Per quanti posti nel mondo intrisi di tradizioni agricole si siano visitati ce n’è sempre uno che merita di essere raggiunto e approfondito. Nella piana che da Santa Maria degli Angeli sale verso Assisi, lungo l’antica via Petrosa, circondato da vigne e ulivi secolari sorge il complesso benedettino di san Masseo, fondato nella seconda metà dell’XI secolo, da poco più di dieci anni una delle fraternità distaccate della Comunità monastica di Bose, che ne acquistò la proprietà nel 2009.
Una storia che vi raccontiamo  anche su Credere (ed. San paolo) in edicola questa settimana.
Quelle di san Masseo sono pietre calcaree dagli accenti rosati, impregnate di preghiera, pietre “viventi”, che sembrano raccontarti una storia. Qui monaci e monache di chiese cristiane diverse vivono l’evangelo di Gesù Cristo nel celibato e nella comunione fraterna, dedicandosi alla preghiera, all’attività agricola, specificamente alla produzione di vino e olio, e all’accoglienza degli ospiti, credenti e non credenti che desiderano sostare per un tempo di preghiera e confronto, solitamente di una settimana, in una posizione un po’ defilata rispetto al flusso dei pellegrini di Assisi.
I monaci si guadagno da vivere con le proprie mani. Olio, vino, prezioso da sempre per la Chiesa perché simbolo assoluto della celebrazione eucaristica, e ospitalità costituiscono l’attività principale di sostentamento della fraternità. E sono prodotti di qualità. L’equilibrio tra i tempi di preghiera, lavoro, sonno e studio è fondamentale.


I monaci sono stati i primi grandi vigneron della storia. “Nei quasi otto ettari di proprietà circa la metà sono dedicati alla vigna e all’ulivo. Intorno al monastero si trova un vigneto storico di grechetto di oltre cinquant’anni, da cui ricaviamo un vino bianco, con certificazione biologica, in due versioni, acciaio, circa 4000 bottiglie, e legno, per un totale di cinquemila esemplari. Il Grechetto è un vitigno molto diffuso nell’Italia centrale, soprattutto in Umbria e nel Lazio. I vini di qualità superiore in passato venivano spesso immaginati come provenienti da vitigni greci e da qui deriverebbe il nome del vino Grechetto. È un bianco di buona sapidità, robusto, che si accompagna bene con piatti umbri. Abbiamo preso in affitto a 500 metri anche un piccolo appezzamento di merlot per fare un rosso, per ora solo 2000 bottiglie. Per la vinificazione ci appoggiamo a una cantina esterna”, spiega Michele, monaco di Bose, uno dei cinque fratelli che qui vivono stabilmente, che si occupa personalmente delle attività agricole e le coordina. “Di olio extra vergine di oliva, delle tre varietà tipiche della zona da Assisi a Spoleto, produciamo meno di seicento pezzi, perché l’uliveto versava in condizioni peggiori del vigneto. Cerchiamo di preservare la biodiversità e contrastare la cultura dello scarto a partire dalla vigna, che prima del nostro arrivo stava diventando boscaglia. La cura dell’ambiente va di pari passo con la cura delle relazioni umane. Biodiversità e salvaguardia dell’ecosistema in una destinazione comune dei beni sono temi cari a papa Francesco nella Laudato sì, ma sono anche quelli posti da Francesco di Assisi, che ha iniziato il suo percorso recuperando san Damiano, avendo cura dell’ambiente e degli animali. Noi abbiamo il dovere di fare agricoltura tenendo conto di tutto questo”. Continua: “La vigna, con il suo ciclo annuale di morte e resurrezione, è maestra. La vigna piange per i tagli della potatura un po’ come noi essere umani, poi però le gemme ripartono e si rinnova il frutto. La vite ha un fiore molto profumato e nessuno lo sa”.
I monaci a San Masseo lavorano dividendosi i compiti, praticano l’accoglienza e portano avanti la tradizione monastica nel solco di Benedetto per l’Occidente, Basilio e Pacomio per l’Oriente.
Vigneto, uliveto, orto con carciofaia e un piccolo frutteto che si “gusta” nelle eccellenti confetture artigianali a km 0.
San Masseo consta di quattro edifici che comprendono, oltre la chiesa, le celle dei monaci, vari spazi comuni fra cui una biblioteca e un refettorio, una piccola cucina, più quindici camere per gli ospiti. “La vita è scandita dalla preghiera in tre momenti della giornata. La cena solitamente si svolge in silenzio con la musica, anche per gli ospiti. Non siamo un albergo, pertanto non si viene qui per motivi turistici legati ad Assisi, ma per un bisogno di meditazione. Chi vuole e può lascia un contributo anonimamente in una cassetta”, precisa.
Una prima presenza della Comunità monastica di Bose ad Assisi si ebbe con una fraternità di sorelle che vissero al monastero di san Benedetto al Subasio dal 1994 fino al terremoto del 1997. La vita monastica di Bose in loco riprende nel 2012 dopo un’intensa opera di ristrutturazione con restituzione storica del complesso di san Masseo, i cui beni (chiesa, monastero e terreni) nel 1500 furono incorporati per più di cinque secoli in quelli dell’abbazia benedettina di San Pietro in Assisi, mentre in precedenza appartenevano all’abbazia di Sassovivo. A fine ‘800, san Masseo divenne una comunità rurale gestita dai monaci. “Con l’Unità d’Italia vi furono alcune realtà che riuscirono a salvaguardare i beni ecclesiastici dopo l’incameramento organizzando delle comunità rurali. San Masseo divenne anche una colonia dove venivano accolti e istruiti giovani problematici, in questo senso antesignana di un cammino pedagogico, non esistendo allora i carceri minorili. Chiusasi questa esperienza a cavallo della Grande Guerra, san Masseo divenne abitazione di famiglie di contadini che lavoravano la terra come mezzadri per i benedettini. Durante la Seconda Guerra Mondiale venne accolta una famiglia ebrea, che così sfuggì alla deportazione. Assisi in quel periodo accolse e salvò in monasteri e abitazioni private molti ebrei”. Conclude Michele: “Negli anni ’70-90 del Novecento si ospitò una fraternità dei francescani minori della provincia serafica legati a San Damiano, che accolsero, fra preghiera e lavoro nei campi, soprattutto giovani dell’Europa centrale. Una trama dell’accoglienza che parte da lontano e che oggi continua con Bose, in uno spazio che abbiamo ricevuto dalla storia, risistemato, ma in cui noi siamo ospiti di Gesù Cristo come chi arriva. Non ci sono padroni”.