Enoturismo e sinergie fra vino e territorio, in particolare il vino come indotto economico trainante, aggregatore intorno al quale costruire progetti per l’intera collettività, ma soprattutto il vino come valore culturale tangibile grazie a imprenditori illuminati e visionari che hanno saputo investire al di là del mero dato oggettivo, seppur importante, della bottiglia. Lungarotti è un nome indissolubilmente legato all’Umbria, dove ha scelto di scommettere fin dall’inizio della sua storia. Aggiungendo al vino tanti tasselli fino ad arrivare a due musei e a una fondazione. Un cordone ombelicale tra persone e luoghi in un processo osmotico di reciproca integrazione e crescita. Con la consapevolezza che si può veramente e compiutamente comunicare solo ciò che si è.
Ne parliamo con Chiara Lungarotti, amministratore delegato delle cantine Lungarotti, 250 ettari, di cui 230 a Torgiano e 20 a Montefalco, 2,5 milioni di bottiglie, con il Rubesco, un vino la cui fama travalica da tempo i confini nazionali, che arriva a  500mila esemplari, più o meno a seconda dell’annata. Altro vino iconico è l’Igt San Giorgio, primo vero “Superumbrian”, nato con la vendemmia del 1977, oggi con il duplice uvaggio di cabernet sauvignon e sangiovese. Una cantina che è riuscita a dar valore al vitigno sangiovese in Umbria, raccontandone un’altra storia. Una storia di grandi numeri pur restando un’azienda con un cuore artigianale importante che la rende riconoscibile nel mondo. E con uno storytelling che dimostra più che la passione l’amore di Chiara Lungarotti per la sua Umbria, che ci racconta come se fosse una persona, lasciando intuire il compito del vignaiolo del futuro, che va oltre il vino e parte da un’essenza.

Chiara Lungarotti, turisti dimezzati secondo l’Enit e già persi 30 milioni di arrivi in Italia, dati scoraggianti a confronto con le ultime due annate eccezionali che hanno registrato 430 milioni di presenze. Si dovrebbe tornare ai livelli pre Covid-19 nel 2023. Il turismo della ripartenza è quindi enoturismo di prossimità?

Nell’ambito del turismo di ripartenza l’enoturismo giocherà senz’altro una carta importante perché il vino è parte integrante della storia, della tradizione, della cultura di un luogo. Il visitatore viene nella nostra cantina in Umbria per capire il territorio che sta dietro un bicchiere di vino. Oggi come oggi chi si muove, chi esce dalla città cerca un contatto con la natura e dove può trovarlo meglio che in una cantina, in mezzo ai vigneti, agli spazi aperti? Nei nostri piccoli borghi la dimensione è diversa, ci si ritrova in modo più umano, più lento. E in tutto questo la sostenibilità gioca un ruolo fondamentale: significa non fare diserbi in vigna, ricorrere alla concimazione organica, trattare quando è necessario in base all’andamento climatico. Noi abbiamo varie capannine meteo in mezzo ai vigneti che raccolgono tutti i dati, dalla piovosità alla temperatura all’irraggiamento solare all’umidità del suolo, dati che ci dicono se sia necessario intervenire o meno. Sostenibilità significa lavorare in vigna per consentire alle piante di ottimizzare le risorse che l’annata mette a disposizione, molto difficile con un clima estremizzato come quello che oggi viviamo, ma sicuramente è possibile con grande attenzione e lavoro. Più che vigneti giardino è il contatto con la natura e con la sua biodiversità che il visitatore cerca e di cui sente la necessità. Nei nostri vigneti ci sono colori bellissimi, sono pieni di fiori campo. Siamo certificati V.I.V.A. dal 2018, l’etichetta del Ministero dell’Ambiente per il vino sostenibile, con linee guida e requisiti da rispettare. I parametri da tener presenti sono l’aria, l’acqua, il suolo con la sua biodiversità, l’ambiente circostante. Indicatori molto importanti per noi perché mantenere la biodiversità significa arricchire i nostri suoli e fare in modo che sia presente una grande variabilità. Ormai si lavora sul dettaglio, che fa la differenza.

Che tipo di turismo e di turista è quello umbro?

