In margine all’evento dedicato al Pinot nero, che vi racconteremo attraverso la masterclass focalizzata sulla sua vinificazione in rosso, incontriamo Michele Rossetti, ex presidente del consorzio di tutela (2015-2018) e titolare, a Montebello della Battaglia, insieme a Simona Scrivani, delle aziende vitivinicole La Costaiola e Rossetti e Scrivani (quest’ultima specializzata nel Metodo classico).  
“Con la grandine di giugno abbiamo perso circa l’80% della produzione”, racconta il produttore ed enologo oltrepadano. “Con tutti i problemi che comporta un raccolto scarso: alta gradazione alcolica, concentrazione, mosti difficili da lavorare”.
Michele Rossetti è un profondo conoscitore del territorio e delle dinamiche consortili (“che forse andrebbero riviste”). Con spirito critico (“ma costruttivo”).
“La legge prevede che la denominazione certifichi l’origine di un prodotto, del quale non viene, quindi, dato un valore di qualità ma di provenienza. In proposito, credo che andrebbe fatto un passaggio ulteriore. Quando si compra un determinato prodotto a denominazione di origine, con la fascetta di stato o comunque con una certificazione, si è sicuri di acquistare un prodotto che ha origine in un territorio ed è prodotto, secondo il disciplinare, con le uve del territorio. È tantissimo ma non basta, perché si certifica come si fa una cosa senza dire se questa è fatta bene o male”, spiega Rossetti. “Sono profondamente convinto che le denominazioni che funzionano in Italia sono quelle che sono riuscite a fare uno step in più, trasformando la denominazione in un brand, come Franciacorta, Prosecco, Lugana, Barolo, Brunello di Montalcino. Non è solo una questione di posizionamento del prezzo o della qualità del prodotto o della bottiglia costosa. Anche un Prosecco, che non costa come un Barolo, ha una strategia di branding. Sono tutti territori con caratteristiche abbastanza semplici, soprattutto fanno un solo tipo di vino: a denominazione, a brand corrisponde quel prodotto. Nessuno ha dubbi: se dico Franciacorta mi riferisco inequivocabilmente a una bollicina prodotta in Lombardia, nel Bresciano, se dico Barolo a un grande rosso piemontese con certe caratteristiche. Le denominazioni, a mio avviso, inefficienti sono quelle retaggio anni ‘70 come Oltrepò Pavese, Colli Piacentini, Colli Euganei, dove con una sola denominazione si producono più tipologie di vini talvolta molto diversi tra loro: spumanti, bianchi, rossi. Lo sforzo promozionale rischia, così, di diventare inutile perché non si promuove un prodotto ma un territorio che fa vino, che è molto più difficile da comunicare. Non si riesce a pianificare una strategia unitaria di branding. Nei territori, invece, che hanno capito questo, e dove magari c’è anche più serenità nel mondo produttivo, tutti più o meno fanno la stessa cosa e hanno chiaro l’obiettivo finale. Quindi, quando un opinion leader promuove un marchio è un marchio di tutti e tutti ne sono contenti. In assenza di un brand collettivo, che dovrebbe essere la denominazione, si è costretti a promuovere il proprio brand aziendale. Se in Lugana, per esempio, si recensisce Cà Maiol, si sta parlando nello specifico di un’azienda ma si sta promuovendo il Lugana e anche chi non è il diretto interessato si sente coinvolto. Lo sforzo promozionale di tempo e di risorse che un’azienda fa in presenza di un brand si somma in modo sinergico con quello di tutte le altre aziende e crea una cassa di risonanza. Se invece si promuove il singolo orticello, si moltiplicano gli sforzi e si disperde la forza promozionale stessa. Non ho mai capito perché in Oltrepò non si sia mai riusciti ad afferrare questo concetto, a dire il vero semplice”.
Quanto al ruolo del consorzio di tutela e alle sue due “anime”, commenta: “Mi permetto di fare un ragionamento da conoscitore del mondo consortile. Il difetto sta nel manico, cioè nella legge che ha istituito le funzioni del consorzio, che è una legge, a mio parere, superata, perché ha attribuito funzioni diverse e antitetiche a uno stesso ente, lasciando al buon cuore e all’occasionalità del direttore o del presidente la buona riuscita o meno dell’azione promozionale. Il consorzio si occupa di promozione e tutela del prodotto. Sono due funzioni che possono essere compatibili, ma che sono certamente antitetiche. Due anime che quantomeno hanno bisogno di due professionalità diverse. Il vero problema è che la legge dovrebbe decidere una volta per tutte se il consorzio è un ente delegato dallo stato per controllare e tutelare la denominazione o se è un’associazione privatistica fra aziende che fa promozione”. Continua: “La legge non ha ancora risolto un’altra questione spinosa: l’eterno dilemma del sistema di voto e quindi di rappresentatività del consorzio. Se  quest’ultimo è un ente di tutela che gestisce le regole, quindi fa il guardiano, in democrazia non può che applicarsi il principio di ‘una testa, un voto’ e una grande azienda conta come una piccola, ma se il consorzio è un ente promozionale che promuove prodotti e fa strategie di investimento, dove le aziende pagano in base alla loro dimensione, al contrario bisogna ricorrere al voto ponderale. Un’azienda che paga di più è giusto che abbia un potere decisionale maggiore perché tutti insieme spendiamo soprattutto i suoi soldi. La fonte di tensione che attraversa tutta l’Italia del vino sta lì: c’è una tremenda confusione tra maggioranza che decide il piano promozionale e maggioranza che decide le regole. La politica invece di fare chiacchiere e passare il proprio tempo sui social media dovrebbe occuparsi delle questioni serie e prendere in mano la situazione, perché ci sono gli strumenti per risolverla a monte, intervenendo, ad esempio, sulla legge, che oggi ancora non permette di avere due maggioranze: una società di capitali per gli investimenti e quando si decidono le regole una maggioranza col metodo ‘una testa, un voto. Chiediamoci perché, normalmente, i consorzi gestiscono le cose pubbliche e le società di capitali quelle private. Nel mondo consortile vitivinicolo sono riusciti a trasformare una società di persone in una società di capitali ma gli hanno attribuito funzioni proprie delle società di persone. Vediamo cosa accadrà nel paese e nel sistema Italia con questa svolta elettorale. Tornando al consorzio e al suo meccanismo di funzionamento, ci saranno sempre tensioni e polemiche legate a scelte che vengono fatte da una maggioranza assolutamente legittima ma secondo me inopportuna”.