A fine 2020 l’area della Doc delle Venezie arriverà a sfiorare i 28 mila ettari vitati, con un incremento del 7% rispetto al 2019. Prima regione per estensione è il Veneto, seguono Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, invece sul fronte della capacità di imbottigliamento la fa da padrone il Trentino (Cavit e Mezzacorona a scendere). Il Triveneto è una delle aree a vitigno unico più estese d’Europa, in cui si concentra il 45% della produzione mondiale del Pinot grigio e l’85% di quella nazionale, per oltre 220 milioni di bottiglie Doc delle Venezie (1,650 milioni di ettolitri), cui si aggiungono le altre Doc territoriali per un totale complessivo di 300 milioni. Una strada tutta in salita che ha portato alla nascita della Doc delle Venezie del Pinot grigio e, tre anni fa, del suo consorzio di tutela e promozione, che sta per essere riconosciuto come tale a tutti gli effetti anche a livello comunitario. Ne parliamo con l’imprenditore Albino Armani, presidente del Consorzio Doc Delle Venezie, grazie al quale è iniziata una nuova era per il Pinot grigio italiano.

Armani, qual è la tenuta della denominazione Doc delle Venezie sui mercati?

Per fortuna usciamo indenni dal lockdown, anzi i consumi sono in crescita. Il Pinot grigio è il primo vino bianco fermo dell’export italiano. Sono due anni di fila che i consumi stanno aumentando, quest’anno non più a doppia cifra come nel 2019, però non c’è stata una riduzione né delle certificazioni né degli imbottigliamenti a maggio stabili sul 2019 (+0,39%). Il Cda nell’ultimo consiglio di amministrazione ha comunque ritenuto utile mantenere aperto un tavolo permanente di confronto del Pinot grigio perché è necessaria un’alleanza delle Doc del Nordest per una gestione equilibrata del Pinot grigio e un’equa distribuzione del suo valore. Anche il mese di giugno sta andando bene. Per quanto riguarda la vendemmia, avremo un calo  del 15%.  È importante mantenere un equilibrio tra domanda e offerta internazionale a tutela della filiera per contrastare eventuali tendenze speculative.

La Gdo, un canale distributivo molto importante per voi, si è rivelata un punto di forza…

Sì, abbiamo beneficiato di un trend di mercato costante rispetto all’anno scorso. Il mercato doemstico per noi è solo il 5% del totale delle vendite. L’impatto più grande che si è registrato in Italia sull’horeca non lo abbiano subito. Spero che in futuro saremo più presenti nella ristorazione del nostro paese.

Come Consorzio Doc delle Venezie state arrivando alla conclusione di un percorso importante in sede Ue. Quali sono le prime conseguenze di questo riconoscimento epocale per il Pinot grigio?

Quello di Bruxelless è l’ultimo tassello e dovremmo sistemarlo entro la metà di luglio. Una volta che anche Bruxelles avrà certificato l’inserimento del nostro consorzio fra quelli accreditati con l’iscrizione sulla piattaforma E-Bacchus potremo accedere a dei finanziamenti più importanti di quel poco o nulla che abbiamo ricevuto fino ad ora. Questo riconoscimento arriva dopo tre anni ed è stata una procedura anche abbastanza snella, il minimo di tempo richiesto per l’accreditamento di un consorzio.

Unione Italiana Vini oltre alla flessibilità chiede al governo di modificare la dotazione dell’Ocm Promozione aumentando il budget del triennio 2021-2023 da 100 a 150 milioni di euro redistribuendo le risorse nel PNS. A quali fondi potrete accedere?

A questi e anche ai fondi europei della misura 1144 per la promozione e comunicazione dei prodotti agroalimentari all’estero. La misura prevede una integrazione fra consorzi, e non solo fra quelli legati al vino, ed è potente, supera anche l’Ocm con finanziamenti a fondo perduto che coprono fino all’80% delle spese sostenute per l’attività di promozione, per i progetti che portiamo avanti con il Chianti, il Grana Padano e l’Asiago per citarne alcuni. Si uscirà tutti insieme e con più forza principalmente sul mercato americano. Abbiamo chiesto 300mila euro all’anno per tre anni, per un totale di 900 mila euro di finanziamento. Non siamo abituati a queste cifre, non siamo il Prosecco, abbiamo sempre vissuto di piccole cose.

