Alla Milano Wine Week alla scoperta di un territorio riconosciuto Patrimonio dell’Umanità Unesco dal 2019, un’area che comprende la fascia collinare che da Valdobbiadene si estende verso est fino al comune di Vittorio Veneto. Tra le colline del Conegliano Valdobbiadene la vendemmia si è appena conclusa con successo e darà vita a vini che sapranno enfatizzare le diverse sottozone, come sottolineato oggi dall’omonimo Consorzio di Tutela, in diretta da Palazzo Bovara durante la terza edizione della settimana del vino a Milano, primo evento vinicolo internazionale del 2020.
Il focus è sulla crescente importanza del Conegliano Valdobbiadene e del suo paesaggio culturale, con le oltre 600 ore di lavoro per ettaro e una viticoltura definita eroica. “Se un vino è semplice molti ritengono che sia altrettanto semplice per non dire banale produrlo. Quando vogliamo comunicare con semplicità una materia, in realtà dietro alla semplicità c’è molto studio, ricerca, altrimenti non si potrebbe essere semplici. Io lo definisco un vino immediato”, commenta Alessandro Torcoli, direttore di Civiltà del bere. “Altro elemento da considerare è che non possiamo apprezzare appieno, al 100 per cento del suo valore, un calice così amichevole se non siamo mai stati a visitare la sua zona di produzione, uno dei più grandi patrimoni viticoli italiani. Altri terroir  creano vini blasonati, ma non hanno un contesto naturale così emozionante. Questa zona, invece, trasmette emotività e strega con la sua bellezza fatta di vigne spettacolari e di una ricchezza complessiva del territorio. Solo così potremo guardare il calice in maniera diversa, consapevole”.
Il Conegliano Valdobbiadene, docg da 11 anni, si estende su 15 comuni ed è il cuore del mondo Prosecco. Qui si fa ricerca da sempre grazie alla scuola enologica di Conegliano, la prima d’Italia (1876), che ha formato i migliori enologi del Belpaese. E il vino, che all’inizio della sua storia non godeva di una protezione territoriale e si chiamava glera, dal nome del vitigno, esprime oggi il senso del terroir con le sue differenze di suolo e con la particolare conformazione geomorfologica chiamata hogback e formata da una serie di rilievi irti intervallati da piccole valli parallele tra di loro.
Nel sistema Prosecco, la piramide qualitativa si sviluppa su una base di vini quotidiani costituita dal Prosecco doc e si va a stringere verso l’alto dove troviamo la punta di diamante, il Cartizze. L’area del Prosecco doc, dominata dalla pianura, con costi di produzione inferiori e quantitativi decisamente più importanti della fascia collinare, si estende territorialmente per l’80% in Veneto e per il restante 20% in Friuli. Le due docg sono Asolo e Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore. Di Rive, cru del Conegliano Valdobbiadene da uve provenienti da un unico comune o frazione di esso, saranno immesse sul mercato nel 2021 4 milioni di bottiglie, mentre di Cartizze, esteso su 108 ettari, 1 milione e 100 mila bottiglie su un totale di 81 milioni di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore.
Zone vocate per la loro specialità rispetto alla piana sono le colline, che si estendono da est a ovest con altitudine varia da 100 a 500 metri, caratterizzate da grandi escursioni che esaltano i profumi nei vini, brezze alpine che asciugano, abbondanti precipitazioni e numerose giornate di sole. La glera ama l’acqua ma non il ristagno e il terreno, come nei luoghi del vino migliori del mondo, è drenante. Una posizione invidiabile a metà strada tra le Alpi e il mare, con suoli che rendono ogni microzona molto diversa e risalgono al sollevamento dei fondali marini e lacustri, più meno profondi e filtranti.
A incuriosire è la nuova categoria “sui lieviti”, introdotta l’anno scorso, nella parlata locale chiamata “col fondo”. Il Prosecco si genera con rifermentazione in autoclave (metodo Martinotti), ma in questo caso è prodotto secondo l’antico metodo di presa di spuma della glera, tipico dell’alta Marca trevigiana, ossia col metodo della rifermentazione in bottiglia senza sboccatura, quindi senza separazione dai lieviti esausti, una tecnica che apporta sensazioni olfattive più ampie e complesse (crosta di pane, brioche). Il vino si presenta nella versione brut nature (senza zucchero residuo) e si può bere torbido alla vista, scuotendo un po’ la bottiglia, o lasciando i lieviti rifermentativi sul fondo. Un modo autentico, legato alla tradizione per apprezzare e far apprezzare il territorio.