Un nuovo vino, il cinquantesimo “compleanno” dell’azienda nel 2022, la tanto attesa riapertura dei mercati esteri, che pian piano si stanno rimettendo in moto, trecentomila bottiglie “only” Verdicchio. Così Sartarelli, nell’Anconetano, per la precisione a Poggio San Marcello, una delle poche aziende monovarietali di queste dimensioni in Italia, che ha caratterizzato verso l’alto il Verdicchio dei Castelli di Jesi, si prepara a guardare oltre il lockdown. Sartarelli significa poche cose ma chiare e circoscritte da un aggettivo, “solo”: innanzitutto solo Verdicchio, altri vini non sono contemplati nel portfolio aziendale, e solo Verdicchio in purezza, ossia senza l’aggiunta neanche di minime percentuali di altre uve, comunque ammesse dal disciplinare; Verdicchio declinato solo in 5 tipologie, per cinque vini completamente differenti, dal Brut (metodo Charmat) al Passito, passando per il Classico, tipica espressione del vitigno, la cui prima annata risale al 1982, il Tralivio (Classico Superiore) e il cru Balciana, da vendemmia tardiva, prodotto di punta dell’azienda dalle cui vinacce si produce anche una grappa monovitigno; affinamenti solo in vasche di acciaio inox perché, come ci racconta il signor Patrizio, titolare insieme alla moglie Donatella dell’azienda, “dobbiamo far sentire il vitigno e il territorio senza storture”; solo una viticoltura a basso impatto ambientale o ecofriendly, grazie al progetto Sartarelli.ZERO, che prevede una gestione della vigna attraverso “induttori di resistenza”, prodotti naturali e tecnologie che non trasferiscono nel vino alcun residuo chimico perché, ci tiene a sottolineare Patrizio, “la vite non è curata tramite gli induttori ma al contrario di quanto accade con i fitosanitari convenzionali è stimolata a reagire, a difendersi”. Cose semplici ma che fanno la differenza nella storia di questa bella realtà familiare marchigiana, proiettando il Balciana – che avevamo recensito lo scorso anno nella rubrica Winecode https://winestopandgo.com/white-or-pink-week-25/ – nell’olimpo dei super autoctoni più premiati a livello internazionale: l’annata 2017, dopo vent’anni, è di nuovo il vino dell’anno ed è stato anche annoverato fra i 35 migliori bianchi al mondo dal team del Decanter. Un grande risultato per il Verdicchio, che, in generale, è il vino più presente nelle carte dei vini, con una rappresentanza dell’83% nell’alta ristorazione, una media di circa 6 etichette, secondo una indagine di Nomisma Wine Monitor. Verdicchio che è il bianco italiano più premiato d’Italia in base all’incrocio delle guide italiane elaborato da Civiltà del bere, con 15 referenze che hanno ottenuto il riconoscimento di eccellenza su almeno due delle guide nazionali, seguito da Fiano (8) e Soave (Garganega – 7 referenze). Ma non solo. Verdicchio, prodotto trainante e principe delle Marche, che ha registrato un +7,4% sul 2019 e che sul fronte dell’export nel primo semestre del 2020 ha segnato un +6,4% (dati Istat), con i due terzi delle vendite totali regionali (circa 30 milioni di euro nel semestre). Top buyer Usa, Germania, Svezia, Giappone, Regno Unito. Se il mercato domestico riguarda il 60% della Doc e il 70% della Docg, l’export verso Paesi Ue è rispettivamente del 25% e del 15% e verso Paesi terzi è, a pari merito, del 15%, per un imbottigliato che nel 2019 era di 136.834 hl e nel 2020 di 146.957.
Un vino che può essere accompagnato da menzioni geografiche aggiuntive riferite ad aree, frazioni e toponimi dalle quali provengono effettivamente le uve. La zona di produzione, fra la provincia di Ancona e in minima parte di Macerata, nel territorio dei Castelli di Jesi, si estende dal mare Adriatico al pre-Appennino, spingendosi fino ai 550 metri s.l.m. di Cupramontana e Apiro, in un anfiteatro naturale delimitato da ventiquattro castelli, piccoli borghi cintati e fortificati che circoscrivono la zona classica. Un vitigno versatile che riesce a dare ottimi risultati dagli spumanti ai vini passiti. La Doc arriva nel 1968, la Docg nel 2010 con il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva. “Solo per il Verdicchio dei Castelli di Jesi negli ultimi dieci anni è stata contingentata la produzione, triplicata la superficie media di ettari vitati per azienda, rinnovato oltre un quarto del vigneto, mentre l’imbottigliamento fuori zona è calato del 75%. Un rosso vestito da bianco, dotato di struttura e mineralità, con una forte capacità di invecchiamento e molto versatile quanto alle tipologie prodotte”, spiega Alberto Mazzoni, direttore dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini.