La terapia d’urto proposta da UIV sarebbe in grado di sviluppare complessivamente investimenti per 900 milioni di euro fra risorse pubbliche e private. Ma le imprese sono disposte a investire?

Sicuramente un’iniezione di fiducia va chiesta alle imprese. La domanda giusta, però, è proprio questa, ossia se le imprese hanno voglia di crederci, se saranno disposte a intervenire. Questi finanziamenti sono ben visti e accettati dai consorzi, le aziende devono sì fare la loro parte, ma in questa fase non è affatto scontato: alcune hanno voglia di investire, altre con minore forza, legate ai canali horeca o a piccoli distributori, forse si trovano in una fase di titubanza. Spero che aumentando un po’ le risorse le imprese siano invogliate a crederci, a volte noi viticoltori vediamo abbastanza esigue le percentuali concrete e reali di finanziamento di questi fondi. Le grandi aziende, invece, sono ben strutturate e parteciperanno tutte, ma sul fronte delle realtà piccole e medie dovremo investire anche noi come consorzio per tirarle dentro un sistema che sia credibile e spendibile. Credo che il lavoro che stiamo facendo insieme ad altre entità importanti a livello nazionale dell’agroalimentare dia credibilità al progetto. La misura 1144 va a impattare in maniera significativa sul mercato americano dove dobbiamo giocarci la partita. Se togliamo i mercati di lingua inglese, nello specifico Canada, Usa e Uk, il Pinot grigio crolla. Dobbiamo mettere davanti questi paesi, mercati che daranno dei numeri che sono visti in crescita nel breve periodo, il resto di conseguenza. La misura 1144 ci fornisce la possibilità di essere visti come una grande denominazione, un grande vino insieme a dei partner altrettanto forti. È fondamentale correre con dei player di pari grandezza. Il messaggio che deve uscire forte e chiaro e che dobbiamo essere all’altezza di lanciare è che il Pinot grigio delle Venezie è il Pinot grigio a livello mondiale. La California sta crescendo molto sia come produzione sia come consumo. Il Pinot grigio californiano non vede crisi, anzi loro crescono più di noi, a doppia cifra.

Il paradosso è che il mercato dove voi oggi vendete di più, gli Usa, è anche quello che può diventare il vostro primo concorrente…

Proprio così. Il rischio è vedere il Pinot grigio, che è un cavallo da corsa instancabile, correre su un’altra pista, quella californiana.

Credete di riuscire a contenere la crescita del Pinot grigio californiano?

Il consumatore americano va vezzeggiato e istruito su quello che è nel suo significato completo il Pinot grigio italiano, un vino che ha una marea di frecce al proprio arco finora non utilizzate. Prima della Doc delle Venezie nessuno parlava del Pinot grigio. Ne parlava il singolo brand, quelli bravi come Santa Margherita, ma a livello aziendale, non c’era una vera promozione legata al Pinot grigio in generale e a quello italiano in particolare, pur essendo il principale prodotto consumato negli Stati Uniti. Il tempo che è stato speso per parlare del Riesling, del Pinot nero o di altri prodotti non è mai stato speso per parlare del Pinot grigio, che è  decisamente superiore nella scala dei consumi. C’è tanto da fare ancora. Se il Pinot grigio sta andando così bene sui mercati internazionali e non è mai stato fatto nulla per la sua promozione, immaginiamoci se mettessimo un po’ di benzina nella macchina della comunicazione. La promozione non l’ha mai fatta nessuno perché era troppo frammentata, confusa fra piccole denominazioni, le 19 vecchie denominazioni del Pinot grigio: da una parte c’era l’Igt ed eravamo bloccati, non potevamo accedere ai fondi, dall’altra le piccole Doc non avevano alcun interesse a parlarne, il Trentino, per esempio, comunica Nosiola, Marzemino e altri vitigni identitari, come è giusto che sia, ma non il Pinot grigio. C’è sempre stato un difetto di comunicazione enorme.

Secondo Coldiretti su base Istat il crollo delle esportazioni Made in Italy in Usa durante il lockdown è del 43%. In controtendenza con il vostro dato…

Anche negli Usa il nostro posizionamento era ed è molto legato alla Gdo, all’off premise, pertanto la fascia di prezzo del nostro prodotto ha tenuto. Sul fronte on premise, la temporanea chiusura da marzo in poi della ristorazione ha tolto uno dei canali più importanti di sbocco per il vino italiano specialmente quello a più alto valore unitario, per alcuni ci sono state perdite fino al 50%. Invece la fascia dai 14 ai 20 dollari in cui si colloca il Pinot grigio non ha subito scossoni. Ci sono state due concause: eravamo posizionati bene sia come prezzo sia come canali distributivi. Dall’anno scorso abbiamo in essere una campagna di promozione abbastanza impattante su Stati Uniti, Canada e Uk.

