualsiasi altro prodotto. Purtroppo in questo periodo mancano i turisti stranieri. Il problema saranno gli Stati Uniti, dove non si vede ancora uno spiraglio. I voli non sono stati ripristinati e il blocco sulle partenze dagli Usa rischia di mettere in ginocchio tutta la filiera. Gli Usa sono il primo mercato mondiale per molte denominazioni italiane e senza di loro perdiamo una clientela da 5 miliardi. Gli americani nel 2019 sono stati 4,4 milioni e hanno speso 5,5 miliardi. Anche la mancanza di clienti russi, che sono big spender insieme a cinesi e americani, è un problema perché il budget pro capite al giorno in media nel nostro paese è di 173 € per i russi contro una media di 117 € degli altri turisti stranieri, dati Sole 24 Ore. L’Italia è ai primi posti come meta dei big spender a lungo raggio. Se non arrivano turisti cinesi, russi e americani ci saranno conseguenze impattanti. La mia azienda vende in 36 paesi, ci conoscono più all’estero che nel Salento. Le degustazioni, che prima erano all’ordine del giorno, non le abbiamo ancora riprese. L’evento a cui stiamo lavorando è Calici di Stelle, che faremo nella notte di San Lorenzo, ma attendiamo le direttive del Movimento Turismo del Vino per sapere come muoverci.

Qual è stato il mese più disastroso per quanto riguarda il fatturato?

Abbiamo avuto un aprile da dimenticare, con un 70% in meno. Per fortuna ci ha tenuto a galla l’Asia: Singapore, la Cina non hanno mai chiuso e abbiamo fatto il 30% ad aprile, che è la media che più o meno facciamo in Asia. A maggio c’è stata una ripresa e ora siamo tornati se non alla normalità comunque sulla buona strada. Ad aprile se non fosse stato per l’Asia potevamo restare chiusi. Non vendiamo alla grande distribuzione e questo ci ha penalizzati. Le vendite che ci hanno sostenuto in Italia sono quelle online. Abbiamo fatto la scelta aziendale di aprire un e-commerce, che abbiamo inaugurato la settimana scorsa e che sta cominciando a funzionare. Ci siamo appoggiati anche a diverse piattaforme, fra cui Tannico, che sono andate bene. I ristoranti sono tornati a ordinare, la nostra agenzia, la Simposio, e onesti gruppi del Veneto stanno ricominciando a lavorare, anche se i numeri non sono certo quelli dell’anno scorso.

Il vino che è andato meglio quanto a vendite nel periodo del lockdown?

Quello dei 150 anni dell’azienda, un Susamaniello rosato. Non me lo aspettavo, invece in Puglia e nel resto d’Italia è stato molto richiesto. All’estero vendiamo principalmente vini rossi. In totale produciamo una ventina di etichette per 1,5 milioni di bottiglie annue. In genere la parte del leone la fanno il Salento Primitivo, il Salento Negramaro e i rosati. Quanto alle Doc, bene il Copertino e il Salice Salentino e poi facciamo una piccola produzione di Primitivo di Manduria e di Squinzano Doc. Stanno dando buoni risultati anche due bianchi: il Bianco d’Alessano, originario di un paese vicino Leuca, con gradazioni basse e molto minerale, e un vino da uva verdeca che regala un sorso delicato e piacevole di frutta tropicale.

Temete l’espansione del vigneto cinese?

I nostri principali mercati sono Giappone, Germania, Belgio, Danimarca, Canada, Usa. In Cina siamo presenti, ma è sempre stato un mercato difficile. Abbiamo da 40 anni importatori in Germania e in Usa, invece in Cina è molto difficile fidelizzare l’importatore e il cliente. Gli importatori spesso cambiano mestiere, si buttano dove c’è il business del momento: un giorno fanno importazione di vino e un altro magari cambiano radicalmente settore. Adesso ci fa da agente Paolo Clemente, che vive sei mesi in Cina e sei mesi in Piemonte e ci segue i clienti uno per uno. In Cina molto spesso si compra il vino per fare regali, perché è considerato un prodotto chic, quindi ha molta importanza l’immagine della bottiglia più che in altre parti del mondo. Ci sono grandi compagnie che fanno ordini di vino giganteschi per regalarlo nelle festività. Le previsioni dicono che i cinesi diventeranno i primi produttori nei prossimi anni. Hanno preso i migliori tecnici occidentali, hanno comprato i migliori macchinari. Ogni tanto vado nei concorsi come degustatore e non nascondo che alcuni vini sono interessanti, la qualità media è bassa, ma stanno migliorando. Credo che la loro crescita non sarà un problema per le importazioni: se diventeranno forti produttori la qualità si alzerà, il gusto si affinerà sempre di più e ci sarà maggior richiesta di vino di qualità.

Le lancio una provocazione: è più buono il suo vino o quello di Bruno Vespa?

Domanda di grande attualità visto che Bruno Vespa ha inaugurato ufficialmente proprio in questi giorni la sua masseria a Manduria, dove tra l’altro ha colto l’occasione per presentare il Terregiunte, blend fra Amarone e Primitivo. Non posso dire il mio vino, perché l’enologo di Bruno Vespa è il mio presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella, che stimo tantissimo. Il fatto che Vespa abbia scelto il Salento, quando sarebbe potuto andare da altre parti d’Italia, ci fa molto piacere, è un bel ritorno di immagine per tutto il territorio.