Diviso a metà fra italiani e stranieri. I turisti italiani sono soprattutto famiglie, con una buona presenza delle scuole. Il turismo ha una funzione didattica fondamentale: far conoscere il vino e attraverso di esso la storia di una civiltà, perché Dioniso è Dioniso e Bacco è Bacco, due interpretazioni completamente diverse. È molto importante l’aspetto educativo per insegnare ai bambini e ai ragazzi un uso consapevole di questo prodotto. I turisti stranieri che scelgono l’Umbria, invece, non la scelgono la prima volta che vengono in Italia. L’Umbria non rientra nell’itinerario classico della prima visita. Sono turisti che hanno una buona conoscenza del nostro paese, che sanno di preciso cosa cercano, sono informati, con una grande attenzione per la natura, amano l’aspetto della cultura e dell’enogastronomia, e qui trovano un paradiso. Cercano l’esperienza, la realtà del luogo. Questa non è una regione da turismo di massa, non può reggerlo. È una regione che deve puntare a un turismo di qualità. Mi permettevo di dire queste cose già 20 anni fa quando si mirava a finanziare a pioggia i nuovi agriturismi invece di fare una selezione attenta. Chi va avanti oggi è chi ha un prodotto di qualità. E qui subentra un altro discorso che vale sia per il mondo del turismo sia per quello del vino: creare valore. Guai a entrare in un ottica di guerra dei prezzi, bisogna creare servizi perché con essi si genera appunto valore.

L’Umbria ha avuto un controllo della pandemia da manuale…

Al di là delle normative, c’è stato un contenimento grazie al nostro stile di vita. L’Umbria è una delle regioni più vecchie d’Italia, l’età media è molto alta e questo che poteva rappresentare un punto di debolezza non lo è stato. Da noi i casi sono molto limitati. Gli agriturismi, gli alberghi si sono adeguati a tutte le normative previste per il Covid-19 in una regione dove c’è stato un controllo della pandemia ben fatto dall’alto al basso.

Sta ripartendo il turismo nella vostra regione?

Noi siamo soci del Movimento Turismo del Vino, di cui sono stata per tanti anni presidente nazionale. Come MTV Umbria siamo piuttosto attivi, abbiamo fatto un accordo con Federalberghi, associazione di Confcommercio Umbria, per promuovere il territorio regionale e l’offerta ricettiva locale. I nostri albergatori e i nostri agriturismi sono dei grandi ambasciatori dei prodotti umbri, credo molto in un gioco di squadra. Mi hanno detto che in uno degli ultimi weekend hanno registrato tra le 1500 e le 2000 presenze, un dato che per essere appena ripartiti da zero ci lascia ben sperare. In una regione come l’Umbria un turista trova tutto a portata di mano. Può visitare città d’arte come Perugia, Todi, Gubbio, ma poi venire in campagna a Torgiano, a Montefalco, al lago Trasimeno, a Orvieto. L’Umbria è una regione completa che riesce a offrire a distanza assolutamente ravvicinata un’offerta culturale incredibile: la Galleria Nazionale dell’Umbria, la villa romana di Spello, il Museo del Vino di Torgiano, quello della ceramica di Deruta ospitato nel complesso conventuale di San Francesco. Un territorio generoso, con eccellenze artistiche e artigianali. Con un minimo di precauzione si può viaggiare in sicurezza, non mi piace parlare di distanziamento sociale ma di distanza interpersonale, in fin dei conti basta un metro, la mascherina al di sotto del metro, lavarsi bene le mani, stare il più possibile all’aria aperta, piccoli accorgimenti che ci devono portare a stare attenti, ma non ad avere paura. La cosa più brutta è la perdita del rapporto umano, che invece è fondamentale, figuriamoci poi per un prodotto come il vino. II vino è profumo, il vino è empatia. Il vino è un prodotto sartoriale e come tale non si può comunicare in maniera distaccata. La nostra è un’azienda artigianale, familiare, non importa se produciamo oltre 2 milioni di bottiglie, è come le produciamo non la quantità, sono la cura e l’attenzione che poniamo in vigna per avere in ogni nostro prodotto la massima espressione qualitativa per quella categoria, dalla grande riserva al vino quotidiano. 

Siete un esempio riconosciuto a livello internazionale di simbiosi tra vino e cultura con Il Museo del Vino, creato da Giorgio e Maria Grazia Lungarotti nel 1974, che ha da poco riaperto e che fu definito dal New York Times il migliore in Italia e uno dei più importanti a livello internazionale. Museo che crea un indotto a sostegno del territorio, come intuì suo padre Giorgio, un pioniere…