Qual è la vostra percentuale di export negli Usa?  

Usa e Canada la fanno da padroni al 46%, seguono Uk con il 25% e la Germania con il 10-12%, mentre il mercato domestico, che comunque è in leggera crescita, è sempre in coda al 5%. Esiste comunque un ritorno del Pinot grigio sugli scaffali italiani. In questi sei mesi la denominazione ha tenuto perché il vino non è né particolarmente complesso né caro. Il problema maggiore si è verificato a New York e nel suo hinterland, la città più funestata dal covid-19 fra quelle statunitensi. Molto bene i consumi nel Sud della California e a San Francisco e, a macchia di leopardo, nelle piccole città americane dove la ristorazione era meno impattante e il delivery e la possibilità di ritirare il prodotto direttamente in macchina, con il consumatore che faceva scorta, ci hanno salvati. Bisogna ripartire dalla ristorazione con un rivisitazione del messaggio per il futuro, perché l’horeca dà maggior visibilità al vino e può fare da traino al resto dei canali commerciali. La nostra attenzione è rivolta ai prodotti di punta, che raccontano il Pinot grigio italiano. Stiamo lavorando con Filippo Bartolotta, wine educator, speaker e sommelier collegato al mercato americano di alta fascia e gli abbiamo proposto delle degustazioni virtuali in inglese, che lui conduce nella sua sede toscana accostando ai piatti nazionali più di cento tipologie di Pinot grigio Doc delle Venezie. Resta in piedi la prospettiva di una programmazione di comunicazione rafforzata per l’anno prossimo in vista dell’accreditamento del nostro consorzio a livello Ue.

Antonio Rallo in una intervista ha dichiarato che secondo lui in questa prima fase bisogna concentrarsi sui mercati forti per un veloce recupero, ma nel triennio sarà necessario introdurre misure che spingono le aziende alla diversificazione dell’export. Cosa ne pensa?

Condivido il pensiero di Antonio. Sono convinto che sulle denominazioni mature come la sua ci siano parecchie possibilità di seminare qualcosa di buono anche su mercati non tradizionali. Su una denominazione nuova come la nostra, che non ha mai avuto nessuna o comunque pochissima promozione, dobbiamo attenzionare i mercati storici. C’è da dire che l’Asia finora non mi sembra molto pronta ai vini bianchi.

Com’è la situazione sul mercato inglese?

Ci sono un po’ di fattori da valutare. Il Sud del mondo, da cui gli inglesi attingono molto prodotto, non è in grande spolvero in questo momento, vuoi per le produzioni piuttosto scarse vuoi perché alcuni paesi hanno addirittura bloccato o comunque arrestato la vendemmia. Potremo anche giocarcela nei prossimi due o tre mesi lavorando borderline: noi siamo pronti, abbiamo un prodotto ottimo e super controllato a un prezzo fantastico. Gli inglesi sono molto attenti alle filiere della tracciabilità, ai sistemi di certificazione e noi siamo a posto sotto questo aspetto. Non mi piace vincere facile, ma abbiamo il quantitativo giusto da immettere sul mercato. In Uk il Pinot grigio è molto appetibile in questo momento. Semmai mi potrebbero far paura le barriere tariffarie e non tariffarie.

Temete una caduta del prezzo?

Non credo nella nostra fascia, più in quella dell’horeca e forse produttori piccoli con la cantina piena potrebbero attraversare delle criticità, però ci sono sistemi di abbattimenti delle rese, di stoccaggio di prodotto enormemente impattanti e penso che l’equilibrio tra domanda e offerta sia ampiamente a favore della domanda. Noi eravamo a 190 quintali di uva per ettaro, quest’anno siamo scesi a 150 rivendicabili e 20 li abbiamo tolti, mettendoli in stoccaggio, arrivando così  a 130, nel giro di 2 o 3 anni avremo tolto il 35% di prodotto dalle vigne. Questo significa qualità, equilibrio. Come Consorzio delle Venezie non abbiamo intenzione di mettere un litro di vino in più sul mercato. I consorzi non possono avere l’ambizione di gestire il prezzo, ma possono avere l’ambizione di gestire la domanda e l’offerta e quindi determinare un equilibrio di mercato che come ricaduta porta a un equilibrio di prezzo per tutta la filiera. Non credo che il consorzio lasci soli i produttori, come non sta facendo, in una disperazione generale di non sapere cosa fare.

