Ha ancora senso tenere il comune di Asti, o meglio alcune porzioni individuate come particolarmente vocate, fuori dalla Docg? La città che dà il suo nome al vino famoso in tutto il mondo è fuori dal disciplinare di produzione e noi cerchiamo di fare un po’ di chiarezza con il vicesindaco di Asti Marcello Coppo, una battaglia culturale e di marketing del territorio, la sua, e una parentela per via materna con Dumini Badalin, poeta dialettale piemontese che nella sua geografia emozionale riesce a cogliere il senso profondo della civiltà contadina. “La casa che Badalin cita nelle sue poesie è di proprietà mia e di mio fratello, così le vigne. L’arte di fare vino ce l’abbiamo dentro noi astigiani. Mio nonno le bottiglie del Barbera le bagnava col Moscato. Ho aperto un Barbera regalatomi proprio da lui dopo trent’anni ed era buonissimo”.
Ma soprattutto, ha ancora senso tenere Asti fuori dalla denominazione dopo il successo della fusione dell’Atl fra Alba e Asti in un’ottica di sviluppo turistico comune? Fusione che ha tracciato una strada nel solco delle sinergie.
Con l’arrivo di Zonin, diversi piccoli e medi produttori percepirono la richiesta di allargamento dell’area come una concessione cucita su misura per una grande realtà vitivinicola esclusa ora dalla Docg, avendo quest’ultima i terreni nella parte rimasta fuori.
“Come politico il mio è unicamente un discorso di sviluppo del territorio, della nostra città di Asti, i nomi non mi interessano. Se la domanda è fare entrare Zonin nell’Asti, a me non riguarda. A me interessa che entri Asti. Se c’è poi un’azienda che porta lavoro sul territorio, grande se non la più grande in Italia quanto a ettari vitati propri, sono contento che ci sia. La battaglia è un’altra”, commenta Marcello Coppo (in foto di copertina con la consorte). “Quando è nato l’Asti non esisteva neanche la provincia di Asti, quindi il nome è nostro. Un po’ come, per fare un esempio, se io ti offrissi una Ferrari tutta loggata col tuo marchio e tu mi rispondessi di tenermela in garage. Sono rimasto male con l’Associazione Comuni del Moscato d’Asti, che avrebbe fatto più bella figura esprimere nelle sedi opportune la sua contrarietà alla nostra idea di entrare nell’Asti, invece di sparare a zero sui giornali online”, affonda. “Lo ha mai bevuto il Prosecco di Prosecco? Come mai c’è Prosecco nel Prosecco? La passata amministrazione l’ha gestita veramente male questa faccenda, quasi con prepotenza forse. Io allora ero consigliere comunale di minoranza. Per noi è solo una questione di principio del comune di Asti. Non abbiamo soldi da offrire ma una città da spendere. Con la fusione dell’Atl tra Asti e Alba, che dà vita a una sola agenzia di promozione turistica locale di Langhe, Monferrato e Roero per una valorizzazione seria che crea indotto sul territorio, bisogna armonizzare le varie voci. Il successo del sistema integrato lo stiamo dimostrando con i mercatini di Natale: siamo l’evento del Natale più grande d’Italia, con un mese e mezzo di campagna promozionale”. Continua: “Noi partiamo da un presupposto: se un vino si chiama Asti, il suo comune dovrebbe rientrare nella zona di produzione, anche per educazione oltre che per motivi culturali, storici e scientifici, di rispetto delle norme sul nome e per sostenere l’economia locale. Nella campagna elettorale del 2017 abbiamo specificato nei punti programmatici che il comune di Asti rientrasse nella Docg. In più non ragioniamo di grandi porzioni che vanno a ledere l’offerta, ma su 41 o 42 ettari in alcune aree vocate come Portacomaro Stazione, San Marzanotto e Variglie, identificate nella relazione dell’Università di Torino. Se così è, chiediamo una valutazione al Consorzio per il cambio del disciplinare. Non è che entro domani queste zone ottengano il bollino della Docg, ma entrano nella possibilità di poterlo avere” .
Asti come brand comunicativo. “Siamo una città di circa settantottomila abitanti, con una potenza di fuoco a livello di comunicazione che comunque ha un valore economico e che altre cittadine vicine non hanno. Noi non chiediamo denaro per entrare, ma mettiamo a disposizione una città che è anche un brand, per un numero di ettari irrisorio rispetto all’ attuale. Dobbiamo trovare una quadra. Se non sono 42 ettari ma 23, parliamone. Fare la scissione dell’atomo e litigare, invece di fare sistema, è antipatico oltre che improduttivo”.
La zona di origine da cui proviene l’uva destinata a produrre l’Asti Docg e il Moscato d’Asti Docg è un territorio delimitato nel 1932 e comprende 52 comuni, escluso Asti appunto, sparsi tra Alessandria, Cuneo e Asti per una superficie totale a moscato bianco di circa 10mila ettari e più di 4mila aziende. “Se non possiamo entrare abbiamo due strade: la causa o la causa e intanto si tira fuori una deco con Moscato Città di Asti. Noi siamo arrivati quando il giocattolo non era rotto ma polverizzato. Pian piano stiamo ricostruendo un discorso. La parola chiave è sistema integrato. L’Americano è diventato famoso nel mondo, ma lei si immagina con una potenza comunicativa di un certo tipo come potrebbe andare avanti un aperitivo chiamato l’Astigiano? Ragioniamo anche, non me ne voglia Zonin, in un’ottica di deprosecchizzazione della città”.