“Modigliana, un terroir?” è stato il primo dei due seminari all’interno del Cattolica Wein Tour di cui sono stata correlatrice insieme a Renzo Maria Morresi, titolare della Casetta dei Frati e presidente dell’associazione “Modigliana, Stella dell’Appennino”, e al consocio Stefano Bariani, per una vita braccio destro di Gaia e direttore commerciale di San Patrignano, oggi alla guida di Fondo San Giuseppe, a Brisighella, dove undici ettari di bosco e cinque di vigneto la dicono lunga sulla filosofia aziendale.
Modigliana un piccolo comune, un’enclave dell’Appennino tosco-romagnolo, già Romagna toscana, che corre avanti nella costruzione della sua identità territoriale e culturale rispetto al resto della Romagna. Un territorio straordinariamente vocato alla produzione vitivinicola, tanto che i 300 ettari vitati possono rivendicare la menzione geografica aggiuntiva Modigliana prevista dalla DOC Romagna per il Sangiovese. Un passo in avanti reso possibile da alcune coincidenze che hanno fatto sì che a Modigliana prima di fare vino si faccia cultura e costruiscano ponti. L’associazione, senza scopo di lucro, di promozione dell’olio e del vino del territorio, riunisce undici produttori legati da un comune racconto, da valori e obiettivi condivisi. Un terroir forte che marca i vini in maniera distintiva, caratterizzando e connotando la varietà in maniera originale, dominandola. Agrintesa, Castelluccio, Fondo San Giuseppe, Il Pratello, Il Teatro, La Casetta dei Frati, Lu.Va, Menta e Rosmarino, Mutiliana, Torre San Martino, Villa Papiano sono le cantine che traducono tutto questo, un terroir, nel bicchiere, con la responsabilità, non da poco, di consegnarcelo nella corretta chiave di lettura. Tutti micro produttori come in Borgogna, da chi ha un ettaro a chi ne ha 14 (a parte la cooperativa che ne conta oltre 250 su 300 vitati della MGA Modigliana).
Modigliana e le sue tre valli – Ibola, Tramazzo, Acereta – sono il fulcro di una vera e propria rivoluzione stilistica, di un cambio di passo che scuote la Romagna del vino tutta: eleganza, modernità, territorio per raccontare una storia diversa, che è matura per essere svelata: un antico suolo marino calcificato dieci milioni di anni fa e le viti che si sono prese il loro spazio dopo aver “roncato via” il bosco, che comunque resta tutt’intorno e copre l’80% del territorio abbracciando i vigneti e arricchendoli con la sua straordinaria biodiversità; suoli marnoso-arenacei; altitudini non comuni per l’Emilia Romagna, con vigne fino a 600 metri; il fiume, che da sempre caratterizza i grandi territori mondiali del vino, o meglio i tre torrenti che scolpiscono le tre vallate in cui la vite si esprime con sfumature diverse: frutto più evidente e una sfumatura terrosa in Valle Acereta, dove sono presenti tracce di argille nel massiccio marnoso arenaceo che caratterizza tutto il territorio comunale; austerità, sale ed eleganza sulle marne e arenarie più pure di Val Tramazzo; vini sottili, ma ancor più eleganti sulle marne e arenarie più sabbiose dell’alta Valle Ibola. A Modigliana il Sangiovese (e non solo) si distingue in maniera riconoscibile e si riappropria di una storia che gli appartiene. “Un terroir non si può creare, si può ereditare e trasmettere ai figli dei figli, guardando avanti di almeno cinquant’anni. Il terroir non si può creare per sé, non è qualcosa cui si può ambire perché i tempi non sono ragguagliati alla vita umana ma alla natura. Questo anche per definizione quando si dice che nel terroir c’è la tradizione, un concetto che ci fa riflettere sul fatto che terroir è qualcosa di fisso da almeno due generazioni perché le vigne cominciano a dare il loro meglio dopo vent’anni, entrano in maturità dopo 35 anni e le grandissime vigne vantano almeno cento anni di storia”, spiega Renzo Maria Morresi. “Nella definizione di terroir dell’Unesco, però, si dice che non basta la tradizione, occorre una comunità che la evolva e la innovi, quindi la tradizione deve dialogare con il passato ma anche con il presente e con il futuro. Infine il concetto di terroir non ha nulla a che vedere con il rapporto qualità-prezzo. Per fare un paragone, pensiamo a un allevamento di razze equine di grandissimo lignaggio, che risale a cento anni e ha un futuro immaginabile per secoli, intorno al quale vive una comunità che evolve e dialoga. Noi italiani di terroir ne abbiamo diversi, semplicemente talvolta non li riconosciamo come tali. Barolo è un terroir, Chianti è un terroir, così Etna, Montalcino, Amiata e anche Modigliana è un terroir. Ci sono tanti prosecco, perché la glera è coltivata dal Friuli Venezia Giulia al Trentino, mentre c’è un solo Prosecco di Cartizze perché Cartizze è un terroir, piccolissimo ma c’è, e c’è perché dietro ha una comunità che lo sta facendo evolvere consegnandoci un prodotto leggibile. Questo è il concetto del nostro seminario”.