Qual è il mood tra i consorziati?

È stato difficile uscire da questi giorni di crisi perché c’era tanta  preoccupazione, mancava una guida, un riferimento, un obiettivo certo. Abbiamo lavorato tantissimo, con Cda dalla sera alla mattina per partorire un progetto collegiale. Non era possibile vedere il Pinot grigio delle Venezie sganciato dalle altre denominazioni definite storiche, quelle più piccoline, ma dovevamo trovare una quadra tutti insieme e riuscirci con 19 denominazioni su tre regioni non è stato facile, anche personalmente è stato molto impattante. Però è andata benissimo, le altre Doc hanno deciso di fare lo stoccaggio insieme a noi, di abbassare tutto il Pinot grigio a 130 quintali: così le Doc Friuli,  Grave, Venezia,  Arcole, Garda. Le più gradi denominazioni hanno deciso di allinearsi alla nostra richiesta fatta e andare di pari passo, quindi gran parte del Nordest avrà una voce unica sul Pinot grigio. Andremo sui mercati con una forza d’urto pazzesca, è tutto Pinot grigio del Nordest che respira insieme. Due o tre mesi fa, onestamente, non la vedevo così. Non è stato facile arrivare a un’unanimità e coinvolgere in un atteggiamento collegiale tutte le denominazioni. Ora la volontà di agire è forte e chiara e non credo che andremo incontro a una caduta dei prezzi.   

Da imprenditore, qual è lo stato di salute delle sue aziende? Condivide le misure governative a sostegno del settore?

Ho chiuso un bel bilancio anche quest’anno. Sto investendo tanto: ho aumentato sia gli ettari vitati sia la capacità produttiva, ci siamo inventati una nuova realtà commerciale all’interno dell’azienda per gestire tutta la fascia dei clienti finali, ho portato avanti il discorso sul sistema di qualità SQNPI e ormai l’azienda, mille ettari, è al 100% certificata. A livello di misure, vuoi per la distillazione vuoi per la vendemmia verde, qualcosa si fa. Io mi sono battuto fin dall’ inizio dichiarando che non bisognava fare una distillazione alla vecchia maniera che andasse a premiare i vini da tavola, già sviliti dal prezzo. Ci sono denominazioni che in questo momento hanno difficoltà a superare l’impasse, andavano premiate e gestite queste. Prima si mette al sicuro il forziere, non i vini da tavola a 27 centesimi al litro, che tra l’altro hanno poca ragione anche di essere prodotti perché non remunerano nessuno. Vedo una misura che va a ristorare vedremo chi, non so nemmeno chi la farà questa distillazione, c’è da capire se le regioni faranno un’integrazione per renderla un po’ più appetibile.

Non trova che bisognerebbe pensare a una migliore allocazione delle risorse economiche?

Se si deve spendere in questo momento, lo si deve fare per la promozione. Ci sono misure allocate male nel nostro sistema. Bisogna rivoltare tutto, non possiamo pensare come sei mesi fa. Gran parte del plafond italiano viene destinato alla ristrutturazione dei vigneti e da viticoltore dico ben venga, ma in una situazione in cui tutte le denominazione bloccano gli impianti che senso ha continuare a spendere del denaro per sovvenzionare gli impianti dei vigneti? Pensiamo, invece, a destinarlo alla comunicazione o come dice Rallo per presentarci su mercati nuovi. Si impongono cambiamenti epocali. Se non comunichi non sei. Ho vissuto la fase della produzione in cui eravamo tutti concentrati a spendere il denaro per cambiare presse, macchine, piantare vigneti, migliorare l’imbottigliamento e quello che era il racconto ce l’hanno sfilato gli altri. Siamo stati un po’ meno bravi dei francesi e del nuovo mondo a raccontare la nostra bellezza e la nostra ricchezza e ora qualche attenzione in più a questo modello comunicativo dobbiamo metterla. Si spende molto per l’hardware e poco per il software, quindi vigneti, cantine, impianti, ma la comunicazione dov’è? Serve una ricollocazione dei fondi in maniera intelligente. Dobbiamo pensare con una testa nuova.