Al Museo del Vino, il Muvit, sono ripercorsi oltre 5mila anni di storia del vino e dei suoi rapporti con le civiltà mediterranee attraverso collezioni archeologiche che mostrano come nulla sia cambiato in vigna e in cantina dall’epoca romana agli anni ‘50. Poi è arrivata la vera rivoluzione agricola con l’avvento della meccanizzazione che ha portato all’impianto di vigneti nuovi, con una visione lungimirante da parte di mio padre per la qualità già nel Dopoguerra. Importante è anche la collezione di ceramiche e di maioliche dal Medioevo fino ai nostri giorni. Ricca e unica nel suo genere la raccolta di antichi ferri da cialda, così come la raccolta di incisioni, con oltre 600 pezzi a tema. È conservata una tra le più grandi collezioni di incisioni a tema bacchico, che vanno da un Baccanale con Sileno del Mantegna al Baccanale di Picasso del 1959, passando  attraverso tutti i grandi incisori dei secoli passati. E poi la collezione di editoria antiquaria che insieme alle ceramiche e alle incisioni costituisce una delle raccolte di maggior pregio, oltre a corredi etnografici e testimonianze di arti minori. Accanto al Museo del Vino, che abbiamo riaperto da giugno, c’è anche il Museo dell’Olivo e dell’Olio, il MOO, che riapre però solo su prenotazione. Il Muvit nasce al ritorno da un viaggio in Europa dove mio padre si era reso conto che tutte le zone vitivinicole avevano o un centro studi o un museo a sostegno dell’economia locale. Tornando a casa disse a mia madre, storica dell’arte e archivista, che dovevamo avere anche noi un museo del vino. E mia madre, che ha sempre sostenuto l’idea che un museo fosse una cosa seria, non due cocci e quattro scritti, ma ricerca e attenzione, si è dedicata anima e corpo, ha creato il museo e di sana pianta una serie di criteri museografici che hanno fatto scuola. Mia madre ancora oggi è la direttrice della Fondazione Lungarotti, che si occupa della gestione e dell’organizzazione della vita dei due musei. La Fondazione è una onlus a scopo culturale creata nel 1987 per promuovere la cultura del vino e dell’olio in Umbria e in tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di far conoscere alle nuove generazioni quello che si faceva una volta sulle nostre tavole, dove c’era sempre una bottiglia di vino come accompagnamento al pasto, non era il vino come ricerca dello sballo: quello era ed è il consumo giusto del nostro prodotto, ossia abbinarlo al cibo con rispetto. La Fondazione nel corso degli anni si è occupata dell’organizzazione di varie mostre, come quella sulle lucerne come fonte di luce, uno degli argomenti trattati al Museo dell’Olio, con degli artisti contemporanei che hanno realizzato delle lucerne con i loro materiali. Uno dei primi utilizzi dell’olio d’oliva è stato senz’altro quello della produzione di luce. Al Moo abbiamo un’importante raccolta di lampade a olio di varie epoche.

Il vostro è un microcosmo dove vivere un’esperienza immersiva nell’Umbria…

La ringrazio. Il senso è raccontare a 360 gradi il territorio. I turisti in visita da noi in genere soggiornano nel nostro agriturismo a Torgiano, un casolare immerso tra gli oliveti e i vigneti del Rubesco, c’è anche un piccolo wine chalet isolato. Possono cominciare la giornata successiva con la visita ai musei, prendere un aperitivo con un piatto freddo a km 0 all’osteria del museo, dove si può anche fare colazione, oppure, se preferiscono, possono visitare prima la cantina, in questo periodo legato al Covid-19 solo la vigna visto che non si può stare all’interno, e fare una degustazione. A Torgiano intorno alla struttura ci sono trenta ettari, ma la maggior parte dei vigneti sono sulla collina di Brufa. Spieghiamo la differenza fra varie forme di allevamento, tutto il processo di vinificazione, con una visita standard più o meno approfondita a seconda della richiesta al momento della prenotazione, e chi vuole può fermarsi per un picnic sotto il porticato o in mezzo alle vigne, con cestino facilmente biodegradabile e tutto il kit necessario. Il cibo è preparato dalla cucina dell’enoteca della cantina, dove si può mangiare anche un pasto caldo. A Montefalco abbiamo una tenuta più piccola, di circa 20 ettari, con la cantina al centro e qui si può fare il picnic sotto le querce secolari o anche solo un aperitivo serale. A Montefalco produciamo quattro vini: due versioni di Sagrantino, secco e passito, il Montefalco Rosso e un altro vino a base di Sagrantino che non è un Montefalco Sagrantino Docg perché esce più giovane e meno austero del Sagrantino.

Con il Rubesco Riserva Vigna Monticchio siete stati selezionati anche quest’anno fra i migliori cento vini italiani secondo Wine Spectator…

Sì, ogni anno cambiamo annata. Nel 2019 siamo stati scelti con un’annata più recente, stavolta abbiamo proposto la ’97, che adoro perché sul lungo periodo sta uscendo fuori con tutta la sua eleganza.

La famiglia Lungarotti ha investito in Umbria e solo in Umbria. Perché?

