La nuova cantina di Montescano, chiusa da lungo tempo per il crac La Versa, si prepara a vinificare. Prima vendemmia, con metodi innovativi per un riposizionamento graduale del brand La Torre che l’ha acquistata. “Sarà una vendemmia di qualità, sperando che il caldo non rovini tutto, manca l’acqua. Una situazione da attenzionare in queste ultime settimane decisive dal punto di vista meteorologico, alcune piante sono in grande sofferenza”, spiega Giovanna Bernini, che insieme al marito Giorgio Maggi e ai figli guida la cantina La Torre, a Bosnasco, realtà territoriale dai grandi numeri (700mila bottiglie annue). Quasi duecento i conferitori fra Bassa e Alta Valle Versa. “La maturazione dell’uva è avanti. È prevedibile che si inizi subito dopo il 15 agosto con il pinot nero, a seguire moscato, riesling e per ultime, come sempre, le uve rosse”.
Un investimento importante che supera i due milioni di euro solo per l’acquisto dei macchinari. “Senza contare la ristrutturazione aziendale”, spiega Giovanna Bernini. “Abbiamo quaranta vasche nuove da 600 quintali, 24mila ettolitri che si sommano alla capacità già esistente in celle frigo di 16mila, per un totale di  40mila ettolitri solo a Montescano, che si vanno ad aggiungere ai 30mila di Bosnasco dove continueremo a imbottigliare. Nella nuova sede pigiamo, vinifichiamo e facciamo stoccaggio”.
A proposito dell’ammortizzamento dei costi, vista la flessione nelle vendite che si è registrata nell’ultimo periodo, dice: “La Bonarda tiene ancora banco ed è il nostro vino più richiesto nonostante un calo generalizzato del 20% nell’ultimo anno. In alcune zone non è più così ambita, per esempio in Liguria, che fino alla pandemia assorbiva bene questo tipo di prodotto. Il nostro è un finanziamento, con legge Sabatini, in cinque anni, ma abbiamo immesso anche capitale personale. L’impianto fotovoltaico verrà in un secondo momento, prioritario il risanamento della struttura perché c’era ancora l’eternit. Era un disastro, ma ne è valsa la pena. Intanto abbiamo bloccato dei prezzi che sarebbero lievitati, basti pensare che per le vasche in acciaio avremmo speso 500mila euro in più tra passerelle e quant’altro, se avessimo aspettato. Ci possono essere anche bolle speculative, ma sicuramente non si torna più ai prezzi di prima. E poi lo volevamo fare, ci credevamo”. Continua: “L’obiettivo è pigiare in un certo modo per ricavare certi prodotti, per una soddisfazione personale. Sicuramente avevamo bisogno di un centro di vinificazione dove pigiare più uva e con un sistema di lavorazione moderno, che pulisca subito il mosto. Ci sarà ancora una parte di vino sfuso, soprattutto per la tipologia dolce, Moscato e Sangue di Giuda, quest’ultimo era in esubero rispetto all’imbottigliato”. Una novità il Pinot nero “che quest’anno vorremmo  vinificare in rosso perché la domanda è crescente”.
Il marchio non è presente nella grande distribuzione. “Vendiamo soprattutto al privato e al grossista. C’è un andamento generale di flessione nei consumi, però è anche vero che l’Oltrepò ha i prezzi più bassi del Nord Italia. Si è visto con le uve. La croatina, da cui poi si ricava la Bonarda, si aggira sui 55-60 euro al quintale. Le stesse cantine sociali hanno pagato prezzi davvero bassi la scorsa vendemmia. Il riesling costava addirittura meno, dai 35 ai 40 euro. Un viticoltore non riesce neanche a realizzare i soldi che spende in vigna. Con i rincari che quest’anno si sono verificati serve una politica dei prezzi chiara, altrimenti chi coltiva resta indietro, non ce la può fare. Per chi pigia, con le bollette energetiche alle stelle, il costo di produzione è triplicato. Il vino al litro non può più valere il prezzo di prima. Noi abbiamo applicato un primo rincaro, ma solo per lo stretto necessario, anche se in realtà sono seguiti altri aumenti che ci siamo sobbarcati per intero perché ci spiaceva dire ai nostri clienti che alzavamo ancora il prezzo. Serve coesione tra noi produttori, una tutela sempre più effettiva, delle politiche territoriali e di sviluppo che tengano conto di tutti gli attori della filiera”.