“Prima di tutto facciamo un giro in vigna, perché si parte sempre da lì. Poi andiamo in cantina e infine ci sediamo a tavola per capire gli abbinamenti sorprendenti con il Moscato”. E che vigna, mi viene da aggiungere. Vigna Manzotti è un sorì, esposizione a est e sud-est, a Castiglione Tinella, una delle poche menzioni geografiche aggiuntive del Moscato d’Asti. Qui, da questa vigna, la migliore aziendale, Simone Cerruti produce Moscato d’Asti ed Escamotage (“che dal 2021 per la nostra azienda sarà Piemonte Moscato Secco”). Posizione spettacolare in un autunno dai colori inafferrabili, ma anche pendenze proibitive del 40%, filari stretti, a tratti sconnessi e non sempre facilmente accessibili: il pensiero corre alla vendemmia, alle ceste portate a mano e, non secondariamente ma inevitabilmente, al costo di una bottiglia di Moscato: è proporzionato alla fatica? Ecco che mi viene da sorridere pensando a quella schiera di consumatori della domenica che non sono mai stati in una vigna “eroica” e chiedono lo sconto.
Simone Cerruti, tre  ettari e mezzo di vigneto (“ma l’attività agricola nasce col bisnonno a metà del 1800”), è un altro giovane imprenditore con le idee chiare, un ragazzo che ha ripreso in mano l’azienda paterna e la vinificazione nel 2014. È lui il presidente dell’associazione di recentissima costituzione “Aroma di un territorio”, volta a valorizzare il Moscato secco Escamotage, cui è riservato un rigido disciplinare che ne tutela le caratteristiche di alta qualità, a cominciare dal divieto totale di diserbanti in vigna. “Il Moscato secco nelle nostre zone si fa da sempre, ma prima era solo un vinello da pasto, oggi vogliamo valorizzarlo come merita, con una sua precisa identità. I produttori che chiedono di entrare nell’associazione sono selezionati in base a diversi parametri molto restrittivi”, spiega Cerruti. “Sono previste due versioni di Moscato secco: una affinata in acciaio e l’altra in legno. Si tratta ancora di un numero di bottiglie esiguo, ma stiamo crescendo”.
Altro punto fondamentale è la certificazione della pendenza del sorì. “Nasce quest’anno, grazie anche all’associazione dei comuni del Moscato, e va a identificare tutte quelle vigne con una pendenza superiore al 40%, o qualora non ci fosse questa pendenza si considerano altri criteri come la non accessibilità con i mezzi agricoli. Qui a Vigna Manzotti siamo intorno al 40% di pendenza, ma a Castiglione e Santo Stefano Belbo si arriva anche al 60%”. Continua: “Questi vigneti vanno valorizzati perché hanno una qualità superiore delle uve. Nel mondo del Moscato non vengono, però, ancora riconosciuti a livello economico. Sono terreni che hanno costi di lavorazione superiori, il triplo di lavoro di una vigna di pianura, ma la resa economica alla fine è la stessa. Così facendo si configura il serio rischio dell’abbandono e con esso il dissesto idrogeologico, gli smottamenti”.

La produzione spazia dal Moscato secco al Moscato d’Asti, un Nizza, un Barbera d’Asti e da questa vendemmia uno Charmat di Nebbiolo, due Freisa (uno in acciaio e uno in legno) e per finire un vino bianco blend di Moscato, Cortese e Arneis. “Serve una corretta comunicazione per far capire al consumatore che il Moscato non è solo un prodotto industriale, ma si compone di tante piccole aziende che fanno un Moscato di qualità superiore che giustamente deve essere venduto anche a un prezzo superiore. Il lavoro nei sorì va retribuito. Si trovano bottiglie a 10 euro a scaffale, cifre ridicole, quando una bottiglia che arriva da queste vigne dovrebbe costare almeno 15-20 euro”.
Castiglione Tinella, il paese delle vigne scritte. Percorrendo i sentieri si possono leggere alcuni versi scritti in forma letteraria poetica attraverso l’installazione di lettere alte circa un metro nei filari del Moscato. E poi il santuario della Madonna del Buon Consiglio, dove Cesare Pavese descrisse la collina posta di fronte, cioè questa dove ci troviamo ora, citata nel suo capolavoro La luna e i falò. Castiglione, appena 12 km quadrati, secondo paese produttore di Moscato d’Asti quanto a uve, uno dei paesi più vitati d’Italia, con oltre il 95% della superficie coltivata a vite. “Siamo nel cuore della zona del Moscato, insieme a Santo Stefano Belbo e Canelli”, spiega. “Fatichiamo ad arrivare a 70 quintali a ettaro” .
In cantina assaggiamo un campione di vasca che, a fine ottobre, sta ultimando la fermentazione, blend di uve bianche della zona, con una criomacerazione di 18 ore per estrarre più profumi. Obiettivo: un vino beverino, da pasto, fermo e secco. Si passa a Escamotage 2021, con criomacerazione di 24 ore, fermentazione e affinamento per un anno in barrique di secondo passaggio. La Freisa campione di vasca ha appena finito la fermentazione, è ancora molto astringente bevuta ora, il tannino è prepotente, ha bisogno di tempo per ammorbidirsi. “L’ho dovuta svinare prima della fine della fermentazione altrimenti il colore diventava troppo carico. La Freisa  è una varietà particolare da lavorare, ma sta riprendendo piede, può dare ottimi risultati. Una parte resterà in acciaio per un vino più fresco e beverino e un’altra andrà in legno per un annetto per un rosso più strutturato”. Concludiamo con il Moscato secco 2018, affinato in barrique per sei mesi, pieno, con componente aromatica misurata, segue il 2019, di minor bevibilità e meno “piacione” e il Moscato d’Asti Matot 2015, un Moscato di grande personalità, con menzione di vigna, con almeno sei mesi sulle fecce nobili, che si abbina perfettamente con acciughe, ostriche, salumi perché non cede troppo alla dolcezza. E con il fois gras? Simone Cerruti si diverte a giocare con gli abbinamenti gastronomici, raccolti nel libro “Moscato: pane, burro e acciughe”, che racconta la genesi del progetto.