Si ricorda a fine anni ‘90 quando tutti erano presi dalla febbre di andare chi in Sicilia, chi in Maremma, chi in Puglia? La nostra famiglia pensa da sempre, e questo è un insegnamento di mio padre, che il vino sia espressione del territorio. E per esprimerlo al meglio questo territorio lo devi conoscere, vivere, respirare. Noi siamo umbri. L’origine pedologica di Torgiano e Montefalco è la stessa, un deposito lacustre. Qui nel Pleistocene c’era un immenso lago, il lago Tiberino, e questi territori sono dovuti al prosciugamento dell’acqua. Sotto questo aspetto si staccano Orvieto e il Trasimeno, ma l’Umbria centrale ha la stessa origine lacustre. Se d’inverno, in una giornata di nebbia, ci si affaccia dal famoso belvedere di Carducci “da le montagne digradanti in cerchio l’Umbria guarda”, a Perugia, ci si può accorgere di quello che era il lago. I cocuzzoli delle colline che escono fra la nebbia erano le isole. Poi c’è l’altro aspetto importante legato alla conoscenza di un territorio per il suo aspetto climatico. Terza cosa fondamentale è l’aspetto umano: solo vivendolo un luogo se ne può comprendere la componente umana. Non potrei raccontare l’Etna come racconto l’Umbria, perché non conosco nulla dell’Etna, nulla del Salento, pochissimo della Maremma e quindi non potrei comunicarli. La nostra è una scelta di conoscenza: questo conosciamo e questo riusciamo a imprimere nei nostri vini. Quando mi chiedono la differenza tra il  sangiovese umbro e quello toscano, parto dalla differenza pedologica: noi siamo venuti fuori dal prosciugamento di un lago e loro dal mare, due origini completamente diverse. Poi c’è l’aspetto umano perché i vini sono lo specchio delle nostre personalità: il toscano è sempre più sagace, pronto alla battuta, ha un senso dell’ironia più accentuato e tagliente rispetto a noi umbri che al contrario siamo molto più tranquilli, serafici, inizialmente chiusi, ma quando conosciamo diventiamo capaci di grande generosità. Ecco, questa è la differenza tra un sangiovese umbro e uno toscano. Da colline morbide e dolci come le nostre, con trasparenze e colori che vanno dal blu al viola, si passa a colline più austere e taglienti come quelle chiantigiane, soprattutto nella zona del Classico.

Da consigliere di Federvini e Uiv, come riposizionare il vino sui mercati internazionali secondo la sua esperienza?

Sicuramente serve un uso attento e ben fatto dei fondi OCM. Per l’anno prossimo sarà importante avere a disposizione risorse per la promozione e magari utilizzarle non solo per i paesi terzi ma anche per i paesi europei. Sia l’Italia che la Francia e la Spagna hanno fatto la stessa richiesta. Per Lungarotti l’Italia rappresenta poco più del 50% del mercato. Siamo in una cinquantina di paesi, soprattutto in Germania, Svizzera, Nord Europa, Canada, Stati Uniti e Asia, dove il Giappone è un mercato importante, ma anche la Corea del Sud sta dando buoni risultati e la Cina sta crescendo. La Cina è un paese con una grande curiosità ma anche molto particolare, bisognerà capire l’indice di valutazione di questi vini che stanno mettendo a punto. Quanto agli Stati Uniti, l’azione fatta dall’Italia, dalle nostre associazioni di categoria con il nostro Ministero degli Esteri e con l’aiuto di tutti i nostri importatori sicuramente ha aiutato a scongiurare il rischio dei dazi che abbiamo corso a gennaio e a febbraio, ma dopo 6 mesi questo rischio si ripresenterà. Bisogna anche capire la situazione del paese, di un mercato in cui alla pandemia si è andato ad aggiungere il caos creato dalle manifestazioni, mosse da principi di equità giustissimi, ma poi manovrate in modo non corretto come spesso accade. Che bisogno c’era di appiccare il fuoco a ristoranti, alcuni di catene altri indipendenti, di gente che aveva già faticato e aveva appena riaperto? Questi poveretti non riapriranno più. Come sempre si passa da un estremo all’altro. L’equilibrio è una dote e come dicevano gli antichi Romani “in medio stat virtus”. Ricordiamocelo. 

Il più grande insegnamento di suo papà Giorgio?

Lavorare con passione, che è quello che fa la differenza. Mio padre è stato un grande maestro di vita, ci ha insegnato a rispettare la nostra terra e ad amarla. Proprio stamattina stavo facendo un giro nei vigneti con i nostri agronomi e a un certo punto ci siamo fermati vicino a una vite piccola, appena reimpiantata, con l’erba tutt’intorno che la danneggiava e che ho estirpato. Ho avuto un flash che mi ha riportato indietro nel tempo, a mio padre che quando ero piccola ogni volta che vedeva una malerba grande vicino a una giovane vite mi faceva scendere dalla macchina e me la faceva togliere. La vita si insegna e si trasmette con l’esempio, con il fare. Lavorare la terra significa credere nel futuro. La terra è qualcosa che riceviamo in prestito da chi ci ha preceduti per passarla a chi viene dopo.