Il Piemonte e la Barbera, una lunga storia d’amore (a ragion veduta).
A pochi giorni dalla quinta edizione di Sbarbatelle 2022, evento organizzato da Ais Asti nell’elegante cornice del castello dei marchesi Alfieri, a San Martino Alfieri, intervistiamo l’enologo e direttore della tenuta Mario Olivero.
La casa vinicola Marchesi Alfieri vanta una lunga presenza  nell’enologia e nella cultura piemontese. Le sue Barbera d’Asti, vini di grande espressione identitaria del territorio, sanno coniugare capacità di invecchiamento, struttura, eleganza e bevibilità. Momento clou dell’evento una degustazione esclusiva di Alfiera 2017, 2015, 2011 e 2007 –  a sorpresa un quinto vino, una vecchia annata di un vitigno da riconoscere alla cieca –  e a seguire la cena di gala dove a un parterre di giornalisti e sommelier sarà presentata una nuova Barbera super selezionata in edizione limitata, il Carlo Alfieri 2015. “Un modo per approfondire questa terra dove si incontrano Monferrato, Langhe e Roero”, spiega Mario Olivero. “Durante la cena serviremo anche un blanc de noir 2014, sessanta mesi sui lieviti, il Pinot nero San Germano 2020, dallo stile che richiama Borgogna e Alto Adige, la Tota 2019 e, appunto, il nuovo nato Carlo Alfieri 2015. Con una toma di Murazzano con Cugnà di Nebbiolo non possiamo non abbinare il nostro Nebbiolo Costa Quaglia 2016, che è l’altra Docg della zona. Il menù sabaudo è affidato allo chef Marco Forneris, il cui racconto gastronomico del territorio parte dalla montagna, con il carpaccio di trota marinata, e prosegue in Langa con i Tajarin al ragout di coniglio di Carmagnola e i formaggi. Chi viene da noi deve assaggiare qualcosa di fortemente identitario, che da altre parti non prova, come la costina di maiale di Frabosa, un suino  allevato  a castagne in un comune di montagna. Ad accendere la serata sarà la Barbera, espressione più storica e limpida del territorio”.
Il Carlo Alfieri, che matura a lungo in legno di rovere per poi evolversi in bottiglia, è frutto della volontà e strategia aziendale di arrivare sul mercato con un grande vino senza per forza doverlo aspettare nel tempo. “Sono anni che abbiamo intrapreso un percorso qualitativo e profilato sulla Barbera. Il Carlo Alfieri chiude un cerchio. L’azienda ha sempre creduto nel vitigno e ha fatto il massimo per ottenere fin dall’inizio due vini che, uno bevuto giovane l’altro aspettato più a lungo, esprimessero entrambi un potenziale qualitativo alto. La nuova Barbera la presentiamo solo ora perché è in uno stato di grazia che riesce a esprimere al meglio le sue caratteristiche e quello che noi ci eravamo prefissati con questo vino. Esce solo in annate considerate grandi per il vitigno”, continua Olivero.
La dimora storica Marchesi Alfieri è una realtà vitivinicola che produce circa 130-140mila bottiglie annue, per un totale di poco più di venti ettari. “Abbiamo ancora potenzialità per interessare con la vigna versanti che prima del cambiamento climatico erano meno appetibili. Ci sono terreni a nord che regalano uve eccezionali. Fin dall’inizio, trent’anni fa, siamo andati a capire che cosa i diversi vigneti, con diverse esposizioni, suoli potessero offrire. Abbiamo proceduto con vinificazioni separate parcella per parcella, per poi decidere in cantina gli assemblaggi e impostare una produzione mirata a ottenere certi risultati. Cosi facendo siamo arrivati alla Tota e all’Alfiera. L’Alfiera è una selezione all’interno di una  zona determinata, collina Quaglia, un vigneto di 4 ettari e mezzo, tra l’altro storico, piantato nel 1937, ora ne è rimasto solo una parte, il resto è stato reimpiantato. Il vigneto giovane nell’immediato non può dare gli stessi risultati di uno vecchio, però ha altri vantaggi, come uniformità di maturazione, densità di impianto un po’ superiore rispetto al passato, filari stretti. Non è dichiarato come cru ma è pensato come tale. La Tota,  invece, la prima Barbera con cui si entra in Marchesi Alfieri, non è mai stata considerata un vino base, forse più semplice e per un consumo più veloce rispetto all’Alfiera, ma grazie al sistema delle vinificazioni separate cerchiamo di ottenere da ogni parcella la miglior maturazione possibile.  La Barbera, affinata parte in botte, parte in tonneau e in barrique, è sempre stata nelle nostre corde. Giacomo Bologna aveva intuito che essendo un’uva con meno tannini poteva essere elevata grazie a un passaggio in legno, capace di fissare il colore e ottenere vini un po’ più complessi. L’unica pecca della Barbera, se così si può dire, è nei primi anni quando restituisce un vino più semplice come impostazione del naso e della bocca rispetto a un Nebbiolo. Noi abbiamo sempre pensato che la Tota, che ha una maturazione in legno più breve dell’Alfiera, dovesse essere di suo un vino già completo, che come linea di pensiero non si dovesse allontanare più di tanto dall’Alfiera”.

