“Parallelamente al lavoro in vigna continuo a studiare, a sperimentare, a progettare il futuro. Proprio per questo ho lanciato un nuovo progetto per l’affinamento del mio Aglianico del Vulture, desiderosa di produrre un vino sempre più elegante che rispecchi la mia idea di territorio”. Lei è Elena Fucci, sito aziendale anche in cinese e una sola etichetta, il Titolo, un Aglianico in purezza che porta nel bicchiere tutta la territorialità del vulcano, del Vulture, immaginandolo da subito come un cru e oggi con un nuovo importante progetto di crowdfunding per finanziare quello che prima di tutto è per lei un sogno: una nuova gamma di anfore in terracotta e botti di rovere per continuare con la sperimentazione sull’Aglianico. Per puntare sempre più in alto in nome della sua amata Basilicata e creare un grande cru del Sud Italia, perfezionando l’affinamento di questo vino che nasce su un terreno fortemente minerale, composto da strati di colate laviche, intervallati da fasi di stasi in argilla, dal colore scuro e pozzolanico, su cui si può chiaramente leggere la storia e la vita del vulcano.
“Siamo nell’era della condivisione, del far rete, squadra e per me ha un grande valore coinvolgere nel mio progetto gli amici, chi ama il mio vino, semplici appassionati”, commenta Elena. “Qualche anno fa ho dato il via a piccole sperimentazioni di Aglianico del Vulture in tonneaux da 500 litri, notando come affini meglio in contenitori più grandi, perché, per esprimersi con grandissimi risultati, c’è bisogno di allungarne i tempi di permanenza in legno. Il mio obiettivo, in questo caso, è quello di avere a disposizione più tonneaux per poter concedere, così, al mio prodotto più tempo di affinamento”, spiega. “Nel 2017 ho, inoltre, provato la prima vinificazione e il primo affinamento in anfora ovoidale, realizzata in terracotta. È stata una grande sorpresa perché ne abbiamo ricavato un vino elegante e minerale oltremisura, in cui viene esaltata la componente vulcanica del mio territorio. Tuttavia, ne ho a disposizione solamente una, e il mio intento sarebbe quello di averne una quantità discreta, per incrementare questa prova. Sarebbe davvero importante per me, dal momento che la forma ovoidale e, dunque, senza angoli, crea in affinamento un vortice che favorisce il restare in sospensione delle fecce fini, svolgendo un ruolo protettivo e permettendomi di lavorare con livelli di solforosa minori. La terracotta non trattata e di origine italiana, con la sua microporosità, aiuta l’affinamento di vini tannici come il mio prodotto, riducendo lo shock termico e l’innalzamento della temperatura che all’interno avviene gradualmente. Un’ultima sperimentazione che vorrei ancora provare è quella della vinificazione e dell’affinamento in tino di legno. La fermentazione in  tini da venti ettolitri credo possa conferire caratteristiche ancora inesplorate al mio prodotto. Mi auguro di poter già vinificare e affinare in questo modo l’annata 2021”.
Una storia intrisa di emozioni e passioni viscerali quella di Elena Fucci. “Venti anni fa, quando in famiglia si discuteva se vendere i bellissimi vigneti di proprietà che circondano la nostra  abitazione, ho cambiato i miei progetti di vita per costruire la mia cantina a Barile e onorare l’eredità di sei ettari di vecchie viti tramandate da generazioni. Le vigne erano state acquisite negli anni ’60 da mio nonno Generoso, che era riuscito ad accaparrarsi la parte più alta dei poderi situati in Contrada Solagna del Titolo ai piedi del Monte Vulture. Negli anni mio nonno e il mio bisnonno le hanno curate limitandosi a vendere le uve e produrre per l’autoconsumo. Dopo gli studi di enologia a Pisa, ho costruito la cantina secondo principi ecologici con l’obiettivo di produrre un grande cru: Titolo, fatto al 100% con l’uva Aglianico. E così ho fatto impegnandomi al massimo. Qui, sulle pendici del vulcano Vulture in Basilicata, in Italia, un terroir unico e la cura minuziosa delle nostre vigne conferiscono al nostro vino un grande carattere e la capacità di evolvere per decenni. La mia interpretazione del territorio viene definita dagli addetti del settore ‘moderna ma non modernista’. Moderna, per aver saputo comprendere le reali necessità del vitigno in termini di maturazione e di affinamento, e ‘non modernista’ perché lavoro sempre senza stravolgere le caratteristiche del frutto che il vigneto regala”, continua. “L’Aglianico è famoso per la sua grande struttura tannica. Il mio obiettivo è fare il vino più elegante possibile con approcci moderni che rispettino il nostro terroir unico. Nel 2017 ne abbiamo vinificata una piccola quantità in un’anfora di terracotta. Imbottigliata in una serie limitata, ho scoperto che questa nuova tecnica ha avuto un effetto eccitante sulla struttura e sul profilo aromatico del vino”.
L’attuale cantina è stata ricavata dai vecchi locali sotto la Torre Titolo, dove anticamente il nonno di Elena ricoverava i mezzi e le attrezzature agricole. “Ho fatto eseguire un primo ampliamento scavando direttamente nella roccia vulcanica per ospitare la barricaia, sfruttando ogni spazio disponibile in modo da garantire le migliori attenzioni possibili al mio vino. Recentemente è stata completata la nuova cantina, sorta in adiacenza al corpo storico aziendale e messa in comunicazione da un tunnel scavato sempre nella roccia. Ho scelto di realizzare la nuova struttura secondo i principi della bioarchitettura impiegando materiali di recupero e riciclo e tecnologie per ridurre a zero gli impatti e i consumi energetici”, spiega Elena, che oggi è conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, con ratings alti nelle principali guide di settore. Cosa fa la differenza nel suo lavoro? Oltre a un grande terroir la famiglia. Insieme al marito Andrea, e con l’aiuto di mio papà Salvatore, lavora con passione per far crescere i caratteri inconfondibili ed unici dell’Aglianico, che non si esauriscono nel profumo e nel colore, nella limpidezza e nel sapore, ma risiedono nella personalità del Titolo. “Il Rispetto della natura e dei suoi cicli è fondamentale. Non ricorriamo a prodotti chimici, per legare le viti utilizziamo la ginestra che lasciamo essiccare durante l’estate. Vinifichiamo soltanto le nostre uve e quando arrivano in cantina per iniziare la vinificazione, ho quasi il terrore di poterle rovinare. Fortunatamente il risultato finale appaga tutti gli sforzi fatti in vigna e in cantina senza lasciarci mai scontenti”.