È il più antico della Valpolicella, quello che si è sempre trovato in ogni casa, quello che si è sempre offerto agli ospiti in visita, il più identitario, vissuto all’ombra dell’Amarone, ma amato da Cassidoro al punto che, nel V secolo d.C., nella sua lettera sul vino “acinatico” – una delle più belle odi mai scritte sul vino veronese – descrive come il più buono dell’Impero un vino da appassimento ottenuto con una tecnica particolare di appassimento delle uve, chiamato allora Acinatico: “… Rosso come la porpora o bianco come i gigli fragranti, nobile e denso… La dolcezza di esso si sente con soavità incredibile, si corrobora la densità per non so qual fermezza, e s’ingrossa al tatto in modo che diresti un liquido carnoso, o bevanda da mangiare…”.
Un’arte, quella dell’appassimento, che risale al tempo degli antichi Romani e che si candida da una parte a patrimonio immateriale dell’Unesco e dall’altra a essere trasmessa alle nuove generazioni. Questo il focus del convegno Unesco, tenutosi nei giorni scorsi alla Collina dei Ciliegi, in Valpantena.
A seguire una degustazione di Recioto dalle annate più giovani, la 2020, fino alla 2011, all’Amen, alle Torricelle, con vista mozzafiato su Verona: un walk around tasting di Recioto della Valpolicella con live music e isole di abbinamento. Un percorso a ritroso per capire il futuro di questo grande vino dolce ottenuto da appassimento delle uve, lasciate riposare in fruttai per 100-120 giorni per una maggior concentrazione di colori, profumi e sapori, caratterizzato da un arresto della fermentazione per conservare la percentuale di zucchero necessaria a garantirne la struttura. Un vino che nelle annate più recenti degustate si è rivelato di ottima bevibilità e di equilibrio tra morbidezza e freschezza, perfetto per abbinamenti salati soprattutto in quei casi in cui il tratto salino è già presente nel vino, conferendogli maggior complessità e rendendolo più interessante. Nelle annate più vecchie il Recioto ben si presta come vino da meditazione, accompagnato, perché no, da scaglie di cioccolato fondente. Difficilissimo da fare – da fare bene intendo – perché serve uno straordinario equilibrio per evitare eccessi di zuccheri, tannini, acidità e volatile. Personalmente lo preferisco nella versione più giovane e fresca, fino a 3-4 anni di invecchiamento, affinato in acciaio. Più moderna la versione in legno (e più adatta ai mercati internazionali). La tipologia spumante Charmat o metodo Classico è quasi scomparsa: la fanno solo un paio di cantine. C’è anche chi produce l’Amandorlato, un vino meno dolce che vede una decina di aziende coinvolte.
“Bisogna lavorare sodo e creare sinergie quando le cose vanno bene, non aspettare quando vanno male. Proprio per questo è fondamentale coinvolgere i giovani, bevitori del domani. C’è apertura all’interno del Consorzio. Ci stiamo conoscendo”, dice Davide Manara, classe ’91, coordinatore dei giovani del Consorzio della Valpolicella, un gruppo dinamico e aperto di una cinquantina di produttori, voluto un anno fa dal presidente Christian Marchesini con l’obiettivo di interagire con il cda su temi importanti come la sostenibilità, la segmentazione dei vini della Valpolicella e la promozione. “La scelta del Recioto è stata una sorta di provocazione con cui abbiamo voluto mettere a confronto il vino più vecchio della denominazione con il gusto contemporaneo. Qui a Verona, nelle famiglie, è il vino apripista: tutti noi giovani abbiamo iniziato a bere con il Recioto perché è dolce, per poi passare all’Amarone. Ha un mercato particolare, fa parte della tradizione veronese, veneta e fuori dai suoi confini è poco conosciuto, anche se sta prendendo piede. Sta a noi proporlo a chi viene a trovarci in cantina. Per quanto mi riguarda, lo vendo in Polonia e negli Stati Uniti, altre cantine hanno mercato in Belgio e Svezia. Sicuramente è un vino che va mantenuto e promosso, buono da bere sia giovane sia invecchiato. Noi produttori siamo orientati a vini di buona beva e qualità, equilibrati”.
Nicola Perusi dell’azienda storica Mizzon, una lunga tradizione contadina nel cuore della Valpolicella Classica, racconta: “Ho rilevato la cantina dal nonno nel 2010. Vengo da una importante tradizione di reciotisti. Mio nonno viveva per fare Recioto, l’Amarone era un altro vino. Importante era fare il Recioto buono. Io ho una concezione di Recioto con una certa maturazione e ne produco diversi tipi. Il tradizionale, che ho portato in questo contesto, annata 2018, ha tre anni di maturazione in legno. Mantiene molto integro il frutto perché faccio una lavorazione con doppia fermentazione. Un altro Recioto svolge addirittura tre fermentazioni e matura in legno per cinque anni. Ma uso anche l’anfora di terracotta per una versione con nove mesi di maturazione sulle bucce. Prediligo i vini con un certo equilibrio: non dolci stucchevoli ma con acidità e parte tannica in grado di sostenere gli zuccheri. La tradizione voleva il Recioto ai due estremi: o secco o molto dolce. Oggi è dominato dall’equilibrio ed è piacevole e abbinabile con i cibi”. Per quanto riguarda l’invecchiamento: “Migliora ma deve avere una base di partenza strepitosa. Giovane è molto buono perché esprime tutto il suo frutto fresco, è esplosivo. Con l’invecchiamento acquisisce un’innegabile complessità, va a limare il frutto con aromi terziari, diventa meno dolce, più rotondo. Si abbina con tutti i salumi e i formaggi stagionati, per esempio un Parmigiano Reggiano stra invecchiato, perché la sapidità porta equilibrio”.
Sul territorio – dato confortante – nascono in media due o tre nuove realtà vitivinicole all’anno. Poche aziende, però, portano avanti questa storica tradizione che rappresenta solo lo 0,5% della produzione totale di Amarone. È quindi molto interessante che per il primo evento ufficiale il gruppo giovani del Consorzio abbia puntato sul vino più antico della denominazione. Non è facile trovare aziende pronte scommettere sul Recioto e a farlo assaggiare, men che meno trovarne 23 o 24 disposte a farlo contemporaneamente. Un territorio che dimostra di essere “avanti”, anche in questo.