Più che sulle differenze Morresi si concentra sulle affinità delle tre valli: “Non ci sono tre terroirs, ma ce n’è uno che viene declinato in vari modi, per ciascuna vallata, per ciascun vignaiolo. Di fils rouges nei nostri vini ce ne sono almeno cinque. Queste cinque caratteristiche sono per noi i cinque lati di un pentagono, che rispetta nei suoi rapporti la proporzione estrema e media, il rapporto aureo di Fibonacci. Se prendiamo un pentagono regolare e tracciamo le diagonali si disegna una stella e se prendiamo la stella e ne prolunghiamo i lati vengono fuori una stella e un pentagono all’infinito. La nostra è una stella molto particolare. Maria Stella Petronilla Chiappini, signora dell’800 di umili origini, vinse una causa davanti al tribunale ecclesiastico di Faenza che accertò che lei era la regina dei francesi perché la notte in cui nacque era di passaggio a Modigliana il duca Luigi Filippo d’Orleans con sua moglie, genitori del futuro re Luigi Filippo I, che per Maria Stella era un usurpatore. Dicono che la bimba dei francesi sia stata “cambiata”, il cosiddetto baratto di Modigliana, con il bimbo dei Chiappini in quanto i francesi avevano bisogno di un erede maschio. È ragionevole che non sia vero, ma non si può escludere che lo sia. Da qui la stella, il nostro simbolo, il concetto del pentagono, le cinque caratteristiche. La prima è l’austerità, perché siamo su un suolo poverissimo, marino, colonizzato da alcune specie vegetali dette pioniere, come ginestra, ginepro, che morendo creano l’humus necessario per la crescita della macchia boscosa spontanea che i nostri padri hanno tagliato per piantare castagni e viti. Abbiamo uno strato superficiale di humus su roccia madre sterile che dà al vino una straordinaria austerità. La seconda è la freschezza, in chimica acidità, perché siamo in altura, su un terreno povero dove il frutto conserva una spiccata caratteristica fresca che tende all’agrumato, al cedro, al limone di Sorrento. La terza è la salinità, la bocca salata, perché essendo il suolo oceanico c’è tanto sale, oltre al krill, i gamberetti che, fossilizzandosi, hanno regalato al terreno una notevole mineralità. La quarta è la speziatura dovuta essenzialmente al bosco. Pare che queste note passino all’uva attraverso le micorrize, un tipo di associazione simbiotica tra fungo e radici delle piante. È scientificamente provato che quando si incendia un bosco, se c’è una vigna nelle vicinanze negli anni successivi il grappolo vinificato porta con sé l’odore del fumo. Il bosco trasmette “il bruciato” attraverso le micorrize alla pianta e questo è misurabile chimicamente all’interno della bacca. Nei vini si avvertono note verdi e speziature come pepe e noce moscata. Per ultima, la longevità da terra magra. Basta la pulizia in cantina per ottenere vini longevi, anche bianchi. Per far capire il potenziale del territorio manderemo undici campionature dei vini di Modigliana a esperti in giro per il mondo in occasione della prossima edizione del nostro evento. Chi li riceve dovrà inviarci un video che proietteremo per fare il punto della situazione”.
Per Stefano Bariani: “Abbiamo avuto una serie di fortunate coincidenze legate alla cultura. L’avvocato Renzo Morresi è di Modigliana e il giornalista Giorgio Melandri a Modigliana è diventato produttore. Entrambi amici di Francesco Bordini, produttore, agronomo ed enologo. Questo è stato il nucleo di espansione culturale che ha coinvolto tutti gli altri vignaioli. Il terroir non si crea ma si può riconoscere. In Francia non si chiede un Jacques Selosse, ma uno Champagne, perché vince un territorio riconoscibile. Stessa cosa dobbiamo fare a Modigliana. Stare insieme porta benefici inestimabili. A Barbaresco, come a Barolo, si sono messi insieme. Questo è capitato anche qui da noi. Dove non c’è squadra non c’è futuro in crescita”. Quanto alla presenza di una cooperativa all’interno dell’associazione Bariani commenta: “Agrintesa fa ottimi vini perché ha bravi consulenti, e la qualità è molto alta. Se riuscirà a evolvere prendendo come riferimento la cooperativa dei produttori di Barbaresco farà i vini più grandi di Modigliana perché ha i terreni migliori. La presenza di una cooperativa è importante perché è segnale di inclusività”.  
E non si può non ricordare l’azienda Castelluccio e la famiglia Baldi, che già nella metà degli anni ’70 a Modigliana iniziò per prima a credere nella qualità. Seguendo i consigli di Veronelli, Gian Vittorio Baldi vinificò separatamente le uve di ogni singola vigna e nacquero così i Ronchi, vini che a distanza di quarant’anni ancora sorprendono. “Baldi non aveva un talento commerciale. Il discorso era più ampio. Voleva fare in Italia i vini di Chateau d’Yquem. La sua era l’idea di un produttore cinematografico, di un regista: fare una cosa e metterla a disposizione di tutti. Non a caso è stato produttore di Pasolini, di Antonioni”, racconta Morresi.
I grandi territori del vino sono nati intorno a una visione e a un gioco di squadra senza compromessi. “Credo che qualcosa lasceremo a chi verrà dopo di noi. La reputazione una volta creata difficilmente ‘torna indietro’. Il valore ecologico, ambientale, qualitativo, culturale, per certi versi etico dei terreni sarà lì a ricordare chi siamo stati e come abbiamo vissuto, con quali principi”, conclude Bariani. “Abbiamo vinto quando un cliente dice di aver preso un vino di Modigliana dimenticandosi la varietà e il produttore. E a vincere è tutta una comunità”.