Nella guerra dello Champagne tra Russia e Francia rompe gli indugi Moet Hennessy (produttore di vini alcolici di lusso del gruppo LVHM) che, dopo la decisione piccata di fermare temporaneamente l’export di champagne in Russia, privando così oligarchi e multimilionari vari di uno dei simboli del potere a tavola, secondo una nota dell’agenzia di stampa governativa\ Sputnik avrebbe accettato di cambiare l’etichettatura “declassando” lo champagne a “spumante” per i prodotti francesi esportati nella terra di Putin. Fatturato docet et imperat alla fine. Anche perché in questo braccio di ferro potrebbero avvantaggiarsi i vini italiani che nel primo trimestre 2021 hanno messo a segno un +37%, con la Russia che si classifica al quarto posto tra i principali consumatori di bollicine italiane, dopo Germania, Stati Uniti e Regno Unito. Nel 2020 sono state stappate 25 milioni di bottiglie di spumante italiano, soprattutto Prosecco e Asti.
Il fatto. Il presidente russo Vladimir Putin ha appena firmato una legge, in vigore dal 2 luglio, che penalizza lo champagne esportato nella Federazione, che non potrà più chiamarsi così, con il nome che ne ha decretato la fama a livello mondiale, ma dovrà accontentarsi della definizione più modesta di “spumante”. Lo status symbol terminologico sarà riservato alle bollicine russe. Scoppia il caos. Si attende a breve un incontro tra Macron e Putin per addivenire a un compromesso.
Lo Champagne francese in Russia era molto amato e popolare tra gli zar, tanto che Alesssandro II chiese alla maison Louis Roederer di creare una cuvée esclusiva. Nacque così il Cristal, champagne iconico. L’importazione di champagne in Russia si bloccò con l’avvento del Soviet, ma nel 1936 fu deliberata, alla presenza di Stalin, una risoluzione che impegnava il Governo dell’URSS a produrre uno champagne sovietico accessibile alle masse, e non più solo ai nobili aristocratici come nel pre rivoluzione bolscevica, secondo il metodo Martinotti già adoperato in Italia. Una decisione presa per dimostrare che lo stile di vita comunista non era da meno di quello capitalista e che anche un operaio poteva godersi uno champagne come gli aristocratici del vecchio mondo. La prima bottiglia di champagne economico sovietico uscì così nel 1937 e a metà del XX secolo l’Unione Sovietica era al quinto a livello mondiale per numero di vigneti e il settimo produttore di vino. Decenni prima, però, nel 1900, uno spumante russo messo a punto dal principe Leo Golitsyn, prodotto in Crimea, venne giudicato talmente di qualità che presentato all’Esposizione universale di Parigi superò le bollicine francesi e vinse il Gran Prix de Champagne. Oggi grazie a una nuova viticoltura il settore spumantistico ha preso nuovo slancio soprattutto nel Sud della Federazione, sul Mar Nero. La casa vinicola Abrau-Dursu, 660 ettari di vigneti,  produce vini fermi e bottiglie di “shampanskoie” secondo il metodo Champenoise e Charmat, in un terroir unico al mondo.