                                                                         
Il segreto è identificarsi. “Chi beve Marchesi Alfieri deve sapere, indipendentemente che sia Tota o Alfiera, che sta bevendo una grande bottiglia. Le persone non sempre si ricordano l’annata o che Barbera hanno bevuto, ma si ricordano di aver bevuto un grande vino. Vogliamo da sempre esprimere una qualità alta al di là del vino che presentiamo. Il Carlo Alfieri vuole essere la massima espressione di un terroir, è la scelta di una parcella di vigneto che può non essere la stessa tutti gli anni. Mentre per l’Alfiera si va a ‘pescare’ sempre in quei 4 ettari e mezzo, con il Carlo Alfieri può capitare che quell’anno troviamo un’uva particolarmente adatta in un terreno a nord-est. Dopo un affinamento un po’ più lungo in legno, sui due anni, e un affinamento molto più lungo in bottiglia, viene messo sul mercato in quel momento di evoluzione particolare che gli dà complessità. Chi assaggia questa bottiglia non deve tenerla a casa a riposare perché quei tre o quattro anni necessari  per esprimere la sua complessità ce li siamo fatti noi. L’obiettivo è concentrare in poche bottiglie numerate, 1750 per la precisione, il nostro sapere sulla Barbera per dare completa dignità a questo territorio. Per la prossima annata bisognerà aspettare la 2017, che è già stata imbottigliata, con gli stessi quantitativi. Seguirà la 2021, altra grande annata secondo gli esperti.
Quelli di Marchesi Alfieri sono terreni a sinistra del Tanaro, limosi, argillosi e un po’ calcarei, terre bianche con determinate caratteristiche che regalano vini strutturati, con uve che vanno sempre in maturazione completa e riescono a esprimere il loro carattere di longevità. “Oltre i dieci anni sempre, ma con punte anche di venti. Pur essendo vini molto godibili già nei primi anni di bottiglia, caratteristica della Barbera rispetto al Nebbiolo. In alcuni vigneti particolari riusciamo  a tirar fuori non solo antociani, e quindi la parte del colore e dei profumi tipici del vitigno, come ciliegia e prugna, ma anche quei tannini che permettono una stabilizzazione del colore e una conservazione del vino negli aspetti varietali per lungo tempo. Alle terre bianche dobbiamo vini di struttura e di corpo, sta poi a noi, al nostro saper fare non perdere in raffinatezza”, precisa.
La cantina produce anche un Metodo classico, solo 4-5mila bottiglie annue, ma “in certi anni ne tiriamo anche 7-8mila”. È un blanc de noir extra brut millesimato 100% pinot nero da vigneti reimpiantati più di 30 anni fa. “Pochi zuccheri residui, espressione chiara del vitigno pinot nero. Un vino più verticale, non troppo largo, perché la larghezza si conferisce con lo chardonnay o con zuccheri più abbondanti. Volevamo fare un Pinot nero gastronomico, abbinato alla tavola. Non siamo una azienda spumantistica, non ci interessava strizzare l’occhio all’ennesima bollicina che si beve come aperitivo, ma collegarci alla serietà dei nostri vini rossi. Uno spumante dove si sente anche il vino base. E per noi questa è una vittoria”.