Ottavia Giorgi di Vistarino racconta Conte Vistarino, Rocca de’ Giorgi, il suo Oltrepò nel corto d’autore “La casa del Pinot Nero”, del regista Massimo Zanichelli.
Presentato in questi giorni a Milano, nel centralissimo On House, spazio esperienziale e polifunzionale dove arte, design e domotica dialogano, il film coglie e fissa l’autenticità di un territorio, non senza emozionare mentre le immagini, incalzanti, scorrono lungo filari che si susseguono a perdita d’occhio. Siamo nella terra del Pinot nero. “È un modo per raccontare ai nostri figli chi siamo e chi siamo stati”, spiega Ottavia Giorgi di Vistarino, che nella scena d’apertura si muove all’interno di Villa Fornace, la padronale villa settecentesca di proprietà della famiglia, in religioso silenzio, quasi ad ascoltare gli echi di un passato che fu, di cui lei ha raccolto il testimone con carattere, lo stesso che ritroviamo nel Pinot nero Pernice.
Forte della sua storia familiare, guarda al futuro con solidi valori, idee chiare e senza compromessi, certa di due cose: una direzione che non concerne solo la sua azienda ma tutto un territorio, quella del Pinot Nero, declinato nel Metodo classico e in rosso; la ricerca dell’eccellenza, che non è così scontata in una zona con grandi potenzialità ma che per tanto tempo si è lasciata “saccheggiare” da altri territori vitivinicoli, più blasonati, e anche più abili nel comunicarsi. Oltrepò Pavese che dopo Borgogna e Champagne è il terzo distretto europeo di produzione del Pinot nero, oltre ad essere il più esteso in Italia. “Dicono che la nostra rovina sia stata la vicinanza di Milano. Io, invece, credo che Milano sia una grande risorsa se tutti produciamo eccellenza, senza scappatoie, senza fare i furbi, noi per primi educando i consumatori a bere di qualità”.
I tre cru che ha iniziato a produrre nel 2013, frutto di un lavoro iniziato quattro anni prima, sono l’espressione di tre vigne diverse: Pernice, Bertone (a 400 metri slm) e Tavernetto. Tre vini che abbiamo modo di comprendere e di cogliere nelle loro rispettive differenze in una orizzontale, annata 2019, e in una verticale di Pernice 2010, 2011, 2013, 2015, 2017, 2018: Bertone elegante e armonico già all’inizio della sua vita, con tannini integrati, finissimi e note preponderanti di piccoli frutti rossi cui fa da contraltare una piacevolissima freschezza; Tavernetto, più potente, con le sue note scure e una spinta maggiore della tostatura della vaniglia del legno; Pernice, con sentori di frutti rossi e scuri e una complessità olfattiva maggiore, eleganza e potenza in equilibrio, un’eleganza che, però, si manifesta col tempo, concedendosi poco a poco.
“Una tradizione che risale all’epoca del mio trisnonno, che nel 1850 ha piantato il Pinot nero e nel 1865 ha prodotto il primo Metodo classico italiano da Pinot nero, aprendo l’Oltrepò Pavese al mondo dello spumante”, racconta la produttrice. “Mio padre, invece, ha avuto la lungimiranza alla fine degli anni ’90 di piantare degli splendidi vigneti con dei cloni ideali per la vinificazione in rosso. Quindi io ho potuto produrre dei grandi vini rossi in una zona come Rocca de’ Giorgi nota semplicemente per la base spumante, grandi basi spumante, importanti. Forse la novità che ho portato nel Pinot nero di Rocca de’ Giorgi è stata proprio la vinificazione in rosso, che fino ad allora era bistrattata. Non c’era l’usanza, alla fine degli anni ’70, di bere in Oltrepò questa declinazione del Pinot nero”.