“A soffrire è il mercato interno perché noi siamo orientati all’Horeca, non alla Gdo, ma a dare una mano alla ristorazione bloccata ci sono state le vendite online. Per l’Italia, come distributore, ci affidiamo a Cuzziol Grandivini e valuteremo se rivolgerci anche a delle piattaforme, che stanno lavorando bene e a prezzo controllato. Quanto all’export, fino al covid si attestava sul 40-45%, ma con l’intenzione di crescere sempre di più. Questo è successo lo scorso anno, nonostante il lockdown, quando abbiamo aperto a nuovi mercati nell’Europa dell’Est, fra gli altri Lituania e Ungheria. Un incremento dovuto al fatto che la pandemia ha colpito i vari paesi a macchia di leopardo e con tempistiche diverse. Ci aiuta anche un progetto importante legato alla sostenibilità ambientale e nel bicchiere, che abbiamo attivato a partire dal 2019. All’estero c’è una grande attenzione per tutto ciò che è sano, bio, per alcuni buyer questo è un aspetto fondamentale al pari della qualità”, spiega Caterina Chiacchiarini Sartarelli, che in azienda si occupa di export e che porta sia il cognome del papà, Chiacchiarini, sia quello della mamma, Sartarelli. “Gli Usa, nostro mercato target, sono il primo paese estero che si è fermato nel 2019. Grazie però a una campagna vaccinale rapida sono stati anche i primi a ripartire e da gennaio la situazione è cambiata. Non avendo un importatore nazionale ma collaborando con diversi partner nei vari Stati, che seguiamo direttamente, abbiamo il termometro della situazione sotto controllo. A ruota dopo gli Usa vengono Giappone, che è ripartito bene, Canada, Hong Kong, con il desiderio di essere un po’ più presenti nel Sud Est Asiatico, Australia, mercati del Nord Europa come Norvegia e Svezia, dove si è sviluppata una grande sensibilità ambientale, ma anche Inghilterra e Irlanda. In sostanza sono ripartiti tutti i paesi dove sono andati avanti con le vaccinazioni. L’Europa è il mercato più in sofferenza. Nell’anno del covid siamo riusciti a lavorare perché avevamo le spalle coperte in termini di struttura, correttezza, riconoscibilità, serietà e lavoro costante portato avanti negli anni non solo a parole ma anche con i fatti. Dal 2017 mio fratello Tommaso, che è enologo, si occupa dell’intera gamma dei nostri vini”.
Un’azienda che fa qualità partendo dal prezzo. “Sono dispiaciuto che un vitigno riconosciuto grande e apprezzato da tutti si trovi a volte al supermercato svilito nel prezzo. Un danno per tutta la denominazione. La produzione di Verdicchio è limitata, in un’annata favorevole è di circa 160mila ettolitri, tradotto in bottiglie 20-22 milioni se venisse imbottigliato tutto. E poi ci lamentiamo che la terra vale poco. Qui da noi già strappare 50mila euro a ettaro è tanto. Si consideri che per realizzare un impianto ce ne vogliono 35mila. Bisogna riconoscere il giusto valore al prodotto e innescare un meccanismo virtuoso”, puntualizza Patrizio Sartarelli. “Un’altra anomalia è il bag-in-box: se superi i sei litri puoi scrivere ‘Verdicchio’, altrimenti no, devi mettere Igt Marche, declassandolo”.
Dal profumo del pane a quello del vino. Una storia vinicola che inizia nel 1972 a Montecarotto con nonno Ferruccio Sartarelli, stimato panettiere della zona e papà di Donatella, che a un certo punto decide di scommettere sulla vigna, diventa imprenditore vinicolo, socio fondatore di quella che si chiamava Cantina cooperativa fra produttori del Verdicchio di Montecarotto, oggi Terre Cortesi Moncaro, e mecenate. Con il sogno di fare del Verdicchio, ai tempi considerato vino da tavola dei grandi quantitativi, un’eccellenza. Negli anni si comprano nuovi terreni, compreso quello del Balciana, toponimo di zona, e si arriva ai cinquanta ettari attuali. Con ben chiara la mission, l’identità. Da cui questa azienda non si è mai scostata.
Nei progetti, incontri letterari, già sperimentati in passato, e mostre d’arte. Fra Verdicchio e cinque ettari di ulivi, sul cucuzzolo di una collina – Poggio San Marcello, il più piccolo comune della provincia di Ancona, è uno dei castelli di Jesi – da dove la vista sconfina sul mare, in linea d’aria Senigallia, il Monte Conero, le grotte carsiche di Frasassi e la magia quasi fiabesca dei borghi fortificati.
Una storia imprenditoriale per certi aspetti come tante altre, per altri come poche, ma che sa raccontare molto bene la nostra Italia all’estero. Perché tutto, in Italia, parte sempre e solo dalla famiglia.