Gli oltre ottocento ettari di proprietà, fra boschi, vigne e seminativo, coprono il 95% del comune di Rocca de’ Giorgi. Un territorio ricco di biodiversità, per la maggior parte boschivo. Quest’anno con un 30% in meno di produzione. “Oggi che abbiamo capito l’importanza di questa biodiversità non sarebbe più possibile tornare indietro. L’unicità di Rocca de’Giorgi è proprio l’avere un paesaggio così variegato. Vigneti che si alternano a boschi, suoli che non spingono, un clima propizio per il Pinot nero, con forti escursioni termiche, ventilato, che asciuga l’uva e la mantiene croccante di notte. In alcune zone, molto ripide, non si può lavorare la terra se non a piedi. Sarebbe stato un peccato non poter esprimere tutto questo a dovere. Quale modo migliore se non cercare di vinificare sapientemente alcune vigne per poter capire cosa ci fosse di diverso tra un versante e l’altro. In fondo la nostra è un’azienda grande, una valle che copre esposizioni e suoli eterogenei e, ovviamente, l’uva non è tutta uguale”, spiega.
Tornando ai cru, che considera come dei figli (“il primo, quello di mezzo e il terzo”), nascono da tre vigneti storici che riportano il nome o della zona particolarmente vocata per la caccia alla pernice o della famiglia che ha abitato in passato la cascina colonica. “Sono diventati degli indirizzi veri e propri, delle località e, oggi, sono anche i tre nomi dei vini probabilmente più importanti dell’azienda”, racconta. “Sono tre vini con caratteri completamente diversi. Pernice è il più selvatico, è il primo, il figlio maggiore e al tempo stesso un po’ ribelle, con una personalità distinguibile, con pregi e difetti in cui trova una grande unicità e identità. Bertone è elegante, canonico, ma ci crea più difficoltà perché produce sempre poco o niente e da primo della classe è un po’ viziato, in vendemmia ci fa correre per raccoglierlo per primo perché altrimenti prende caldo e rischia di asciugare. Tavernetto è il tipico terzo figlio, quello che arriva dopo e che nessuno guarda più perché deve essere autosufficiente, si deve promuovere da solo, vendere da solo, essere, forse, alla fine scelto per caso, perché magari è finito l’altro, un vino che io ho particolarmente in simpatia perché come tutti i terzi, meno sotto i riflettori, è quello che nel lungo periodo potrebbe venir fuori con delle sorprese”.
Fatti non parole. “Sono arrivata in azienda e ho trovato il Pinot nero. Mi sono subito chiesta se sarebbe stato possibile realizzare un grande vino. Per saperlo, dovevo conoscere la viticoltura ed essere certa che il Pinot nero dell’Oltrepò Pavese, in particolare a Rocca de’ Giorgi, potesse dare quei risultati e avere quelle caratteristiche che distinguono il Pinot nero nel mondo. È stato così, ma ci è voluto tempo perché, tra le altre cose, ero l’unica a crederci. Mi sono sentita dire, spesso, che non eravamo in Borgogna piuttosto che nell’Oregon. Qualcuno diceva anche che non eravamo in Alto Adige. Ma io sono molto fortunata perché sono a Rocca de’ Giorgi, che è un grande cru di Pinot nero”. Conclude: “Il Pinot nero oggi mi appartiene. Mi appartiene in tutto e per tutto. È un legame molto forte. Mi piace vedere come cambia, cosa gli succede in un anno. Come prende posto all’interno della barrique. Entra, si mette comodo. All’inizio è uno shock, poi piano piano trova la posizione. Certo, il Pinot nero ti sfida per la sua delicatezza, per la famosa eleganza di cui tutti parlano, che non è facile né mantenere, né poterci arrivare”. Conclude: “Far diventare quel piccolo grappolo così delicato un grande vino non è cosa semplice. È stata una guerra, neanche una battaglia, sperimentare tutto quello che fosse possibile per arrivare ai giorni nostri, dal vigneto alla cantina, alle barriques, al sistema di vinificazione, al potermi confrontare con chi era in grado sul serio di capire il mio desiderio. Ho dimostrato che in questo territorio, in questa azienda si possono fare veramente grandi cose”.